Essere gruppo. Appunti per una storia dei gruppi di omosessuali cristiani in Italia
Riflessioni di Gianni Geraci* del gruppo Il Guado di Milano
In un primo tempo avevo pensato di scrivere una vera e propria storia dei gruppi di omosessuali credenti italiani e ho iniziato a raccogliere del materiale partendo dal piccolo archivio che il Gruppo del Guado conserva.
Durante questo lavoro mi sono però accorto che, a fronte di esperienze molto ben documentate, ce ne sono altre che sembravano non aver lasciato traccia e dopo più di un tentativo infruttuoso di mettere a punto un testo capace di ricostruire tutte le vicende di cui ero venuto a conoscenza, ho deciso alla fine, di modificare in maniera radicale il mio progetto e di limitarmi a ricordare alcune esperienze particolarmente significative.
Il tutto in attesa di assistere all’inaugurazione dell’archivio dedicato al movimento degli omosessuali credenti italiani che è in gestazione a Torino (ndr aperto al pubblico il 30 gennaio 2009): se ciascun gruppo avrà l’intelligenza di mettere a disposizione il materiale che conserva, qualcuno potrà finalmente raccogliere, in un’unica storia, le tante storie che ho avuto l’opportunità di incontrare.
Ferruccio Castellano (Torino): il gruppo per cambiare il mondo
Tra il 13 e il 15 giugno del 1980 si teneva, a Praly, in provincia di Torino, il primo campo su Fede e omosessualità: era il risultato di un paziente lavoro di preparazione che don Franco Barbero[1] e Ferruccio Castellano[2] avevano portato avanti dopo che si erano conosciuti nel 1977. Ecco come don Barbero ricorda quell’esperienza.
“Era il 1977 quando ebbi la fortuna di conoscere Ferruccio Castellano, un giovane omosessuale credente che spesso mi raggiungeva in macchina da Torino.
Con lui nacque una comunicazione intensa. Avevamo, in verità, un’idea ‘folle’: perché non organizzare un convegno nazionale su fede e omosessualità? Ma i primi contatti ci diedero solo un ritorno di bocche cucite e di porte chiuse.
Una sera dell’estate 1979 salimmo ad Agape e presentammo al pastore Eugenio Rivoir, allora direttore del Centro Ecumenico di Agape, la nostra proposta. Tra noi fu subito intesa…
Bisognava parlarne, certo, ma si apriva una porta. Notate: quelli erano anni in cui non esisteva ancora il gruppo Abele e in Italia, a nostra conoscenza, non c’era alcun gruppo organizzato di omosessuali cattolici.
Il 13 – 15 giugno 1980 si svolse ad Agape un convegno partecipatissimo di cui esistono gli Atti. Fu un evento di libertà, di gioia e di speranza che incrementò, sia pure molto lentamente, nuove riflessioni e nuove proposte”[3] Più interessante per capire il clima che si respirava in quei giorni è il breve articolo che Ferruccio Castellano mandò a Massimo Consoli[4] il 26 giugno successivo.
“Ritiro spirituale? Non proprio. Pregano. Fanno la comunione e fanno all’amore con grande disinvoltura e soprattutto – e non si capisce bene il perché – rifiutano la pubblicità e mandano a casa i giornalisti saliti fin lassù.
Fin lassù, sì, perché Agape – questo è stato il luogo del raduno – si trova a 1600 metri sulle Alpi Cozie. Oltretutto è un luogo significativo per la sua storia e per i legami internazionali.
Ciò che avviene ad Agape valica subito le Alpi e ciò che succede oltr’alpe arriva presto ad Agape. Diciamo: un luogo di frontiera in tutti i sensi.
I partecipanti erano un centinaio e la maggioranza erano uomini omosessuali credenti italiani. Ma non tutti. C’è la frocia italiana emigrata tanti anni fa in Svezia e ridiscesa a vedere cosa succede nella vecchia patria dei latin lover.
C’è quella salita dal Sudafrica. C’è un po’ di tutto. E tutte le regioni italiane sono rappresentate, anche se la maggioranza proviene dal Nord.
