È tempo di combattere i pregiudizi gay nelle persone LGBT
Articolo di Camilo Del Valle Lattanzio* pubblicato sul sito Sentiido (Colombia) il 6 febbraio 2017, liberamente tradotto da Chiara Benelli
In Colombia ci vuole un femminismo queer, affinché gli “omosessuali omofobi” evitino di perpetuare la censura che hanno subìto e smettano una volta per tutte di accettare l’imposizione del “Gay va bene, ma checca no. Non se ne deve accorgere nessuno”. Gay siamo e gay sembriamo.
Se dissimuliamo la nostra “frociaggine” possono anche tollerarci, (come affermato dalla senatrice Claudia López in un suo memorabile discorso), ma a certe condizioni, come quella di non sembrare quello che siamo. Mi riferisco a un fenomeno particolarmente gay, le lesbiche invece hanno dovuto pagare un prezzo ancora più elevato e crudele: l’ignoranza e l’indifferenza.
Il colombiano medio è a disagio con l’uomo effeminato. Dietro questo atteggiamento si cela una palese misoginia, la stessa che ha portato a normalizzare femminicidio e violenza sulle donne come fossero guerre.
Il problema sta nella mentalità maschilista intrinseca alla vita quotidiana in Colombia. E purtroppo lo scenario LGTBI non ne è immune. Ma se vogliamo lottare contro casi come quelli di Yuliana Samboní o Natalia Ponce de León, dobbiamo agire a partire dalle nostre case.
Dobbiamo iniziare da noi stessi, uomini gay che perpetuano l’odio per la femminilità, un problema che non tocca solo le donne, ma costituisce la spina dorsale dell’omofobia in Colombia.
Il maschilismo misogino è fortemente interiorizzato, come un tic di cui non ci rendiamo conto.
La parola queer è un termine che stravolge dicotomie come “femminile” e “maschile”, nonché la scala sessista di valori esistente tra questi due concetti.
I termini “mascolinità” e “femminilità” vengono sovvertiti e assumono nuove forme, ed è forse questo il grande privilegio dell’optare per una posizione queer: si accoglie la pluralità, si celebra la libertà di acquisire nuovi volti, si rompe lo schema ormai obsoleto di quello che dovremmo fare o di come dovremmo apparire, per consentire la libera espressione della molteplicità dell’essere umano.
Tuttavia, quando si parla di uomini gay in Colombia, è normale usare espressioni come “essere una checca”, “se sono omosessuale è perché mi piacciono gli uomini, non le donne”, “il maschio cerca il maschio”, “niente pazze” e così via.
Tra i gay colombiani essere una “pazza” è la cosa peggiore di tutte. Queste espressioni (che vengono accettate senza alcun tipo di obiezione) cercano di sopprimere la quasi totalità dell’espressività umana, relegando il “femminile”, o in ogni caso tutto ciò che non rientra nella categoria “maschile”, in una zona esterna: il deplorevole.
La discriminazione si perpetua
L’omosessuale “checca” rientra in una sottocategoria, la stessa a cui appartengono le persone LGTBI in una società dominata dall’eterosessualità maschilista. E così, senza rendersene conto, le vittime diventano carnefici, si accerchia minacciosamente un gruppo di persone e si guasta la grande festa queer.
L’omosessuale omofobo (sembra una contraddizione, lo so) cade in due errori comuni: essere omofobo a sua volta e, così facendo, autocensurarsi, e conformarsi a ciò che la società maschilista si aspetta dagli omosessuali: si possono anche tollerare, ma a determinate condizioni: “Frocio ok, ma pazza no; ci sono omosessuali che lo danno troppo a vedere”.
L’omosessuale accetta, quindi, le condizioni degli eterosessuali, e vive clandestinamente senza essere “notato”, disprezzando la libera espressione queer e ripetendo tristemente: “Sono gay, ma non lo sembro”.
A che punto siano arrivati, perché non ci sembri affatto un oltraggio discriminarci tra discriminati?
Il problema di questa discriminazione è la misoginia che vede il male nella femminilità, la vergognosa passività che viene spesso invece idolatrata, in quanto il feticismo non è altro che l’altra faccia della discriminazione.
