E’ tempo di rivedere radicalmente il modo di essere prete nella chiesa
Articolo di Anne-Marie Pelletier pubblicato sul sito cattolico la-croix (Francia) il 28 Agosto 2018, traduzione di finesettimana.org
In questa congiuntura, in cui l’abisso della vergogna pare senza fondo, e poiché papa Francesco si rivolge al “popolo di Dio”, quest’ultimo deve uscire dal silenzio! Anzitutto per ricordare con forza e ad alta voce a tutti i cristiani più che mai esterrefatti che uno solo è sacerdote, “grande sacerdote”, dice la Lettera agli Ebrei, ricordata in Lumen gentium. E che quel sacerdote lì non può mancare alla Chiesa, al di là di tutte le vicissitudini del tempo.
Rileggiamo tutti il Vangelo di Giovanni sul “buon pastore”, sola “porta delle pecore”. L’istituzione – in questo caso il sacerdozio ministeriale – non è la corona sacra della Chiesa. È invece, se ben compresa, e con i suoi limiti, umile servizio per il tempo presente, per la presenza sacramentale di Cristo per il popolo dei battezzati. Che è tutt’altra cosa rispetto a ciò che lascia immaginare il mondo dei “principi della Chiesa”.
Ed è questo che ci porta al nocciolo del problema: l’imperiosa necessità che si impone oggi di rivedere radicalmente la nostra ecclesiologia. Perché è una maniera deficiente, squilibrata e presuntuosa di intendere e di vivere il potere prebiterale ad essere, in gran parte, a monte dei crimini di pedofilia e degli scandali di autorità. Una teologia piramidale della Chiesa ha supportata una identità di prete come cristiano d’élite, al di sopra degli altri battezzati, avendo giurisdizione sulla vita degli altri.
L’onnipotenza che ne deriva autorizza necessariamente gli eccessi, in particolare nel togliere gli ostacoli all’esercizio di fantasie di alcuni.
Questa realtà deve essere oggi interrogata con coraggio. Anzitutto nei seminari, ma anche da parte di tutti i cristiani che non sempre sono esenti da una visione sacralizzata della funzione presbiterale. Non possiamo più attenerci ad una ecclesiologia elaborata ed attuata esclusivamente dal clero. Bisogna che la Chiesa sia pensata a più voci. Tra cui evidentemente quella delle donne. Queste ultime hanno un’esperienza privilegiata, per così dire, delle ostentazioni di superiorità clericali e degli abusi d’autorità. Hanno anche un rapporto col potere diverso da quello degli uomini, che potrebbe utilmente ispirare l’istituzione.
Inoltre, bisognerà anche considerare un po’ più attentamente la situazione del celibato ecclesiastico. Come non vedere che le sue giustificazioni spesso sono invischiate nella visione “difficile” che la Chiesa ha sulla sessualità, al di là delle prospettive recentemente presentate dalla “teologia del corpo”? Come ignorare che questo celibato innalzato a prestigio quasi mistico favorisce certamente una pericolosa posizione di superiorità del prete, accusando inoltre la sua singolarità nella comunità cristiana?
Anche la cecità di una parte della gerarchia ecclesiastica davanti alla gravità dei reati commessi è una realtà molto inquietante, che bisognerà pure porre al vaglio. Come spiegarsi l’incapacità del clero a riconoscere i danni prodotti dalla pedofilia e le disposizioni settarie di un certo numero di istituzioni, dove la perversione sessuale sarà stata certo accompagnata da un abuso di autorità sulle coscienze? La società in cui viviamo – che certo non è indenne dai vizi che ci scandalizzano oggi – ha il diritto di interrogarsi.
In ogni caso, nell’istituzione, tutti, chi più chi meno, sono necessariamente coinvolti nel dramma del momento, dato che esso è in rapporto con un ordine ecclesiale problematico, che favorisce in particolare una colpevole legge del silenzio. Stando così le cose, e di fronte alle manovre intra- ecclesiali che contribuiscono a peggiorare la crisi, è importante che noi, laici, affermiamo con forza che abbiamo un bisogno imperioso del ministero di papa Francesco. Lui resta, in questo mondo incerto e minaccioso, la massima autorità morale capace di opporsi a funeste ideologie nazionaliste, a politiche di chiusura e di esclusione, che fomentano gli odi e rabbuiano il futuro della comunità umana.
Papa Francesco resta anche, per la Chiesa, il pastore essenziale che, con una fermezza eccezionale, dà consistenza al sacerdozio dei battezzati, ancora recentemente con Gaudete ed exsultate, mostrando che la santità è vocazione di tutti, indissociabile dal battesimo. È anche colui che ricorda, con un vigore che fa superare al suo discorso i confini della Chiesa, che la misericordia è tutto il messaggio evangelico, e quindi anche ciò che deve essere messo in atto nel nostro rapporto col mondo, al di là delle ristrette visioni moralizzatrici che sfigurano il discorso cattolico. Non si tratta di entrare in una logica di rapporti di forza, molto praticata all’interno della Chiesa. Ma di far sapere, come cristiani, ciò di cui abbiamo bisogno da parte dell’istituzione per attenerci fedelmente alla missione affidataci da Cristo.
Dovremmo forse osare ricordare a coloro che si muovono in acque torbide chiedendo le dimissioni del papa, che allora bisognerebbe “de-canonizzare” Giovanni Paolo II per non aver adeguatamente sanzionato Maciel e i Legionari di Cristo? Roba da capogiro!
Certo, l’ostinazione di papa Francesco, fin dalla sua elezione, ad invocare e a comunicare “la gioia del Vangelo” può sembrare oggi totalmente irreale. A meno di immergersi profondamente nel Vangelo, per far fronte alla situazione.
Testo originale: Revisiter radicalement notre ecclésiologie.