Alcuni sono preti o pastori protestanti. Tra essi c’è don Franco Barbero delle comunità cristiane di base, che si dichiara etero, e il pastore battista Jean Doucé, del Centro del Cristo Liberatore, che dichiara la sua omosessualità.
Il tema del convegno era Fede Cristiana e Omosessualità, un tema contraddittorio perché, come ha affermato in apertura Ferruccio Castellano – un giovane torinese impegnato da dieci anni nel movimento ecumenico e che ha tutta l’intenzione di restarci anche dopo aver dichiarato la sua omosessualità – «la fede cristiana e l’orientamento sessuale sono due realtà indipendenti».
«Io credo – dice un altro alla fine – che il percorso dove l’omosessualità incrocia la ricerca cristiana può diventare anche il luogo di una insospettata freschezza dell’Evangelo».
«Non si è trattato di un congresso – precisa uno degli animatori – ma di tre giorni di riflessione, di confronto, di gayezza». Difficoltà con la gerarchia? «A noi interessa più il Vangelo che il papa», risponde secco.
E nel clima eccezionale di questi giorni, dove più che a pensare al papa si pensa a fare amicizia, c’è persino chi rilancia un motto: Liberté, Diversité, Fraternité. Sorprese del riflusso!
«Abbiamo delle difficoltà a essere accettati in parrocchia – dice un militante che è anche credente – ma non a entrare nei movimenti e nei collettivi esistenti, anzi molti di essi ci hanno aiutato, perciò non abbiamo bisogno di creare un movimento specifico di frocie cattoliche. Sarebbe assurdo».
Al termine dell’incontro è venuta una proposta concreta anche dalla Chiesa: le comunità cristiane di base hanno deciso di aprire le porte ai gay. Inoltre, è stato approvato all’unanimità un appello nel quale si chiede «che le Chiese cristiane alzino la loro voce contro le quotidiane violenze che si compiono contro gli omosessuali».
E detto dagli stessi cattolici, non è poco. Ad Agape è cominciato qualcosa: un nuovo modo di essere cristiani o un nuovo modo di essere omosessuali? Cos’è cambiato?”[5]
Si possono già indovinare le anime che si sarebbero poi confrontate dopo quel primo appuntamento.
Da un lato c’era l’esigenza di chi voleva costruire un luogo in cui esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale e la propria fede cristiana, rifiutando qualunque forma di visibilità: a casa si rimandavano a casa i giornalisti che salivano fino a Praly, nell’inutile tentativo di saperne qualche cosa di più.
Un’esigenza confermata dalla frase con cui uno degli animatori descrive l’esperienza di Agape: non un congresso, ma «tre giorni di riflessione, di confronto e di gayezza».
Dall’altro lato c’era chi aveva già un passato di militanza nel movimento GLBT e considerava inutile un’aggregazione specifica degli omosessuali credenti («Non abbiamo bisogno di creare un movimento specifico di frocie cattoliche. Sarebbe assurdo» dice infatti una delle voci riportate da Ferruccio nel suo articolo).
In mezzo c’erano infine quelli che vedevano l’omosessualità come un’opportunità capace di aiutare la Chiesa in quel cammino di aggiornamento che era iniziato con il Concilio Vaticano II, un’opportunità che poteva essere colta in pienezza solo se c’era un percorso di visibilità capace di interrogare la gerarchia.
In questo senso può essere letta la dichiarazione del partecipante che dice: «Io credo che il percorso dove l’omosessualità incrocia la ricerca cristiana può diventare anche il luogo di una insospettata freschezza dell’Evangelo».
Quale fosse l’atteggiamento di Ferruccio Castellano rispetto a ciascuna delle tre opzioni appena illustrate ce lo dicono le scelte ha fatto successivamente, quando ha fondato il Gruppo Davide di Torino (che più tardi avrebbe scelto come nome definitivo quello di Davide e Gionata) e quando, all’interno del Gruppo Abele[6], ha iniziato a fare della propria esperienza di omosessuale, il punto centrale della sua attività di volontariato.
