Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini (Efesini 2,12-22)
Restituzione* a cura di Mariella Colosimo dell’incontro di riflessione biblica del gruppo PAROLA… E PAROLE** del 23 novembre 2024
Abbiamo scelto questo brano di Efesini 2,12-22 perché ci sembra che faccia risuonare i nostri vissuti in relazione ai nostri figli. Ci parla del senso del sacrificio di Cristo e di ciò che noi siamo come Sua Chiesa. Innanzitutto ci colpisce quando San Paolo ci dice che per il sangue di Cristo versato per tutti, coloro che erano considerati lontani ora sono vicini.
Possiamo facilmente e verosimilmente immaginare oggi che i vicini sono la Comunità cristiana e i lontani sono coloro che non vivono secondo la dottrina della Chiesa, per alcuni della comunità cristiana sono anche le persone LGBTQ+, sono i nostri figli, siamo forse anche noi stessi che li accettiamo incondizionatamente.
A pensarci bene ci sembra che anche Gesù sulla croce era il diverso, l’escluso, il condannato dalla legge e dunque il lontano. Consola e dà pace vedere che Gesù, che è Dio, poteva scegliere di essere il “perfetto”, come Lui è, e da lì insegnare, e invece ha scelto di essere più simile ai nostri figli, che sono ancora “lontani” dall’accoglienza nella Chiesa, ma che per questo ci sembrano vicini a Lui.
Pensiamo anche alla nostra esperienza di genitori di un figlio gay. Abbiamo accolto nostro figlio con la sua diversità da subito, preoccupati solamente di fargli sentire il nostro incondizionato amore. Lo abbiamo fatto istintivamente, lo facciamo tutti qui seguendo la spinta dell’amore che proviamo per i nostri figli. Ma cos’è questo amore se non una scintilla dell’amore di Dio?
Se noi con i nostri limiti amiamo così, quanto più Dio ama ed accetta i nostri figli così come il suo amore ha voluto che fossero.
La seconda cosa che ci colpisce è quando nel brano si afferma che Gesù è la nostra Pace. E ci sembra che questa sia il frutto della certezza di questo Amore per noi.
Il brano prosegue dicendoci che noi, edificati in Lui diveniamo Tempio Santo, abitazione di Dio per opera dello Spirito Santo.
Questo ci fa pensare che in Cristo Gesù tutto in noi è in modo nuovo edificato, come se non potessimo più essere gli stessi di prima, come se l’essere in Lui ci ricostruisse nuovi al punto da farci divenire Tempio dello Spirito Santo.
Dio non ci chiede di cambiare, di convertirci per amore di Gesù Cristo, ma per il Suo Amore, per il Suo Sangue versato ci dice che siamo tutti amati, ciascuno con la sua diversità, tutti nuovi, tutti Uno in Lui e questo avviene al di là delle leggi e dei precetti.
Ma nella certezza di questo amore, che ci mette in pace, c’è e rimane un dolore, una croce che con Cristo viviamo come genitori e non solo?
È il vedere che i nostri figli si allontanano perché non accolti, non amati ed accettati dalla comunità cristiana che non comprende come l’amore di Dio li ha pensati. Questo dolore, questa croce vissuta con Cristo, ci fa partecipi in qualche modo dell’amore di Dio. Amore che è dunque per noi e per i nostri figli la pietra d’angolo su cui tutta la costruzione cresce ordinata.
Ci sembra che come genitori la cosa più importante sia amare i nostri figli come Dio li ama, così come sono, senza aspettative, per risvegliare il loro cuore al Suo amore e alla cura del rapporto con Lui.
Tutto si rivela nel rapporto con Lui. Solo Lui dà cittadinanza alla nostra vita, ci fa vedere la Sua bellezza nella diversità che ha messo in noi.
“Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini” – dice Paolo – e in questo noi vediamo i nostri figli… Ma siamo noi a vederceli, per la maggior parte delle persone nella Chiesa non è così: i nostri figli restano lontani perché lontani dalla dottrina.
Ci siamo accostati con qualche diffidenza mio marito ed io all’esperienza dell’ospitalità di due seminaristi che ci ha proposto la nostra parrocchia. Se condividere con loro il vissuto di noi genitori con figli LGBT alla fine ha creato un qualche avvicinamento, sentirsi dire frasi come: “la Chiesa non giudica i peccatori, ma il peccato” mi fa pensare che forse sono proprio io a sentirmi “lontana” dalle posizioni della Chiesa-Istituzione. Con voi, in questo pezzo di Chiesa, sto bene, ma a Messa mi sento estranea, rimango però cristiana. Alla domanda: i tuoi figli sono omosessuali? vorrei rispondere: Sono Simone e Luca, semplicemente persone da amare così come sono”.
Mi è sempre venuto naturale il rapporto con i disabili, ma sulla diversità dei miei figli ci ho dovuto lavorare e ci sono cresciuto. Dopo un lungo travaglio mi sono sentito arricchito: entrare, grazie ai miei figli, in un mondo che non conoscevo lo vivo ora come una grande ricchezza.
Avrei voluto avere genitori come voi… Io continuo a sentire lo stigma che pesa sugli omosessuali. L’ho sperimentato nella società e nella cerchia più ristretta della mia famiglia. Circola quell’omofobia che rende impossibile parlare e vivere la propria omosessualità serenamente, alla luce del sole. L’allontanamento fisico, non poter camminare tenendosi per mano, alla fine ti entra dentro.
