Essere cattolica e queer, una lotta da prendere con leggerezza
Testimonianza di Dana pubblicata sul sito dell’I’m Local Project (Nuova Zelanda), liberamente tradotta da Silvia Lanzi
Dana è una delle meravigliose tirocinanti della Rainbow Youth e si identifica come lesbica e cattolica. Si è presa del tempo per parlare di ciò che, facendo parte di entrambe le comunità, ha dovuto affrontare.
Cosa viene prima: la percezione della tua sessualità o quella della tua fede?
Rido sempre quando me lo chiedono. Sono sempre stata una persona testarda, una che prende la strada più difficile perché non vede il motivo di fare quello che ha già fatto un’altra persona. Molte persone penseranno che, se fossi stata a mio agio con la mia omosessualità (mi piace come suona), non sarei mai diventata cristiana e difatti ero già una lesbica convinta quando mi sono convertita al cattolicesimo (sebbene “non praticante”, come i cattolici definiscono in modo ingenuo e adorabile una mancanza di… determinate esperienze). E sì, è stata una conversione come quella di san Paolo, compresa l’esperienza di Damasco. Avevo bisogno di qualcosa di drammatico, perché ci vuole una buona dose di testardaggine per diventare cristiana quando si sa già che alcune cose che insegnano le Chiese cristiane sono platealmente sbagliate. Ero indignata e ostile nei confronti del cristianesimo e il cattolicesimo era la Chiesa peggiore di tutte.
Ho iniziato a cercare un compromesso – “certamente posso trovare una Chiesa che mi accetti per quel che sono” – ma qualcosa mi spingeva verso la Chiesa Cattolica. Per come la vedo, Dio mi ha chiamato e mi ha mandato perché la Chiesa ha bisogno di me (e io ho bisogno della Chiesa). Così, me ne starò qui ferma e convinta finché non mi sbatteranno fuori a calci. Cosa che, col tempo, faranno. Tecnicamente, questo articolo basta per scomunicarmi, ma non credo di essere abbastanza famosa perché questo succeda.
Qual è l’aspetto più difficile dell’essere cattolica e queer?
È quasi impossibile. Ma non quanto si potrebbe pensare. Sembra che negli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio (il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1994, capitolo 3, articolo 7) ci sia posto solo per l’eterosessualità; la Chiesa stessa vede le espressioni sessuali non etero solamente come comportamenti lussuriosi, senza alcun risvolto spirituale o emotivo. Sono arrivata ad un punto nel quale sentir tuonare in chiesa “l’omosessualità è peccato” non mi fa più rabbrividire, ma ci sono comunque certi argomenti che mi fanno drizzare le orecchie.
L’anno scorso, quando è passato l’emendamento (stupendo! meraviglioso!) del Marriage Act, c’è stata una cerimonia religiosa in cui il sacerdote ha distribuito e letto ad alta voce una lettera alla parrocchia da parte dell’arcivescovo, che ricordava alla mia generazione, la “Generazione Y”, che l’emendamento era un attacco all’istituzione matrimoniale, almeno per quel che riguardava la Chiesa. Lo sentii come un affronto personale a più livelli, ma mi sentii più rabbia che vergogna.
La cosa più difficile è dover costantemente prendere delle posizioni dure contro la Chiesa che amo, quando vorrei solo aprire il mio cuore e posare il mio pesante fardello sulle spalle di una comunità pronta ad aiutarmi. Posso tener testa agli attacchi intellettuali: mi piace la sfida di giocare con le idee. Ma sono una persona fiduciosa ed è fastidioso dover stare sempre in guardia.
Con le tue convinzioni religiose, trovi difficile frequentare ambienti queer e viceversa?
Sì, in effetti da entrambe le parti mi domandano “come posso conciliare la mia fede e la mia sessualità”, con la convinzione che le due cose siano incompatibili. La fede, per me, concerne la relazione con Dio (e la religione è il modo che scelgo per esprimere/condividere la fede) e la sessualità non deve, o non dovrebbe, averci a che fare. Potrei facilmente fare la stessa domanda ai cristiani eterosessuali.
