Elogio della patata
Riflessioni di Rosa Salamone, volontaria del Progetto Gionata
Campi Bisenzio (Firenze), da Rodolfo, mitico ristorante, mentre mangiamo crostini io, Giorgio, Valentino e Innocenzo. Un po’ risospinti al largo dalla marea del Pride, Innocenzo perché vi è appena stato, gli altri perché assenti giustificati. Che importa, il Pride è lì sospeso sulle nostre teste come l’eco di una festa appena conclusa. Si parla a ruota libera, delle nostre chiese, dei vari documenti teologici, dei fidanzati, degli amici perduti e poi ritrovati.
Due valdesi, un battista, un cattolico. Un pranzo ecumenico, verrebbe da dire. E d’un tratto mentre il cameriere va e viene con le portate, chissà perché mi trovo a ripensare alla storia della patata. Già, la patata. Una storia che racconto spesso ai miei alunni, nella speranza di poterli convincere alla curiosità.
Meravigliosa patata, nata nelle mie terre d’origine, in America latina, dove era persino adorata come una divinità. Che poi lentamente prese a navigare lungo l’Atlantico, attraversando oceani e fiumi fino a giungere dalle nostre parti.
Di solito, io a questo punto faccio una pausa di sospensione come una consumata attrice davanti ai miei alunni, domandando “Ci credereste, ragazzi, ci vollero quasi due secoli perché gli europei capissero che la patata si poteva bollire e poi mangiare. All’inizio, la si coltivava come una pianta ornamentale”.
E già, due secoli. Magari, aggiungo sempre con un risolino, se ci fossero state le donne al potere non ci avrebbero messo così tanto a scoprirlo. Eppure, quella scoperta, dico la scoperta della patata come alimento che si poteva addentare e assaporare fu essenziale per la storia d’Europa, poiché la sua coltivazione salvò milioni di poveri dalla fame e dalla carestia.
Insostituibile dono che la mia terra, la terra dalle vene aperte come la chiama qualcuno, fece all’Europa, per averne in cambio massacri, torture, genocidi e dittature della peggiore specie. Ecco, la storia la lascio lì un po’ in sospeso mentre mi preparo ad assaggiare una favolosa mousse alla menta ricoperta di cioccolato e sento di amare l’umanità intera.
Il discorso dei miei compagni, intanto, è finito al Concilio Vaticano II. Se meglio Giovanni XXIII, se meglio Paolo VI, sull’omosessualità come disordine intrinseco e oggettivo, cosa che come al solito dà inizio alle battute più salaci.
Ma poi questi documenti ufficiali del Vaticano provocheranno o no danno tra le persone?
A questo punto, noi protestanti, ci scateniamo e attacchiamo giù a testa bassa. Certo che sì, caro Innocenzo, come si fa a dire il contrario? “Mica ti sarai scordato di Carletto?“ — chiede sornione Giorgio.
“Carletto, chi?” — chiede Innocenzo a cui un boccone sembra andare di traverso, magari perché pensa lo stiamo trascinando in una trita conversazione su Woytila.
“Carletto Marx” — chiude Giorgio beffardissimo.
Ma Innocenzo è un combattente e sia pure in netta minoranza non si lascia smontare. Perchè poi alla fine si capisce che sta dicendo, sia pure da una sponda diversa, la stessa cosa. La chiesa siamo noi. Siamo noi che dobbiamo dimostrare l’inutilità di certe affermazioni dottrinali. E camminare insieme tutti quanti per cambiare il cuore dell’umanità.
Già, perché esiste, esiste sempre un punto d’incontro. Inizia nel momento in cui un europeo guarda una donna indigena che cucina le sue patate. E in quel momento apprende. Impara che una cultura, giudicata così inferiore all’europea come quella indigena, ha le sue ricchezze. E se ne fa carico, salvando milioni di persone. Inizia da questo sguardo. Benigno, complice, per nulla altezzoso.
Una maniera di vedere le cose per cui si sa che uomini e donne di buona volontà non sono patrimonio esclusivo di una sola chiesa o di una sola comunità religiosa.
L’altro sguardo, dico quello che polemizza, mette l’accento sulle differenze e le debolezze dell’altro invece di considerarlo come un’occasione di crescita, mi sa tanto di quelli che per secoli non vollero mangiare le patate e si votarono allo sterminio.
Lo sapete perché? Chiedo a questo punto ai miei alunni finendo la mia lezione di spagnolo. Perché nella Bibbia non si parla di patate e per molto tempo questo alimento fu considerato un cibo impuro, in quanto non riconosciuto dalle Sacre Scritture. Ma si può? — penso a conclusione di tutto questo, mentre pago il conto.