“Esprimere la realtà con la realtà”: omaggio a Pasolini
.
Appunti di Luciano Ragusa
Più di cinquant’anni sono trascorsi dalla mattina del 2 novembre 1975, quando il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini veniva rinvenuto su una spiaggia del Lido di Ostia adiacente all’idroscalo.
Non basta parlare dei proverbiali fiumi d’inchiostro per sintetizzare ciò che è stato scritto sulla morte del poeta friulano: è sufficiente ricordare gli estremi della discussione, per cui, ad esempio, per Giuseppe Zigaina (pittore e saggista nato in provincia di Udine, scomparso a Palmanova nel 2015), la sua perdita è ascrivibile ad una ricerca personale che sfocia nella scelta di autodeterminarsi nella morte (opinione condivisa dallo scrittore Alberto Arbasino e da Nico Naldini, biografo, nonché cugino di Pasolini); per contro, Gianni D’elia (poeta pesarese), Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti (docente di Letteratura Italiana la prima, scrittore, editore, fotografo il secondo) sostengono che la vicenda si deposita, come residuo insolubile, all’interno di quella zona grigia a cui sono stati destinati Enrico Mattei, Mauro De Mauro, e la mutazione antropologica del nuovo potere dominate che porta alla P2.
La faccenda è ancor più complicata dalle dichiarazioni di Pino Pelosi (morto nel 2017), detto “la rana”, il quale, dopo aver scontato la sua pena per l’omicidio di Pasolini, tra confessioni e smentite, non ha mai offerto punti luce sufficientemente intensi da consentire avanzamenti significativi delle indagini.
Un ossimoro scandaloso dunque: una figura retorica che accosta elementi contrari tra loro e che scorre su tutta l’intera epopea pasoliniana, compresa la sua dipartita. Franco Fortini, uno dei pochi intellettuali del PC che entro certi limiti stimava Pasolini, fu il primo ad accorgersi di questa “sineciosi”, di una contraddizione che non fa distinzioni fra cinema e letteratura, tra poesia e vita vissuta.
Si perché nel nostro autore si intreccia, sin dalle prime opere, quella che Stefano Agosti, uno dei suoi critici più arguti, ha chiamato “volontà di dizione totale della realtà”: e questa totalità opera attraverso la mescolanza, l’ibridazione di linguaggi e generi; nella sua poesia c’è già una forte tendenza narrativa e autobiografica, così come nei suoi romanzi e nei suoi film persiste un procedimento poetico, mentre i suoi saggi, prendono l’avvio da intuizioni irrazionali poi a fatica razionalizzate.
Questo guazzabuglio di generi e linguaggi offre però la possibilità di considerare l’opera dello scrittore friulano come un vettore in continuo divenire, dove i problemi, ad una certa distanza, tornano con prospettive diverse perché variate nel loro incedere.
Questa è la consapevolezza che fa dire al poeta che la sua opera è inconsumabile, svincolata da quel processo di centrifugazione che consente ai contemporanei di digerire qualsiasi cosa (si veda l’intervista di Biagi a Pasolini “III B. Facciamo l’appello”, 1971, reperibile su YouTube).
Dunque una struttura che rimanda ad altre strutture, un divenire la cui fine non deve essere intravista, e il cui bersaglio principale è la massificazione superficiale dell’opera d’arte. Lo stesso Leonardo Sciascia, in una delle poche interviste rilasciate in cui gli si chiede di dar conto del suo rapporto con Pasolini, così risponde:
“La morte di Pasolini mi ha sconvolto molto perché io mi sentivo molto vicino a lui. Non ero sempre d’accordo con lui; però, Pasolini, aveva un coraggio, una capacità di provocazione straordinaria… Dopo la sua morte mi sono sentito un po’ più solo un po’ più disarmato, diciamo. No, no, con Pasolini ero molto d’accordo, anche quando aveva torto, ecco!”.
Di nuovo un’antitesi dunque, un artificio intellettuale che in questo caso, così come l’opera, rende inconsumabile anche l’uomo. Come omaggiare, allora, un personaggio così complesso la cui forte commistione tra il corpo fisico e quello della sua opera appartiene alla sua cifra stilistica?
Pasolini, del resto, è un gigantesco continente del quale riusciamo ad esplorare pochi territori alla volta… Non resta allora che prendersi del tempo, e lasciare che i suoi versi, parole, sequenze, si depositino in noi come a formare perle, unite le quali, si può intuire lo spessore del gioiello Pasolini.
Bibliografia:
- Agosti, La parola fuori di sé, Manni, Lecce, 2004.
- A. Bazzocchi, I burattini filosofi. Pasolini dalla letteratura al cinema, Bruno Mondadori, Milani, 2007.
- Benedetti, G. Giovannetti, Frocio e basta, Effigie, Milano, 2012.
- D’Avack, Cinema e letteratura, Canesi, Roma, 1964.
- D’Elia, Il petrolio delle stragi. Postille a “l’Eresia di Pasolini”. Effigie, Milano, 2006.
- Fortini, Pasolini, in “Saggi italiani”, De Donato, Bari, 1974.
- Naldini, Pasolini, una vita, Einaudi, “Gli Struzzi”, Torino, 1989.
- P. Pasolini, Una visione del mondo epico-religiosa, in “Bianco e nero”, n. 6, giugno 1964.
- P. Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, “Gli Elefanti”, 1991.
- P. Pasolini, Il sogno del centauro, a cura di Jean Duflot, Riuniti, “I Libelli” Roma, 1993.
- Siciliano, Vita di Pasolini, Mondadori, “Oscar Saggi”, Milano, 2005.
- Zigaina, Pasolini e la morte. Un giallo puramente intellettuale, Marsilio, “Gli Specchi”, Venezia, 2005.
Sitografia:
- Trasmissione RAI, III B. Facciamo l’appello, Enzo Biagi intervista P.P. Pasolini, 1971. (consultato il 18 febbraio 2022).
- Arcoiris Tv, Leonardo Sciascia su Pasolini. (consultato il 18 febbraio 2022).