Essere alla GMG di Panama per far sentire la voce di noi cattolici LGBT
Articolo di Meli Barber** pubblicato sul sito del bisettimanale National Catholic Reporter (Stati Uniti) il 9 febbraio 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Per tutta la vita, l’unica cosa che ho sempre voluto fare è lavorare per la Chiesa [Cattolica] e per otto anni l’ho fatto: ho lavorato nel campo giovanile, diventando direttrice del catechismo in una parrocchia povera di Indianapolis, composta soprattutto da immigrati ispanici.
Pensavo che avrei continuato così per il resto della mia vita, poi, a un certo punto, ho incontrato la donna che ora è mia moglie. Non la sono andata a cercare, anzi, in quel periodo non volevo conoscere donne.
Mi sono innamorata di lei nonostante tutti gli sforzi in senso contrario che ho fatto. Grazie a lei sono una persona migliore, e rispetto a prima la mia vita è molto più gioiosa. Ci facciamo forza a vicenda, ci sacrifichiamo l’una per l’altra. Mia moglie mi porta molto vicino al paradiso, e spero di fare la stessa cosa per lei.
Ma, fin dal momento in cui ho capito di amarla, ho sempre saputo di dover fare una scelta tra lei e la mia vocazione, lavorare nella Chiesa.
Negli ultimi anni decine di dipendenti di enti cattolici sono stati licenziati per aver fatto coming out o essersi sposati con una persona dello stesso sesso.
Nel dicembre 2015 ho lasciato il mio lavoro, perché sarebbe stato impossibile per noi due vivere la vita che volevamo mentre io mi occupavo dei giovani e del catechismo. Ho trovato lavoro come assistente sociale: mi occupo di bambini in affidamento per un’agenzia nazionale nonprofit.
Lo scorso gennaio sono stata alla Giornata Mondiale della Gioventù a Panama come testimone per le persone LGBTQI, per testimoniare che una scelta del genere non l’avrei mai dovuta compiere. Mi sono recata a Panama con altri cinque pellegrini dell’associazione Equally Blessed, una rete che comprende Call To Action, DignityUSA e New Ways Ministry. Siamo convintamente cattolici e ci impegniamo per i diritti LGBTQI. Siamo andati a Panama per parlare, per ascoltare, per essere visti e ascoltati. Significativo è il motto impresso sulle spille che abbiamo distribuito: “La Chiesa è anche nostra”.
Il primo giorno ero in ansia, perché non sapevo come la gente avrebbe reagito. Indossavamo pashmine arcobaleno, sventolavamo una grande bandiera e avevamo gli zaini pieni delle spille di cui sopra, da distribuire in giro. La paura mi è passata quasi subito.
Ovunque siamo andati, siamo stati salutati con calore ed entusiasmo. Alla prima sosta (il pranzo prima della Messa di apertura) decine di pellegrini da tutto il mondo si sono avvicinati per una spilla, una fotografia, una chiacchierata.
Quel pomeriggio incontrai la giovane Elizabeth*, che era venuta con il suo gruppo, FOCUS. Quando vide il nostro gruppo, si mise a piangere. Quel mattino aveva ascoltato un sacerdote che aveva fatto alcuni commenti omofobi: “Non sapete quanto sia felice di vedervi, stamattina è stata davvero dura”. Aveva portato con sé una piccola bandiera arcobaleno, che tirò fuori dallo zaino per fare una foto con noi.
Poi incontrai David, che guidava un gruppo dal Togo, Africa Occidentale. Mi ringraziò per la mia testimonianza pubblica, mi abbracciò forte e mi sussurrò nell’orecchio di essere anche lui gay: “Non sei solo” gli sussurrai di rimando, offrendogli una delle nostre spille; lui la prese e se la appuntò sotto la maglia, perché non si vedesse.
Dato che su Instagram molte persone avevano detto di volerci incontrare, abbiamo organizzato un pranzo per poterle vedere tutte. Ci aspettavamo che fossero tutti pellegrini, ma con nostra sorpresa, molte di quelle persone erano normali panamensi.
C’era una donna, Maylin, che era cresciuta in una famiglia cattolica ma aveva abbandonato la Chiesa all’epoca del suo coming out. Quando per la prima volta vide il nostro profilo Instagram, si mise a piangere: “Quello che vorrei chiedervi è: ma come fate a non arrabbiarvi in continuazione?”. Ascoltai la sua storia e le parlai con sincerità di una gerarchia che mi ha ferita, ma anche di una fede e di persone che mi hanno sostenuta.
Un momento molto importante della GMG è la catechesi mattutina, dove in vari punti della città ci sono vescovi che parlano in diverse lingue. Il giovedì mattina ci recammo in uno dei punti in cui parlava un vescovo anglofono.
Dopo il preambolo del vescovo ci fu un momento di domande e risposte. Mi misi in fila, e mentre aspettavo diventavo sempre più nervosa. Erano rimaste solo un paio di persone davanti a me, quando annunciarono che rimaneva tempo per una sola domanda. Mentre tornavo alla mia sedia, un ragazzo mi chiese cosa avrei voluto chiedere. Glielo dissi, e lui rispose “Avrei voluto sentire la risposta”.
Quella frase mi ridiede fiducia. Tornai dal moderatore e gli chiesi di fare una domanda. Mi disse che c’era poco tempo, e che avrebbe posto la domanda per me, ma io dissi con decisione “No, penso sia importante che lo faccia io. Sarò breve, ma per me è importante fare questa domanda”. Mi misi a parlare, tremando: “Una delle cose che amo di più della Chiesa Cattolica è l’enfasi data alla dignità di ogni persona. Come cattolica LGBTQI ho spesso l’impressione che la dignità mia, quella della mia famiglia e della comunità a cui appartengo non venga rispettata. Veniamo licenziate, ci negano i sacramenti, ci fanno sentire non desiderate nella Chiesa. Lei cos’ha da dire?”.
Il vescovo disse che non rispondeva di come singole persone mi avevano trattata, ma che siamo comunque tutti figli e figlie di Dio e il suo lavoro consisteva nell’amare e nell’essere fedele al Gesù delle Scritture. Fu gentile, e non parlò di peccato, ma la mia domanda rimase sostanzialmente senza risposta.
A dire il vero, non avevo mai pensato che una sua risposta potesse soddisfarmi, feci la domanda semplicemente per far sentire la mia voce e la voce della mia comunità, perché gli altri pellegrini LGBTQI sapessero che non erano soli.
La risposta del vescovo, paragonata a quella dei normalissimi cattolici che ho incontrato, conferma ciò che ho sempre saputo: la gente è sempre anni luce avanti all’istituzione.
* Tutti i nomi sono stati cambiati per proteggere le persone coinvolte. Quando a Panama ho parlato con queste persone, non prevedevo di scrivere di loro su un giornale nazionale.
** Meli Barber si è occupata di catechismo e animazione giovanile. Oggi fa parte del Movimento dei Lavoratori Cattolici, è assistente sociale e teologa da tavolino. Si è laureata in teologia all’Università cattolica di Notre Dame e ha un master in servizio sociale.
Testo originale: Our World Youth Day presence told LGBTQI Catholics they are not alone