Nel 1981, ha deciso di uscire definitivamente allo scoperto e di pubblicare il libro Essere omosessuali[7].
Sempre nel 1981 ha pubblicato un saggio su Omosessualità e diritti umani[8] mentre nell’anno successivo ha tenuto, per conto del Gruppo Abele, una relazione che partiva dalla sua esperienza di omosessuale a un convegno pubblico organizzato dalla Cittadella di Assisi.
Ma forse i tempi non erano ancora maturi: da un lato non si vedeva nessun segnale di cambiamento nell’atteggiamento dei vertici della gerarchia cattolica, dall’altro erano pochissimi gli omosessuali credenti che se la sentivano di condividere questo lavoro[9].
La scelta della visibilità aveva poi avuto pesanti conseguenze nella vita di Ferruccio: la società per cui lavorava ha iniziato una vera e propria azione di mobbing nei suoi confronti e l’ha costretto, nel 1982, al licenziamento.
Rientrato a Torre Pellice dopo la morte della madre, ha trovato un posto di insegnante in una scuola professionale cattolica e ha dovuto fare i conti con un ambiente in cui non poteva più manifestare apertamente il proprio orientamento sessuale, rinunciando alla visibilità di un tempo[10].
Certe notizie, però, sono difficili da controllare e dopo che , pochi giorni prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, i dirigenti della scuola privata in cui lavorava gli avevano comunicato la decisione di non rinnovargli più il contratto, perché la sua omosessualità era di dominio pubblico, non ce l’ha più fatta e si è ucciso[11]. Era il 16 settembre del 1983.
Don Domenico Pezzini (Milano): il gruppo per crescere insieme
Nell’articolo che ha scritto per ricordare Ferruccio Castellano, don Domenico Pezzini ricostruisce molto bene le vicende che l’hanno portato a incontrare l’esperienza dei gruppi di omosessuali credenti.
“Tutto cominciò, per me, con una lettera inviata a “Rocca” da Giovanni Dall’Orto alla fine del ’79 dove si poneva in termini acuti e sofferti il problema dell’impossibile conciliazione tra l’essere cristiano e l’essere omosessuale.
Risposi a quella lettere, per dire sostanzialmente che, secondo me, l’adesione al Vangelo non costringeva l’omosessuale ad aver vergogna della sua natura, ma poteva costituire per lui anche una possibilità per viverla anche meglio.
Giovanni mi scrisse, mi invitò a un incontro a Milano con altra gente che aveva risposto alla sua lettera: la sede era il Fuori, la data il 24 febbraio del 1980.
Vi andai con molta titubanza, al pomeriggio, essendo impegnato il mattino. Trovai quattro persone: tra queste c’era Ferruccio, che peraltro aveva già scritto a “Rocca” per rispondere a Giovanni, una lettera in cui si dichiarava cattolico e omosessuale, e si firmava con nome e cognome.
Per me sarebbe finito tutto lì. Ma non per Ferruccio. Cominciò a scrivermi. In quel tempo stava preparando con il pastore Eugenio Rivoir quello che sarebbe diventato il primo campo di Agape su Fede e omosessualità: mi metteva al corrente del lavoro, insisteva perché ci andassi.
Non ci andai: per conto mio credevo di aver fatto abbastanza. Feruccio evidentemente non la pensava così.
Tornato dalle vacanze alla fine di agosto trovai una sua lettera con unito l’elenco dei partecipanti al campo di Agape: mi segnalava che un bel numero era di Milano e mi proponeva di fare ‘qualcosa’ cercando di contattare discretamente le persone.
Decisi di accogliere il suggerimento. Fu così che il 20 dicembre del 1980 ci trovammo nella casa di uno di noi: eravamo in sei e il risultato dell’incontro fu la volontà comune di incontrarci regolarmente una volta al mese. Nasceva così a Milano quello che oggi è il Gruppo del Guado.
Tre settimane dopo, all’insaputa l’uno dell’altro, Ferruccio radunava a Torino, presso il Gruppo Abele con cui lavorava già da tempo, i primi amici che avrebbero dato vita al gruppo Davide”[12].
