Esplorare i confini della Chiesa: né dentro, né fuori
Riflessioni di Mary M. Doyle Roche* pubblicate sul sito del periodico cattolico Commonweal (Stati Uniti) il 2 giugno 2019, liberamente tradotto da Marianna
Nell’ondata di scandali di abusi sessuali che continuano a scuotere la Chiesa Cattolica, sono sempre più frequenti le discussioni riguardo al rimanere o andare via. Chi ha vissuto i primi momenti della crisi si trova ancora a dover decidere da farsi, mentre molti giovani cattolici stanno sperimentando lo shock e il tradimento per la prima volta. Altri ancora hanno sofferto frustrazioni ed emarginazione nella Chiesa per anni, le loro voci sono state zittite e soffocata la loro vocazione al sacerdozio oppure al matrimonio e alla famiglia. Tutte queste categorie di cattolici si stanno naturalmente chiedendo se hanno finalmente raggiunto il punto di rottura, ma ascoltandoli e riflettendo sulla mia fede ho iniziato a chiedermi se il linguaggio “rimango, me ne vado, sto dentro, sto fuori la Chiesa” non sia forse inadeguato a catturare le esperienze delle molte persone che vivono questa tensione.
In quasi ogni aspetto della mia vita di teologa ed esperta di etica, moglie e madre, amica e collega, ho cercato di andare oltre le categorie binarie per immaginare nuove vie per comprendere le nostre identità, relazioni e responsabilità. Le teologhe femministe da molti anni prendono a picconate i dualismi che rafforzano il patriarcato: corpo/mente, spirito/carne, sacro/profano, privato/pubblico. I teologi e le teologhe queer sono andati oltre, fino ad arrivare alle categorie essenziali che rafforzano la normatività etero: maschio/femmina, maschile/femminile, gay/etero. Ma è stato il tempo che ho trascorso pensando e pregando con i giovani e le giovani LGBTQ a incoraggiarmi a esplorare un’altra dicotomia: dentro/fuori. Sei omosessuale oppure no? Hai dichiarato la tua identità di genere o il tuo orientamento sessuale? Non sempre la risposta è un semplice sì o no. Le persone escono allo scoperto con persone diverse in momenti diversi e in luoghi diversi, ma vivere in maniera sicura e serena è molto più complicato, e lo è anche riflettere sul proprio status di membri della Chiesa.
Per quanto riesco a ricordare, la mia strategia durante quel periodo particolarmente frustrante è stata quella di rimanere nella Chiesa dove lavoravo, per cambiarla. Non cambiare discorso, dicevo a me stessa. La buona novella del Vangelo è per te, per la tua famiglia, i tuoi amici e per tutti coloro che hanno sofferto ingiustamente. Tieni alta la tua identità di cattolica e non lasciarti dire dai potenti che non sei una vera cattolica, o che sei una cattolica all’acqua di rose. È una strategia che perlopiù ha funzionato, ma mi chiedo sempre più spesso cosa significhi fare tutto questo “all’interno” della Chiesa.
Questi giorni mi sono trovata a indugiare sui confini della Chiesa. A volte è molto doloroso essere presente alla liturgia, quindi non vado a Messa, e quelle volte in cui vado non riesco a mettere proprio niente nel cestino delle offerte. Mi chiedo se sto tradendo coloro che amo e che non sono mai stati accettati per ciò che sono, o per ciò che sono diventati, che non hanno mai risolto questa tensione e se ne sono quindi andati. Continuo quindi a indugiare, a pregare, a cercare la comunità, a trovare la Chiesa in posti inaspettati, a sbattere la testa contro il muro per le donne, i bambini e le persone LGBTQ. Questo è il luogo liminale in cui sto indugiando: un luogo di transizione, di camminate lungo il confine, in cui non sei né dentro né fuori, dove non si parla di rimanere, né di andarsene.
Qual è, dopo tutto, la geografia della Chiesa? Dove sono i suoi confini? È possibile che sia stata“fuori” dalla Chiesa più di quanto io immaginavo mentre me ne stavo seduta al banco? Sono più “dentro” la Chiesa di quanto molti non vorrebbero ammettere, mentre cerco Cristo in luoghi nuovi, con coloro che da lungo tempo sono ai margini della Chiesa? Andare al margine porta in realtà al centro della Chiesa?
Tutto questo mi fa pensare alla parabola del Buon Samaritano, che ora mi parla in maniera nuova e fresca. La parabola solleva la profonda questione che tutti conosciamo: chi e dove è il mio prossimo? Dice che il Buon Samaritano trovò il suo prossimo non a Gerusalemme o Gerico, ma a metà strada, durante il suo viaggio. Il Buon Samaritano è mai arrivato dove pensava di andare? Ha compreso che camminare lentamente sul ciglio della strada, dove ha trovato un corpo spezzato e contuso, era l’unica cosa che contava?
* Mary M. Doyle Roche è docente di studi religiosi al College of the Holy Cross di Worcester nel Massachusetts, dove insegna etica cristiana.
Testo originale: Lingering on the Margins