È tempo che vi dica che sono gay, cristiano e felice
Riflessioni di Christian Brown* pubblicate sul suo blog The Dispatch (Stati Uniti) il 22 giugno 2015, liberamente tradotte da Silvia Lanzi
Quando il mio migliore amico si è sposato nel 2009 ero eccitato per il fatto che mi avesse scelto come testimone. È stato un onore stargli accanto e incoraggiarlo mentre la sua meravigliosa sposa camminava graziosamente lungo la navata per raggiungerlo. Non dimenticherò mai i lampi di felicità sul suo viso mentre lei avanzava, sempre più vicina. Prima un sorriso e un risolino sciocco, poi lacrime, un sacco di lacrime.
In quel momento mi passavano per la testa un sacco di cose, ma ce n’era una in particolare che ancor oggi mi perseguita: “Non sperimenterò mai questa gioia perché sono un cristiano gay”. Non ho mai condiviso pubblicamente questo pensiero prima. Ma ho passato gli ultimi quindici anni della mia vita provando in segreto a trovare un modo per riconciliare la mia sessualità e la mia fede. Ho cercato una cura, ho digiunato e pregato, ho investito in counseling per ex-gay, ho studiato le Scritture e ho cercato di vivere una vita da celibe.
La mia conclusione? Non sarò mai felice se non accetterò sia la mia sessualità che la mia fede cristiana, anche se questo significa non essere accettato dalla mia Chiesa. Credevo che avere una relazione gay fosse peccato. Il risultato è che ho passato gran parte della mia prima maturità cercando opzioni alternative ma, con mio forte disappunto, nessuna delle “soluzioni” della Chiesa ha avuto successo.
C’è un grande numero di ex-gay cristiani che hanno abbandonato lo “stile di vita omosessuale” e sono state criticate parecchio quelle Chiese protestanti che hanno abbandonato la loro posizione conservatrice sull’omosessualità per accogliere la comunità LGBT. Per anni ho nascosto la mia vera sessualità per evitare questo confronto. Avevo paura di perdere gli amici, la mia famiglia e la mia appartenenza alla Chiesa ma, dato che la Corte Suprema questa settimana ha approvato su scala nazionale il matrimonio omosessuale, sento che devo parlarne. Devo dire la verità.
Mentre il problema del riconoscimento della comunità LGBT sta ancora dividendo i leader cristiani posso dire che, a livello personale, ha sempre diviso anche me. Sapevo tutto fin da quando avevo dodici anni. Mi piacevano gli altri ragazzi, una scoperta sconvolgente per qualsiasi ragazzino nero cresciuto con un padre assente e una madre molto religiosa. Ma ciò che mi angosciava di più era che sapevo che Dio odiava l’omosessualità. Sebbene non mi fosse stato mai detto esplicitamente, ho imparato presto dove andavano le persone impenitenti: all’inferno.
L’essere cresciuto in una Chiesa pentecostale mi ha insegnato che Dio ama tutti, ma i peccatori che non riconoscono Gesù finiranno in un lago di fuoco. I primi della lista erano gli atei e gli omosessuali. Potete immaginarvi l’impatto che questo insegnamento ha avuto su di me. Ho cercato ogni cura possibile, ho digiunato e pregato ogni notte che Dio mi guarisse da queste “cattive attrazioni”. Ho guardato testimonianze di “ex-gay” cristiani che hanno vinto le loro attrazioni omosessuali e sono diventati etero: “Signore, fa’ che questo accada a me”. Mi sono unito a gruppi online di ex-gay e ho ricevuto la consulenza di persone che mi hanno incoraggiato a lasciarmi alle spalle la mia identità gay e a vedere me stesso come un “figlio del Re”.
Durante questo percorso ho incontrato donne “di fede” e ho creduto che il mio orientamento sarebbe cambiato non appena avessi trovato la ragazza giusta. Il risultato? Niente. Nichts. Nada. Le cose che sentivo non sono cambiate, ma una cosa è cambiata come risultato del tentativo di sradicare la mia omosessualità: ho iniziato pian piano ad odiare me stesso. Ho iniziato a sentirmi depresso. Ho usato parole contro me stesso che qui non oso neanche ripetere. Sapevo di essere cristiano, di far parte della famiglia di Dio, ma volevo morire. Il suicidio era diventato una possibilità per me, come sfortunatamente lo è per troppi giovani LGBT.
È qui che devo ringraziare Dio. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, Dio ama la comunità LGBT e il suo sacrificio sulla croce trascende razza, genere e sessualità. La Bibbia dice che solo se invocheremo il Signore saremo salvati. Se non fosse stato per la speranza che ho trovato in Gesù Cristo, so che sarei morto. Ma nella rabbia e nel senso di vuoto, Dio era lì e trovo consolazione nel sapere che un giorno le cose andranno meglio. Decisi di smettere di combattere la mia attrazione omosessuale e di accettarla, semplicemente. Ma cosa avrebbe significato per il mio futuro? C’erano due scelte: votarmi al celibato o essere a favore delle relazioni omosessuali.
Onestamente, all’inizio nessuna delle due mi sembrava giusta, forse perché la Bibbia e la dottrina della Chiesa non la pensano allo stesso modo. Sia Gesù che Paolo parlano di celibato nella Scrittura. Quando i suoi discepoli stanno discutendo del matrimonio e del divorzio in Matteo 19:10, Gesù dice che non tutti gli uomini possono accettare l’alternativa (il celibato) ma solo “coloro ai quali è stato concesso” Ugualmente Paolo incoraggia i cristiani non sposati a rimanere “single” se possono esercitare il controllo su di sé (1 Corinzi 7:9); altrimenti li spinge a sposarsi perché è meglio prendere moglie (o marito) che bruciare di passione e lussuria.