Al contrario di Ferruccio Castellano e di don Franco Barbero, don Domenico Pezzini non veniva dal mondo del dissenso cattolico: dopo qualche anno di insegnamento nel seminario della sua diocesi d’origine, si era trasferito a Milano per continuare quegli studi di Letteratura inglese medioevale che gli hanno fatto conoscere Aelredo Di Rievalux[13], l’autore che, forse più di ogni altro, ha influenzato la sua azione pastorale con le persone omosessuali.
Non a caso, negli scritti che testimoniano i primi passi del Guado, emerge il progetto di educare le persone alla vita di relazione attraverso l’approfondimento della dimensione spirituale. Esemplare, da questo punto di vista è l’editoriale che don Domenico ha scritto per il primo numero del bollettino che il gruppo milanese ha pubblicato a partire dal 1982.
“L’immagine del guado che abbiamo scelto richiama una pagina biblica: la cosiddetta Lotta di Giacobbe con l’Angelo sulla riva del fiume Jabbok (Gen 32, 22-32).
Dopo aver fatto passare al di là dal torrente le mogli, le schiave, i figli e tutto quanto possedeva, Giacobbe resta solo e al calar della notte è aggredito da un «uomo che si avvinghiò con lui fino allo spuntare dell’alba».
Giacobbe si difende da quello che sente come un nemico, ma poi, paradossalmente, accorgendosi che si tratta di un essere superiore in cui è presente la divinità, gli dice: «Non ti lascerò se prima non mi darai la tua benedizione».
Gli chiede cioè di dargli quanto ha di buono, potremmo quasi dire che gli chiede di volergli bene e, insieme, gli rivela il proprio nome, che è come dire che gli si affida e gli si consegna.
Non è difficile riconoscere la traccia e il senso di tante nostre storie.
L’entrata improvvisa e violenta, nel nostro paesaggio di solitudine, di qualcuno da cui speriamo di ottenere la risposta al nostro bisogno profondo di amicizia, la ‘benedizione’ che possa aiutarci a vincere l’isolamento e l’insignificanza, una presenza che in certo modo ci aggredisce, contro cui lottiamo, perché se da una parte promette dall’altra chiede e può esigere quello che non vogliamo dare, la dialettica continua tra l’istinto di soverchiare l’altro e quello di abbandonarvisi, l’intuizione che in ogni forma di amore si fa, in qualche modo, l’esperienza della divinità e del bisogno assoluto e che quello che cerchiamo è alla fine Dio stesso.
Tutto questo noi lo ritroviamo nella storia di Giacobbe al guado di Jabbok. Ma il guado è anche un’immagine che descrive un passaggio, faticoso, ma pur sempre possibile, da una riva all’altra del fiume.
Gli omosessuali sono anche detti, e non certo con benevolenza, «quelli dell’altra sponda».
Se ci piace l’immagine è perché vogliamo che non ci sia né antagonismo né separazione tra gli uomini, ma una costante possibilità di passaggio da una sponda all’altra, per un incontro che avviene, magari, proprio in mezzo al guado.
Per noi però l’altra sponda significa soprattutto un approdo di liberazione, una terra dove poter vivere un amore purificato dall’egoismo e da tutte le ambiguità.
È una speranza, questa, che ci fa muovere verso i campi dell’amicizia e della fraternità, seguendo le indicazioni del Vangelo che resta, per molti di noi, un preciso punto di riferimento.
In questo senso c’è per tutti un’altra sponda verso la quale andare, insieme possibilmente, perché così la fatica si fa più leggera e, se uno inciampa, può trovare subito aiuto”[14].
