Esortazione post-sinodale Querida Amazonía. Una preziosa occasione sprecata
Riflessioni di Mario Bonfanti* pubblicate sul blog della comunità MCC Il Cerchio il 12 febbraio 2020
Oggi era attesa con grande trepidazione l’Esortazione post-sinodale Querida Amazonía di papa Francesco, ma è stata l’ennesima delusione. Il 15 ottobre 2017, Papa Francesco aveva convocato un Sinodo Speciale per la regione Panamazzonica, indicando che l’obiettivo principale era quello di “trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno”.
Era, quindi, stato creato ad hoc un Consiglio composto da 18 membri, nominati l’8 marzo 2018 direttamente dal Santo Padre, con lo scopo di redigere un Instrumentum laboris. Il Consiglio ha lavorato assiduamente per parecchi mesi, e alla fine ha presentato al Santo Padre diverse proposte.
Un aspetto che è emerso dalla consultazione riguarda la ministerialità laicale. Rispetto ad essa, per rispondere alle esigenze pastorali delle comunità amazzoniche, si chiedeva di valutare l’istituzione di nuovi ministeri. In questo senso, ci si domandava quale ministero ufficiale potesse essere conferito alla donna. Nel corso dell’Assemblea sono emerse voci a favore del diaconato femminile.
Un’altra proposta forte portata al Santo Padre era quella di aprire alla possibilità, nelle zone più remote, di ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile. Un’ipotesi, comunque eccezionale, spiegata dalla necessità di garantire l’Eucaristia a comunità che sono costrette a privarsene per mesi, se non anni.
A seguito (e in opposizione) di queste proposte, c’era stato il “giallo” del libro pubblicato dal conservatore card. Sarah, controfirmato dall’emerito Benedetto XVI, che sosteneva l’intrinseca necessità del celibato come conditio sine qua non per essere ordinati presbiteri nella Chiesa Cattolica. Un testo che aveva scatenato le ire di papa Francesco e il conseguente licenziamento di mons. Georg Gänswein, segretario personale del pontefice emerito. Una reazione che aveva fatto ben sperare in una dichiarazione di Francesco a favore della richiesta dei membri del Consiglio del Sinodo Panamazzonico.
Ma oggi la pubblicazione dell’Esortazione post-sinodale ha deluso tutti. Ed è una grave sconfitta per la stessa Chiesa Cattolica: un’occasione preziosa che è stata sprecata. Poteva, infatti, essere un primo spiraglio per aprire un serio, profondo, e lungo confronto in seno alla Chiesa Cattolica sul tema del celibato dei preti, che è nell’aria da decenni. Inoltre, poteva anche essere l’occasione propizia per fare chiarezza e pulizia in un sottobosco lurido e melmoso, che ancora si fatica a guardare.
Sono decenni che nella Chiesa Cattolica circolano voci di teologi e cardinali che chiedono una revisione della prassi disciplinare del celibato dei preti. Sì, perché non si tratta di un dogma (sarebbe assurdo e contrario al pensiero biblico), né di un elemento ontologico costitutivo del sacerdozio (altrimenti non si spiegherebbe perché nei primi secoli del cristianesimo i preti e i vescovi si sposavano e avevano figli).
Come sottolinea lo storico del papato, il medievista Agostino Paravicini Bagliani, la prassi del celibato diventa norma per la Chiesa con il Concilio Lateranense IV del 1215 in cui si afferma che «Gesù è presente nell’Eucaristia per transustanziazione, cioè per cambiamento dell’intera sostanza del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue». E annota: «Una delle ragioni per cui il celibato ecclesiastico si diffonde e si “impone” nella Chiesa latina è proprio grazie alla dottrina della “transustanziazione”, dove viene ribadita l’identificazione del sacerdote con Cristo in modo molto più profonda rispetto al passato (…) Perché, così dicono i teologi di quei secoli, il prete, in quanto celibe, nel solco della purezza di Gesù è colui che amministra il Sacramento eucaristico». Ed è proprio tra l’XI e il XIII secolo – a giudizio del professore – che il celibato ecclesiastico diventa il modello perfetto alle luce anche del «sacrificio eucaristico», in cui «il sacerdote si identifica con Gesù e il suo Corpo».
Quindi, fino al XIII sec nella Chiesa latina i preti si potevano tranquillamente sposare. Ed è quanto viene tranquillamente detto anche nelle Scritture, dove, per esempio, san Paolo dà a Timoteo le seguenti indicazioni: «Il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?» (1 Timoteo 3:2-5).
Non si capisce perché papa Francesco, che molti dicono aperto e innovatore, non abbia permesso di aprire un serio e profondo confronto su questo tema, sbattendo nuovamente una porta in faccia a chi giustamente bussava alla sua porta. La trovo una gravissima mancanza di rispetto verso suoi collaboratori, da lui preposti e a cui aveva dato piena fiducia, e che si erano seriamente impegnati ad analizzare la situazione e cercare soluzioni plausibili per la situazione davvero grave in cui versa l’Amazzonia. E, invece, con estrema arroganza, papa Francesco ha sbattuto loro la porta in faccia chiudendo a chiave il discorso per altri decenni. Che tristezza!
L’apertura di questo tema poteva anche essere una preziosa opportunità per la Chiesa Cattolica per fare chiarezza su un sottobosco torbido e melmoso che continuamente si cerca di coprire, ma sta emanando un fetore sempre più nauseabondo: mi riferisco alla sessualità malata dei preti.
Eh sì, perché, sebbene si ribadisca il valore del celibato sacerdotale, si sa benissimo che almeno la metà dei preti cattolici ha relazioni sessuali, spesso malsane, malate, infantili, irresponsabili e, purtroppo, anche criminose. Ci sono fior di preti (etero ed omosessuali) che hanno storie a sfondo erotico (come spesso emerge nelle cronache), che abusano di minori (in modo vergognoso e criminale), che usano uomini e donne per i loro divertimenti sessuali per poi calpestarne i sentimenti come fossero feccia, rivelando un’immaturità affettiva e relazionale da far paura.
Rivedere la prassi del celibato sacerdotale poteva essere una preziosa occasione per mettere mano a questa melma, per portare alla luce queste tenebre, e per chiamare tutti a responsabilità (umana, civile, penale). Ma, ancora una volta, la Chiesa Cattolica – ahimè – ha scelto l’omertà, il silenzio e la collusione, invitando per l’ennesima volta inconsciamente (o meno) i suoi preti a starsene ben chiusi dentro i loro armadi di sacrestia e a tenervi serrati dentro tutti gli scheletri (anche del passato). Ma ormai nessun armadio può più trattenere il fetore di questa cloaca maxima. La puzza è sempre più forte, nauseante e insopportabile.
* Sono il reverendo Mario Bonfanti, ordinato sacerdote nel 2002 e uscito dalla Chiesa Cattolica nel 2012 per essere autenticamente me stesso: spiritualmente e sessualmente impegnato nello stesso tempo. Dopo un avvicinamento alla Chiesa Anglicana ho aderito alle Metropolitan Community Churches . Attualmente mi definisco “prete queer” in quanto pastore di una comunità MCC a nord di Milano e appartenente alla teologia e al movimento queer.