Essere un giovane cristiano gay. Scoprirsi tra i banchi di scuola
Testimonianza di Andrea del Progetto Giovani cristiani LGBT, prima parte
Sono un giovane omosessuale cristiano-cattolico di trentadue anni, che abita in una piccola diocesi della ricca e frenetica Lombardia. Finalmente, ho preso coraggio e “carta e penna” per scrivere una lunga, e spero utile, lettera-testimonianza rivolta in particolare ai giovani cristiani LGBT e alle loro famiglie. Reputo che le parole, come la Parola, hanno un forte potere terapeutico intrinseco e dunque ho cercato di sceglierle e selezionarle con attenzione e cura, con un linguaggio chiaro ed uno stile narrativo.
Infatti, come scrisse la celeberrima scrittrice Orianna Fallaci: “Vi sono momenti nella vita in cui tacere diventa una colpa, e parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre” (Cit. tratta dal libro “La rabbia e l’orgoglio”, Rizzoli, 2001).
Partiamo dalla mia storia personale, che ritengo unica ed irripetibile, ma penso fil rouge di molti giovani omosessuali, delle loro famiglie e del panorama ecclesiale italiano. Sono nato in una piccola ma vivace cittadina, in una famiglia legata alle tradizioni ma non tradizionalista.
Come tutte le famiglie, abbiamo sperimentato momenti sereni e positivi e momenti più difficili ed incerti. La mia infanzia è scorsa senza grandi scossoni, tra scuola (religiosa), baby-sitter, cartoni animati, rigori in cortile con mio fratello, eventi oratoriani, giochi e festine di compleanno con gli amichetti di merende, nonni, pic-nic e famiglia. Se ripenso a quegli anni, percepisco come la spiccata sensibilità, la riflessività e la tendenza alle grandi domande di senso è emersa spontaneamente e precocemente.
Quando penso all’emergere della mia affettività e orientamento psico-sessuale, mi sovviene sempre in mente come, già in quinta elementare, mentre i maschietti più furbetti volevano essere gli ultimi a entrare in stanza a far la visita medica e vaccinarsi per vedere le femminucce che iniziavano a prepararsi, a me la cosa lasciava semplicemente indifferente. Non ne capivo il motivo. O ancora, alle scuole medie, i miei compagni si dividevano tra guardare famelici i giornalini-porno all’uscita di scuola e le proverbiali querelle tra chi avesse tirato il limone più lungo in gita alla più bella della classe. Ancora una volta, mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, senza capirne bene il motivo. Mi dicevo, io non sono il tipo da queste cose. Ma potevo ancora confondere (e confondermi) bene, permettendomi di non farmi (e sentire) domande, questioni, epiteti, allusioni, facili giudizi, etichette.
La pre-adolescenza e l’adolescenza, come noto, apre scenari e problemi nuovi e spinosi. La vita per il “classico bravo ragazzo casa e chiesa” in un istituto scolastico professionale di una piccola città di Provincia non è esente da prove, per nessuno. Inoltre, come noto, le ragazze hanno spesso più intuito e civetteria, e paradossalmente, la mia omosessualità mi è stata ferocemente sbattuta in faccia ancora prima che ne fossi pienamente consapevole tra le aule e i corridoi di scuola… Purtroppo, di bullismo a sfondo omofobico e di formazione di docenti in merito non ve ne era allora come oggi e ho dovuto arrabattarmi da solo e con gli strumenti culturali ed emotivi che possedevo.
Cito solo un piccolo episodio, che rende bene l’idea: in un pomeriggio di primavera, ignaro, tornai a casa con lo zaino di scuola con su scritto con la scolorina a grandi caratteri maiuscoli “IO SONO GAY”. Lavai, solo e col cuore in gola, quella cartella per minuti interminabili. La conservo ancora oggi in cantina. Era il 2000. Non dimentichiamocelo, voltando velocemente lo sguardo su altro.
O ancora, quando in quegli anni leggevo in biblioteca comunale, trafelato e con le pagine del libro non troppo aperte, il C.C.C. (artt. 2357, 2358, 2359 – “castità e omosessualità”) sentivo rimbalzare e amplificarsi in testa parole come depravazione, disordine, prova, sacrificio, castità, preghiera… aprivo e chiudevo, riaprivo e chiudevo velocemente il libro, se passava qualcuno. Come i miei dubbi.
Per il resto, con sguardo sfuggente, contrastante e pieno di interrogativi, osservavo i miei coetanei spogliarsi nell’ora di ginnastica a scuola o dopo gli allenamenti di atletica leggera, durante l’attività sportiva. Tutto il resto, era relegato a mere fantasie fai da te. La solitudine abitata e l’angoscia muta ed innominabile di quegli anni è stata una costante, non sempre facile da sostenere ed elaborare nella propria stanza. Non esisteva una vita social, e gli amici reali erano i pochi e di sempre, sforzandosi in gruppo di essere sempre sul pezzo e “normale”. In fondo, mi dicevo, non mi mancava niente e andava apparentemente tutto bene.
In quegli anni, un servizio di counseling psicologico, è stato fondamentale per parlare, affrontare e approfondire alcune tematiche relative all’omosessualità, alla mia famiglia ed all’orientamento universitario post-diploma.
Come la gran parte degli adolescenti, dopo il Sacramento della Cresima il fuggi-fuggi generale dalla Chiesa locale è una prassi assai comune. Grazie alla semplice testimonianza di alcune famiglie della Parrocchia, ritornai frequentare la Santa Messa domenicale, i GREST estivi, i campi-scuola parrocchiali, le attività oratoriane in generale. Così arrivarono i primi incarichi ufficiali in Parrocchia: catechista e animatore di bambini ed adolescenti in oratorio.
Se la prima grande catechesi e affresco di iniziazione cristiana è stata nel focolare domestico (o, come preferisco io, la bella immagine de “la Chiesa del grembiule” del vescovo Antonio Bello), la seconda è certamente stata nel cuore della mia Parrocchia e dei suoi consacrati e consacrate, amorevole e prezioso specchio della Chiesa locale ed universale. Conservo nel cuore queste belle esperienze di prima amicizia con Gesù.
Così è volata la mia adolescenza, tra casa, studio ed oratorio, sino ad arrivare alla maturità col pieno dei voti. E molte domande sopite e chiuse nel mio personale vaso di Pandora. Scottava ancora troppo, aprirlo.