Sebbene questi brani appaiano abbastanza chiari, le Chiese evangelicali non ha alcun problema nel suggerire che i gay cristiani adottino uno stile di vita celibatario perché, apparentemente, è un’alternativa migliore all’omosessualità. Ma lo è davvero? Sono il primo a dire di non avere il dono del celibato. Come risultato i miei ultimi dieci anni di giovane adulto sono stati una tortura. Ho un’età in cui potrei sposarmi ma non posso fare la corte a qualcuno o innamorarmi e devo sopprimere il mio desiderio di relazione gay fedele e monogama. Non è facile e, onestamente, non è più nemmeno sostenibile.
Non posso immaginarmi una vita da celibe. Perché sono lussurioso e non posso vivere senza sesso? No. Perché sono un essere umano e gli esseri umani non possono vivere senza compagnia. In tempi recenti ho ripensato all’alternativa ad una vita celibataria: uno stile di vita consono al mio essere gay.
È facile cadere nella trappola di leggere la Bibbia in modo molto letterale. Va bene la maggior parte delle volte, ma ci sono momenti in cui si ha bisogno di contestualizzarla. Per esempio, cinquecento anni fa tutti i cristiani credevano che il Sole girasse intorno alla Terra. Si basavano sul libro dei Salmi che parla della sua rotazione (Salmo 113 [112]:3). Quando Galileo però scoprì che in effetti la Terra gira intorno al Sole, la Chiesa lo ha scomunicato e lo ha dichiarato eretico. Forse che i sei passaggi della Bibbia che condannano la pratica omosessuale non si riferiscono al concetto che ne abbiamo oggi? Quando si arriva a parlare dell’omosessualità nel mondo antico, sia gli studiosi conservatori che quelli liberali riconoscono che, nell’Impero romano, essa veniva praticata in un contesto differente.
Primo, il concetto di un orientamento esclusivamente gay non esisteva. Mentre si sapeva che alcuni avevano incontri sessuali sia con uomini che con donne, si credeva che tutti gli uomini fossero principalmente eterosessuali. Forse per questo motivo sia Gesù che Paolo non hanno pensato di far riferimento agli omosessuali quando parlavano di celibato. Entrambi davano per scontato che tutti gli esseri umani fossero eterosessuali.
Secondo, si vedeva l’omosessualità come un eccesso causato dalla lussuria o dalla mancanza di controllo di sé. Matthew Vines, autore di God and the Gay Christian (Dio e il gay cristiano), esprime meglio di me questo concetto. Molti autori dell’epoca usavano l’alcool come analogia per la lussuria: proprio come le persone prive di disciplina si ubriacano, le persone “disordinate” indulgono ad atti omosessuali. Non ha niente a che fare con l’orientamento sessuale di una persona: nel mondo antico si credeva che le persone lussuriose compissero atti omosessuali. Oggi lo crediamo davvero? Tutte i gay sono solo fornicatori guidati dalla lussuria? Dubito che anche i cristiani più conservatori accettino questa filosofia. Nel XXI secolo sappiamo che essere omosessuale è qualcosa che sfugge al controllo della persona.
Ultimo punto, nel mondo antico l’omosessualità di solito comportava relazioni tra uomini adulti e ragazzi, prostituzione sacra e stupro degli schiavi da parte dei loro padroni. Morale della favola, non c’era nulla di recuperabile in questa pratica ed è chiaro perché Paolo e Mosè la condannassero. Andate avanti fino al 2015 e vedrete che i gay cristiani delle nostre Chiese non vogliono avere niente a che vedere con lussuria, stupri, molestie o fornicazione. Vogliamo solo inclusione, comprensione, la possibilità di avere le stesse relazioni monogame ed affettuose e gli stessi matrimoni in cui possono sperare gli eterosessuali.
Mentre questo potrebbe essere ragionevole, la maggioranza dei leader ecclesiastici non è ancora convinta che lo si possa accettare e rende difficile conciliare la sessualità con la fede cristiana. In un recente articolo pubblicato su Time Magazine Elizabeth Dias ha messo in luce il cambiamento di posizione sull’inclusione delle persone LGBT nelle Chiese evangelicali ma ha trascurato un punto importante: molti cristiani non hanno cambiato il loro cuore. Utilizzando le statistiche del Public Religion Research Institute, Dias ha sottolineato l’accettazione sempre maggiore del matrimonio gay tra i giovani evangelicali: da appena il 20% del 2003 al 42% dello scorso anno.
Comunque questo non significa molto quando più del 30% dei fedeli delle Chiese statunitensi ha sessanta e più anni. In effetti unostudio della Duke University mostra che il 61% delle Chiese americane è guidato da pastori sopra i cinquant’anni. Questi numeri non fanno presagire nulla di buono per l’inclusione delle persone LGBT quando solo il 42% degli Americani di sessantacinque anni e più pensano che il matrimonio gay dovrebbe essere legale. Questo è il livello di adesione più basso paragonato a qualsiasi altra fascia d’età.
Cosa significa questo per migliaia di gay cristiani? Solidarizzare con le relazioni omosessuali è un modo infallibile per essere rifiutati dalle Chiese americane. Cosa significa per me? Se le Chiese evangelicali non ventilassero altre soluzioni, prenderei in considerazione la possibilità di una relazione. (Per la cronaca, non sto vivendo una relazione né, per il momento, ne cerco una) Nonostante tutto è probabile che dovrò affrontare il rifiuto immediato della mia famiglia e dei miei amici. Ma non ho paura. Dio mi ama e mi accetta. E sarebbe ora che io facessi lo stesso.
* Christian Brown è giornalista che si occupa di politica, fede e comunità emergenti per la carta stampata e la radio. È laureato in comunicazione e giornalismo.
Testo originale: It’s time I told you I’m gay