Tutti hanno difficoltà a “riconciliare” la propria sessualità con la propria fede, ma perché? È perché ad un certo punto fede e sessualità sono state messe in opposizione reciproca e l’attenzione quasi morbosa all’orientamento sessuale è solo un modo in cui si manifesta questo problema. Credo che negli ambienti queer menzionare la parola “Dio” porti a silenzi imbarazzanti e parlare di sessualità in ambienti religiosi può portare ad un dibattito odioso, anche senza accennare alla sessualità queer.
Credo che agli ambienti queer manchi quella profondità filosofica che nutre la mente, presente invece negli ambienti religiosi e, d’altra parte, questi ultimi possono diventare davvero molto intellettuali, perdendosi in reami talmente mistici da risultare sconnessi dalle emozioni fondamentali dell’essere umano e dalla sua fisicità. Credo che le due comunità possano arricchirsi a vicenda, condividendo la saggezza che hanno raggiunto separatamente. Questa libertà esplorativa è necessaria ma adesso è venuto il momento di unire le due esperienze.
Come ti senti nei confronti delle persone che condividono la tua fede ma rifiutano l’omosessualità?
Prima di diventare cristiana rifiutavo completamente la religione – e tutti quelli che la predicavano – a causa delle sue idee dell’omosessualità, ma credo che, viste dall’interno della tradizione religiosa, le cose siano un po’ più complesse. Ho incontrato un sacco di cattolici fantastici, che si sforzano di servire gli altri proprio come ha fatto Gesù (e fanno un lavoro migliore del mio!) e semplicemente non posso permettermi di giudicarli per la fede in una Chiesa che amo e ammiro anch’io.
Ci vuole molto coraggio e maturità spirituale anche solo a iniziare a confrontarsi con la visione del mondo con cui si è cresciuti e molti sono seguaci fedeli invece che esploratori di idee. Mi piace quando i miei pensieri influenzano quelli degli altri, ma non mi sogno nemmeno che tutti siano come me! Finché i cristiani mi trattano come figlia di Dio e difendono i miei fratelli e le mie sorelle dalle persecuzioni, non posso fargliene una colpa se credono in cose che mi irritano. Così anche per i leader spirituali: mi aspetto che agiscano in un certo modo, quale che sia la posizione tradizionale che hanno su certi argomenti. Il loro compito è portare le persone a Dio, non alienarle.
Che consiglio daresti ai giovani queer e trans* che vogliono esplorare la loro fede?
Trovare qualcuno in cui avere fiducia, qualcuno che sia sicuro della sua fede e abbastanza maturo da affrontare domande delicate e profonde. Non fidatevi di qualcuno solo perché è un leader religioso. Potrebbero essere persone meravigliose, ma se vi fanno dubitare delle vostre esperienze e della vostra identità, allora soffocheranno la vostra spiritualità e la vostra capacità di aprirvi agli altri. La fede è imparare ad ascoltare la voce di Dio dentro di voi.
Aiuta molto avere delle persone che vi guidano lungo il percorso e può essere una cosa molto positiva trovare una comunità in cui sentirsi al sicuro, ma il proprio cammino di fede non è determinato dalle reazioni altrui. Dio continuerà a starvi accanto e a guidarvi dove avete bisogno di andare. Avete già iniziato il vostro viaggio spirituale, confrontandovi con i vostri desideri più profondi ed entrando in contatto con il vostro io.
Se avete affinità con una tradizione particolare, non lasciate che qualcuno vi dica che è ostile all’omosessualità. È la vostra tradizione, e potete farci quello che volete. Appartenete a Dio. Abbiate questa certezza. Siate coraggiosi! La forza che vi darà la fede vi aiuterà a mantenere la vostra identità anche in un mondo che sembra ostile e vi fornirà la compassione per stare a fianco dei vostri fratelli e delle vostre sorelle ovunque siano e, vicino a voi, a chi soffre per il suo coraggio. La mia fede è la mia roccia. E nessuno me ne può privare.
Testo originale: I’m a Catholic and a Lesbian…Now What?