E’ scoccata l’ora di una spiritualità della condivisione
Riflessioni di Anne Soupa pubblicate sul sito della Conferenza cattolica dei battezzati francofoni (Francia) il 12 gennaio 2015, liberamente tradotte da finesettimana.org
Questo 11 gennaio ha tutti gli ingredienti di una giornata fondatrice. Innanzitutto per il grande numero di coloro che si sono uniti nella memoria delle 17 vittime dei recenti attentati. Circa 3,7 milioni di persone hanno camminato nelle strade e nelle piazze questo fine settimana. E un po’ ovunque nel mondo, migliaia di voci si sono unite alle manifestazioni francesi. Ogni volta, come un ritornello, una stessa parola fungeva da professione di fede: “Je suis Charlie”, “je suis policier”, “je suis juif”. Certo, chiedersi se si fosse davvero Charlie, ebreo o poliziotto era un problema superato. La comunione era a questo prezzo.
Infine, questa giornata è nata dal sangue che, ahimè, cementa i popoli. E questo sangue – mio Dio, gli autori di quei crimini sapevano quello che facevano? – questo sangue versato in questi ultimi giorni ri-edifica simbolicamente la Francia, una Francia aperta al suo futuro: unisce rappresentanti della comunità intellettuale, di quelle forze “dell’ordine” che sono i “guardiani della pace”, e di una minoranza religiosa che simboleggia meglio di nessun’altra la tradizione di accoglienza della Francia. Unisce cristiani, ebrei e musulmani.
Che cosa chiedono quei 3,7 milioni di persone? La risposta, un manifestante che mi precedeva e che ho pregato di lasciarsi fotografare, l’ha scritta sulla sua bandiera.: “je suis Charlie, je suis bouddhiste, je suis musulman”… ma soprattutto, “je suis libre” (sono libero). Il numero, la comunione, il sangue, la rivendicazione di libertà, c’è tutto, simbolicamente, per fondare qualche cosa di nuovo.
Ecco che la libertà, che credevamo nascosta sotto il fascino dei consumi, torna invece al primo posto tra i valori. Meno male. Perché è costata cara a quelle vittime innocenti, perché si rivela desiderabile da quei 3,7 milioni che la vogliono. Tutto ciò che fino ad oggi sembrava inceppato nel nostro paese… forse… riesce a rimettersi in moto.
Perché domani, bisognerà farla procedere nel modo giusto, questa libertà di cui riscopriamo il prezzo. Domani, bisognerà “fare quello che occorre” perché sia effettiva. Ad esempio far ammettere la legge della Repubblica nelle scuole, nei quartieri dove non vi ha più accesso, prendere sul serio l’esistenza delle moschee, l’integrazione mediocre delle giovani generazioni nate dalla diversità, aiutare attivamente l’islam ad aprirsi al pluralismo, all’uguaglianza uomo-donna, alla modernità, insomma.
La peste dell’integralismo prende il potere solo su organismi già malati o indeboliti. La debolezza dell’islam, è nella sua rigidità al cambiamento; la debolezza del nostro modello repubblicano, è che integra male coloro che arrivano da un’altra cultura. Se si vuole estirpare in maniera duratura questo flagello, questo costerà qualche “cambiamento” da una parte e dall’altra, volersi integrare da un lato, imparare a dare spazio al vicino dall’altro. Ad esempio, è impensabile o disonorante che l’arabo sia insegnato ai piccoli del Berry o della Savoia?
Ma, direte voi, tutto questo è una faccenda di cittadinanza, non di religione. Certo, la maggior parte delle misure dovrà venire da quella parte. Ma il polmone che dovrà permettere a questo nuovo “soffio” di irrigare tutto il corpo sociale, è la religione. Al singolare o al plurale: l’essenziale non è prima di tutto il titolo che ci sta sopra, ma lo Spirito che la anima. La religione di domani saprà ricordare che l’uomo supera l’uomo, e che è amato da qualcuno più grande di lui. Saprà spogliarsi da ogni trionfalismo, sarà aperta agli altri, convinta che la verità non è rinchiusa in cassaforte, nei sotterranei del Vaticano, ma nello scambio, nella dialogo vissuto e nella costruzione di legami.
Dopo quello che è successo oggi, i giorni fasti e facili dell’integralismo cattolico sono contati. Salvo smantellare una ad una le loro fortezze di certezze inverificabili, i religiosi più radicali finiranno per lasciare lo spazio pubblico per dei circoli più “confidenziali”. L’opinione pubblica già li mostra a dito con riprovazione, perché non favoriscono il vivere-insieme.
Al contrario, coloro che sapranno riconoscersi come figli dello stesso amore divino, coloro che accetteranno di rimboccarsi le maniche e di impastare insieme il pane per la festa, una buona misura di fraternità, una terrina di solidarietà, la scorza profumata della speranza che farà lievitare l’impasto, quelli avranno parte al mondo che nasce questa sera. La Repubblica non avrà tanto bisogno di “garantire loro la libertà di culto”, ma li pregherà di collaborare a questo mondo nuovo.
Per i cattolici, questa constatazione è importante. Non è più l’ora delle battaglie di retroguardia, delle etichette astiose, delle posizioni prefissate, della spiritualità affettata, ma della creatività attiva, sostenuta, efficace, di una fraternità amante che supera le frontiere religiose. Oggi è cominciato qualcosa che riguarda sia la CCBF, nella sua aspirazione ad una Chiesa fraterna, sia il Comité de la jupe, in questa intuizione ancora balbettante, che deve, insieme ad altri, difendere le donne, di qualsiasi religione siano. Un bell’avvenire per tutti noi!