Questo brano, come altre lettere di Paolo, è per me difficile, mi ha suscitato sentimenti contrastanti: le parole “non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” mi rimandano quasi a una posizione di parità rasserenante, ma nello stesso tempo mi chiedo come mai non riesco a sentire Gesù come la mia pace. Probabilmente il limite della condizione umana deve fare i conti con l’assoluta novità rappresentata dal messaggio di Gesù. Avvicinarsi a Gesù, lasciarsi amare così come Lui ci ama e provare a nostra volta ad amare con la sua stessa capacità di amore assoluto, totale… è questa la mia difficoltà, non riesco ad abbandonarmi fino in fondo, come se avessi bisogno della legge, di binari su cui muovermi piuttosto che procedere creativamente verso una nuova forma di amore, nella direzione indicata da Gesù.
L’omosessualità di mia figlia non mi ha creato particolari problemi, forse perché nel corso della mia vita mi sono sentita sempre un po’ strana. Volevo essere come gli altri e mi ritrovavo sempre ad essere diversa. Rispetto alla mia famiglia che si viveva come un’élite colta ed eticamente irreprensibile, io sono sempre stata vissuta come la figlia un po’ bizzarra, comunque inadeguata, Quando ho potuto, sono fuggita cercando una mia dimensione autentica, magari a tratti anche caotica, anarchica. E seguito a chiedermi dove mettere la mia pietra d’angolo, quali sono le cose veramente fondamentali, i pilastri per non perdermi.
Io non mi sono dovuta liberare dai lacci della Chiesa ufficiale, però mi sono dovuta liberare da altro. Faccio fatica nella mia ricerca di fede a sentire la gratuità, sono legata al merito: ciò che ti devi meritare non è gratuito. È stato ed è un percorso difficile, ma per motivi che esulano dalla Chiesa cattolica. Ho sempre incontrato un cristianesimo che mi guidava verso l’autenticità. L’impegno sociale me lo sento vicino. Una fede che comporta l’abbandono la sento astratta. Solo l’incontro concreto permette di abbattere i muri, alla magia della relazione io credo. Più che parlare astrattamente di gestazione per altri, il rapporto che ho visto tra due papà e la loro bambina mi ha fatto capire e mi ha aperto un mondo.
Il brano è una chiamata forte all’unità in un momento in cui nella Chiesa ci sono divisioni e sofferenze. Tocca un nervo scoperto: quel muro che Gesù ha abbattuto con la sua testimonianza di vita noi lo ricreiamo. Ci ritroviamo attorno alla stessa mensa eucaristica, ma siamo divisi, non siamo “il tempio santo nel Signore”. Chiedo al Signore di aiutarci a far crollare il muro che continua a dividerci gli uni dagli altri e a diventare strumenti di comunione.
Questa lettera, secondo molti studiosi, non è di Paolo ma della tradizione paolina. Le sottolineature sul sangue di Gesù e la croce rimandano all’idea del sacrificio, di un Dio che per salvarci aveva bisogno del sangue di Gesù, mentre Paolo – come dice un grande esperto come Romano Penna – “di suo non parla mai di sacrificio”, quando lo fa riporta il pensiero di altri. La salvezza non viene dal sacrificio ma della misericordia di Dio, gratuita, che non chiede niente in cambio.
In altre parti della lettera agli Efesini si ritrova di più il pensiero di Paolo: “Ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa” e ancora “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti”. Parole che ci rimandano alla lettera di Paolo ai Galati: “Non c’è né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”.
È l’abbattimento delle barriere per cui Gesù ha speso la sua vita, il Regno di Dio che sognava senza più divisioni tra sani e malati, ricchi e poveri, puri e impuri… Gesù però pensava alle barriere che vedeva nel suo popolo, il popolo d’Israele. Se ci ricordiamo le sue parole nell’incontro con la donna cananea, non ci verrebbe da attribuirgli parole come quelle di Paolo: “Non c’è né Giudeo né Greco”. Questo ci dice una cosa importante: le prime comunità cristiane, e quelle paoline in particolare, hanno allargato il Regno di Dio, abbattendo nuove barriere. Se lo hanno fatto loro possiamo e dobbiamo farlo anche noi. Sta a noi dire, con le nostre conoscenze di oggi: “Non c’è né eterosessuale né omosessuale, né cisgender né transgender…”. Sta a noi farlo per costruire quel Regno di Dio che sognava Gesù, perché finché qualcuno rimarrà escluso il Regno di Dio non ci sarà.
Forse perché si avvicina il Natale mi sembra che questo brano ci regali la bellezza della nostra fede. Un Dio che viene ad abitare l’umanità, e che abbatte i muri delle prescrizioni, dei divieti, della legge, delle etichette e delle distinzioni tra vicini-lontani, chi sta dentro-chi sta fuori, puri-impuri. Abita in tutti e tutte e così ci annuncia e ci dona la pace. È una bellezza infinita.
Posso solo lasciarmi abitare da Lui, e scoprire che lo Spirito fa lo stesso in tante persone e in tante modalità diverse e incomprensibili.
Tutto quello che prima mi era lontano e che non pensavo mi riguardasse è diventato vicino. E la sua alterità ora non mi fa più paura. Una figlia che convive e ancora non si sposa (eppure sembra contenta), un’altra che non crede che il lavoro sia un valore primario per la vita, né che sia necessaria un’abitazione stabile. Una terza che mi ha catapultato in una terra a me sconosciuta e nella quale non sarei mai voluta entrare.
Sentire parlare di gestazione per altri e fecondazione eterologa e pensare che nei prossimi anni potrebbe essere la strada perché io diventi nonna mi ha turbato, ma credo che il Signore piano piano mi stia preparando ad accogliere quello che la vita mi darà.
Senza giudizi, senza aspettative, senza timori, lasciandomi semplicemente abitare da Lui.
Efesini 2,12-22
Fratelli, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
*La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com