La gente pensa che l’omofobia sia una questione di non tolleranza o non accettazione; l’omofobia può assumere però volti molto più subdoli, che ricadono nella stessa “tolleranza” e trovano origine in un problema che rientra anche nell’agenda femminista: la paura della mescolanza di genere, dell’indefinito, dell’effeminato.
Non ci aspettiamo tolleranza (che non è altro che lo “starsene buoni in un angolino” perché nessuno ci noti), ci aspettiamo azioni e lotta per un’agenda umanitaria che rispetti la libertà di espressione, il credo e la sessualità di tutti gli individui.
La tolleranza dice “D’accordo, possono fare la loro vita, ma a queste condizioni”: separati, nascosti e senza i nostri stessi diritti. L’espressione “essere umano” è davvero queer, e fa parte di un’agenda politica che tutti gli omosessuali dovrebbero fare propria.
Essere diversi ci colloca già in una determinata posizione politica: non si tratta solo di uno stile di vita come un altro, si tratta dell’obbligo di schierarsi dalla parte del femminismo, e di conseguenza dell’umanità.
La società colombiana si aspetta che l’uomo gay si limiti all’immaginario di due uomini eterosessuali che vanno a letto (di nascosto).
Il porno, le riviste e gli altri media hanno dipinto l’uomo gay come se non fosse altro che un uomo etero “diverso”, che per nessuna ragione al mondo oserebbe mai sovvertire la divisione di genere, giocare con la femminilità, tingersi le labbra o mettere in pericolo l’antichissima separazione tra i sessi.
Che almeno sembrino etero
I media mostrano alla società omofoba che gli omosessuali non sono poi una “così grande minaccia”, e che rispetteranno sempre i valori che vengono tradizionalmente difesi.
Fanno poi credere alla gente che si lasceranno addomesticare, e che in nessun caso minacceranno le vecchia regole di genere. Ma sono proprio questi i valori dell’omofobia, quelli che ci lasciano dall’altra parte, tra quello che c’è di deplorevole. È la regola che stabilisce che troviamo posto solo tra l’indice delle anomalie, delle deviazioni e delle perversioni.
La società accetterà solo due Brad Pitt che vanno a letto insieme (anzi, ne farà un feticismo), ma non accetterà mai che un uomo riveli quello che non ci si aspetta da lui, e che scelga invece di giocare con le forme, i gusti e le personalità.
Ecco perché in Colombia è necessario un femminismo queer che si confronti con lo scenario dell’omosessualità maschile, già gravemente infettata dai germi dell’omofobia.
L’omosessuale omofobo è una questione mondiale, ed è qui che l’espressione “Gay Pride” si fa problematica.
In questo Paese in cui gli omosessuali si odiano tra loro, non sorprende che personaggi quali il senatore Roberto Gerlein, l’ex procuratore generale Ordóñez e tutti gli altri delinquenti omofobi, alla maggior parte dei colombiani non facciano nemmeno il solletico.
In un Paese in cui le persone LGBTI devono ancora difendersi con le unghie e con i denti dall’odio, dovremmo trovare un accordo sulle tematiche queer, prendere sul serio le questioni interne al mondo omosessuale e dire No all’omofobia e all’autocensura.
Tra gli omosessuali stessi è necessario lottare contro la transfobia e la misoginia, lotta che molte associazioni stanno portando avanti in Europa, dove questo è tutt’altro che un problema minore.
Gay siamo e gay sembriamo! Siamo fatti così; non nascondiamo le nostre “piume”, anzi, tiriamo via quel guscio che nasconde l’omofobia e celebriamo la pluralità delle forme con tante piume dai mille colori. Tante piume per la Colombia!
* Camilo Del Valle Lattanzio è un letterato e filosofo laureato laureato all’Università di Vienna e candidato al dottorato in Germania e Austria. Lavora come giornalista indipendente per testate online e come volontario per la Berliner Aids Hilfe (Aiuto contro l’AIDS a Berlino).
Testo originale: ¡Somos gais y nos vemos como gais!