Preti influencer? Anche no!
Riflessioni di Massimo Battaglio
Sta circolando la notizia sulle bravate di don Ambrogio Mazzai a Vercelli, il prete influencer molto noto agli utenti di tik-tok che, invitato dal Comune di Vercelli a parlare di comunicazione nelle scuole medie, nel corso del suo incontro coi ragazzini, si è lasciato andare a frasi ai limiti dell’omofobia.
Ha affermato infatti che le coppie gay non dovrebbero neanche esistere. Davanti a ragazzini di tredici anni, tra i quali, sicuramente, qualcuno sta iniziando a interrogarsi sulla propria identità sessuale.
A dire il vero, don Ambrogio ha inveito anche contro l’aborto e il divorzio (per cui ha giocato tutta la tripletta dei “valori non negoziabili”. Mancava solo l’eutanasia per fare poker). Ma di queste cose si stanno preoccupando i genitori della scuola attraverso una lettera inviata a tutte le autorità competenti.
A noi interessa la prima parte: il Comune di Vercelli ha invitato un sacerdote cattolico a parlare in una scuola laica, ben sapendo che quel sacerdote, tanto “moderno” e accattivante quanto sanguigno, non aspetta altro che lasciarsi provocare per proclamare le sue robe vecchie col vestito nuovo in particolare sul tema dell’omosessualità.
Dico “ben sapendo” perché il nostro prete influencer non è nuovo a queste sortite gratuite e di pessimo gusto. Non molto tempo fa, nel dicembre scorso, aveva esercitato la sua libertà di opinione contro la Giunta comunale di Verona. Diceva, testuale, che “c’è troppa frociaggine in Comune“.
Era scandalizzato del fatto che il Sindaco PD avesse permesso di installare un albero di Natale rosa. Un evidente segno di propaganda gender. Naturalmente, alla domanda di una giornalista: “don Ambrogio è omofobo?”, risponde: “assolutamente no”. Ma i suoi parrocchiani, quelli veri, non esitano a rivelare che non è la prima volta che assume atteggiamenti “da bulletto”.
Qualche tempo prima, aveva inveito sul caso di un confratello, don Vitaliano Della Sala, parroco a Mercogliano (AV), colpevole di aver messo due madonne nel presepe. Un gesto pensato per far discutere, l’accordo.
Ma nulla che meritasse una reazione volgare come quella di don Ambrogio, che disse: “è un po’ come se una persona venisse a casa vostra dove c’è una bella foto di famiglia attaccata lì sul muro, prendesse un pennarello e cominciasse a disegnare i baffi sulle persone, a farci dei segni, così per decorare artisticamente quella foto. Beh, sapete dove glielo metterei io, il pennarello, a quella persona? Eh, provate a immaginare”.
Caro reverendo Mazzai, gli direi se potessi: chi di noi ha qualche anno, ricorda ancora certi preti alla don Camillo di Guareschi, che ostentavano grossolaneria per sentirsi vicini alla loro gente o per distinguersi dai preti “di curia”. Ora però, siamo tutti un po’ più raffinati.
Addirittura chi vota Meloni o Salvini sa distinguere una battuta genuina da un insulto. Che poi preferisca quest’ultimo, è un altro par di maniche. Ma, da chi si districa tra il ruolo di influencer e quello di fine teologo, ci si aspetterebbero argomentazioni un po’ più pertinenti espresse in modo un po’ più pacato.
Questo per restare al prete. Perché se allarghiamo lo sguardo agli altri attori dell’episodio di Vercelli, ce n’è veramente per tutti. Ce n’è per il Sindaco, il quale, se proprio vuol mettere il naso nelle attività didattiche della scuola, dovrebbe seguire altri criteri.
Non è infatti sbagliato che l’amministrazione comunale proponga attività che hanno una ricaduta positiva sulla città. Ma quale ricaduta cittadina può avere la presenza di un prete omofobo in classe, se non di fare propaganda alla parte politica del Sindaco stesso?
