E’ giusto che un omosessuale debba sentirsi giudicato dalla propria chiesa?
Dialogo con Gabriele Bertin, candidato al ministero pastorale della chiesa valdese e vicesegretario FGEI, con Paolo, volontario del Progetto Evangelici
Continuiamo il confronto con Gabriele Bertin*, con cui stiamo approfondendo alcuni aspetti della fede, prendendo spunto dall’ascolto della testimonianza di Alessandro, credente della chiesa Parola della Grazia di Palermo, che testimonia la sua “conversione” da omosessuale ad eterosessuale.
Nello scorso articolo abbiamo parlato di identità e di quanto a noi credenti omosessuali possa far male l’idea che l’omosessualità sia vista da alcuni come strumento utilizzato da satana per allontanarci da Dio, chiedendo al pastore: “La mia identità in Cristo può coesistere con il mio essere omosessuale?”.
Oggi invece leggiamo le risposte del pastore ad altre due domande che gli abbiamo posto:
Dalla testimonianza di Alessandro si evince che entrare in chiesa pone l’omosessuale in una situazione di “paura di giudizio”. E’ giusto che un omosessuale debba sentirsi “sporco e peccatore” davanti alla chiesa e davanti a Dio?
No, assolutamente, non penso che nessuna persona dovrebbe essere definita tale a causa della sua affettività. L’amore, il sesso, sono tutti doni che Dio ci ha dati affinché potessimo godere di una vita piena. Credo che purtroppo già la società sia un ambiente ostile, spinoso e giudicante, e non credo che una chiesa, luogo dove si condivide la parola della vita, si incontra la comunità e si ascolta una parola di liberazione dal giudizio umano ed accogliente possa permettersi di definire “sporco peccatore” una persona creata e redenta dal Signore come tutte le altre creature.
Cosa cambierebbe se, nelle chiese non inclusive, gli operatori pastorali cominciassero a non mettere limiti alla salvezza in base all’orientamento sessuale dei fedeli?
Sono nato e cresciuto e ora servo in una chiesa “inclusiva”, che mi ha aiutato a lavorare sull’accettazione del mio orientamento sessuale, e non vederne un ostacolo per poterla servire e servire il mio prossimo. Cosa cambierebbe? Probabilmente nelle chiese “non inclusive” si creerebbe una ambiguità fra il dire e l’essere: non si tratta di un semplice cambiamento nell’annuncio della salvezza ma, penso, una totale riforma dell’impianto chiesa e fede.
Se non incateni più la salvezza al tuo rigore morale, allora devi allargare le maglie alla pluralità di effetti di questo nell’ambito relazionale (senza contare tutti gli altri): pluralità di modelli famigliari, affettivi, di genere. La varietà relazionale dell’umanità è specchio della creatività e varietà di manifestazioni anche del divino che, appunto, scorre nelle relazioni che intessiamo, rafforziamo o spezziamo.
Dio si cala anche nel vuoto delle vite e nella profondità delle nostre ferite. Il compito della chiesa sarebbe quello di accompagnare pastoralmente una persona nella guarigione sana delle sue ferite, annunciandogli, appunto, l’accoglienza che Dio in Cristo ha già operato per l’intera creazione. Sospendendo il giudizio umano, accettando la varietà, invocando la benedizione di Dio per la vita dei suoi figli e delle sue figlie perché possano sperimentare la varietà della pienezza che Dio offre.
Penso, in conclusione, che non si tratta di rivedere la questione comportamento-salvezza, ma comprendere come questo giudizio non sia affidato alla chiesa come istituzione, ma semplicemente a Dio. La chiesa, i pastori e le pastore, hanno il compito di annunciare la Parola, ma senza rinchiuderla nelle gabbie delle loro convinzioni o della norma socialmente accettata.
La Parola, che è vita, deve essere lasciata agire nelle mani dello Spirito che porta i suoi frutti e i suoi doni nella varietà che preferisce. L’amore di Dio per ognuna delle sue creature, unica, imperfetta ma stupenda, non è un amore che vuole svelare una bugia. È un amore sincero che, anzi, vuole proprio dire che nelle difficoltà che si incontrano nell’accettare, vivere, difendere, costruire il proprio amore omosessuale, Egli è presente con il soffio di vita e di benedizione dello Spirito Santo, per una vita sempre nuova e piena.
Ringraziamo il pastore Gabriele Bertin*, continueremo nei prossimi articoli ad approfondire aspetti importanti dell’essere cristiani ed omosessuali all’interno delle chiese evangeliche.
* Gabriele Bertin, candidato al ministero pastorale, affidato alla chiesa Valdese di Palermo e vicesegretario FGEI (Federazione Giovanile Evangelica in Italia).
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