Ce n’è poi per la dirigente scolastica Fulvia Cantone, che non si capisce con quale logica abbia aderito all’iniziativa del Comune. Scorrendo il Piano Triennale per l’Offerta Formativa del suo istituto comprensivo (il Gaudenzio Ferrari), non si riscontra lo stesso entusiasmo per materie quali l’educazione alla sessualità o all’affettività. C’è, sì, un paragrafo in cui si parla di una scuola “inclusiva, accogliente, aperta, per la cittadinanza” e via andare. Ma non si capisce quali azioni debbano essere intraprese per raggiungere questi “traguardi”. Sta a vedere che l’iniziativa comunale col prete influencer andava intesa in questo senso!
E ce n’è per gli insegnanti. Può anche darsi che non conoscessero il soggetto – il che è già grave perché, pur se non sono obbligati, avrebbero potuto informarsi, se ci tengono al proprio compito educativo. Ma perché, viste le cose, essendo presenti, non hanno nemmeno chiesto la parola quantomeno per chiarire che il social-prete stava parlando a titolo assolutamente personale?
Il bello è che, nelle scuole, ormai, qualunque iniziativa che sembri uscire leggermente dal seminato viene sistematicamente cassata per paura. Affettività? Neanche parlarne! Non vogliamo mica che arrivino le mamme aizzate dai pro-vita? Sessualità? Per amor di Dio! I giornali parlerebbero male di noi.
Oggi sembra che i genitori e i giornali abbiano competenza e potere di veto anche su come si insegna l’aritmetica. Ma se parla il prete – e quel prete – va tutto bene. Le mamme pro-vita saranno contente, quindi possiamo essere contenti anche noi.
Ma ce n’è infine anche per la Chiesa. Se infatti il caso di don Ambrogio fosse isolato, potremmo anche nasconderci dietro il solito adagio: “non diamogli visibilità”. La cosa diventa già un po’ più problematica se scopriamo che il nostro ha circa trecentomila follower.
La “visibilità”, non siamo certo noi a dargliela se lo critichiamo. Ma è ancora più grave il fatto che certi tipi di preti iper-moderni solo di facciata stanno cominciando a essere all’ultima moda.
Pensiamo a quell’altro giovane don di Milano, Alberto Ravagnani, che con la sua aria da figo passa ormai più tempo a farsi intervistare che a gestire l’oratorio. Ogni suo video viene visto da centinaia di migliaia di ragazzi. E, ogni due per tre, si attarda in sbrodolate sull’omosessualità a dir poco disarmanti. Ne avevamo già parlato.
Per lui, il rapporto omosessuale, “biologicamente parlando”, non permette di “esprimere al massimo il valore della sassualità”. L’atto omosessuale è, a suo dire, “riduttivo rispetto al rapporto che c’è tra il maschio e la femmina”.
Accusa di ostentazione tutte le persone LGBT che vivono alla luce del sole, perché “fanno dell’omosessualità una bandierina per darsi un’identità” e si esprimono “in maniera orgogliosa, quasi stile gaypride” per affermare “un certo tipo di ideologia”. Arriva a sostenere che “è molto più facile andare in giro a trastullarsi in maniera omosessuale che con persone del sesso opposto”.
Di fronte a una domanda sull’omofobia risponde: “ti assicuro che, se vai a Milano, le persone hanno meno paura a far vedere la loro omosessualità, che non a portare una croce al collo”. Peccato che però nessuna persona è mai arrivata a casa con le ossa rotte per via di una croce al collo.
Fattagli notare l’enormità dell’affermazione, si ferma un attimo salvo poi ripartire tentando di dimostrare che l’amore omosessuale non può esistere. “Lo dice la psicologia”. “Se porti avanti questo discorso fino in fondo, autorizzi che le persone poi si sposino con le bambole”.
A questi maitre à penser virtuali, laureati honoris causa all’università del web, i loro vescovi non hanno niente da dire?
O sono anch’essi convinti che il futuro della Chiesa sta in una pastorale da influencer che, oltre a far danni, non può che allontanare dalla fede qualunque mente critica?