L’obiettivo del gruppo diventava quello di proporre un percorso strutturato in tre momenti distinti: una crescita spirituale realistica, in cui la persona è invitata a partire da ciò che è, per superare, alla luce del Vangelo, i rischi di degenerazione che corre e per valorizzare, invece, ciò che di positivo già vive; l’invito a leggere la condizione omosessuale primariamente in termini relazionali, secondo gli schemi evidenziati molto bene dalla lotta di Giacobbe con l’angelo; la scelta di riscoprire nella letteratura spirituale che affronta il tema dell’amicizia quegli elementi che permettono a una persona omosessuale di integrare il proprio orientamento sessuale con un progetto cristiano di vita (e qui il pensiero teologico elaborato da Aelredo di Rievaulx sul tema dell’amicizia diventa un punto di riferimento importante).
Si trattava di un progetto che, pur non escludendo le preoccupazioni da cui partiva Ferruccio Castellano (e che l’avevano spinto a esporsi pubblicamente fino a pagare con la vita la sua scelta di visibilità) metteva però l’accento sulla necessità di crescere come gruppo e di sottoporre all’attenzione della Chiesa, per aiutarla a maturare un atteggiamento diverso nei confronti delle persone omosessuali, più che le testimonianze dei singoli (che restavano nell’anonimato), la testimonianza del gruppo nel suo insieme.
Il Guado si incontrava con cadenza mensile e privilegiava i momenti di confronto intorno a un tema che veniva proposto attraverso un approfondimento iniziale, fatto dallo stesso don Domenico o da un altro membro del gruppo.
La finalità principale degli incontri era quella di aiutare le persone a maturare una fede adulta, capace di spingerle a fare le loro scelte secondo coscienza, senza trascurare le esigenze di autenticità e di rispetto per l’altro, che vengono sottolineate nel Vangelo.
Nello stesso tempo venivano organizzati alcuni ritiri per coinvolgere chi, per motivi logistici, non poteva partecipare agli incontri milanesi. Lo stesso tipo di percorso don Domenico Pezzini lo ha poi riproposto ai gruppi che ha seguito in varie città d’Italia prima e dopo che, nel 1984, ha lasciato l’esperienza del Guado.
E così, mentre il Gruppo del Guado prendeva una sua strada che, in quindici anni, l’avrebbe portato, tra contraddizioni e ripensamenti, a ripercorrere il cammino di visibilità e di militanza all’interno della Chiesa, che Ferruccio Castellano aveva tentato, nascevano in varie parti d’Italia altri gruppi che avevano come obiettivo principale quello di aiutare i gay e le lesbiche cristiani a riconciliarsi con la propria biografia.
Augusto Degli Esposti (Bologna): il gruppo come protezione
Il problema della visibilità, intanto, iniziava a costituire un elemento di frizione tra il movimento omosessuale e i gruppi di omosessuali credenti: verso la metà degli anni ottanta, erano infatti iniziate ad arrivare le critiche di chi li accusava di essere inutili, perché incapaci, a causa della loro scarsa visibilità, di sollecitare, da parte della Chiesa, un atteggiamento diverso nei confronti dell’omosessualità.
In realtà le cose erano molto più complicate, perché vedevano convivere esperienze, come quella del gruppo Incontro di Padova, dove Gianluigi Giudici, un portiere d’albergo di Mestre, non aveva problemi a raccontare ai giornalisti le attività del gruppo[15], ed esperienze come quelle del Guado, che venivano descritte con queste parole:
“La nostra militanza è soprattutto un farsi prossimo di chi vive i nostri stessi problemi, la nostra stessa solitudine e ha le nostre stesse aspettative di conciliare omosessualità e salvezza.
Parlare di segretezza e di catacombe significa non capire il carattere principale della nostra attività. Se noi rifiutiamo o, meglio non cerchiamo un certo tipo di pubblicità è perché miriamo, prima di ottenere un consenso generico ed esteriore, a un coinvolgimento reale delle persone in una esperienza di vita che riesca a conciliare la propria sessualità con la Parola di Cristo.
Il consenso sociale pensiamo di meritarcelo mostrando che si può vivere la propria condizione omosessuale anche in modo non ‘disordinato’, sradicando quelle convinzioni per cui l’omosessualità sarebbe una scelta di egocentrismo basata sulla ricerca del piacere a qualunque costo ed in qualunque condizione. A questo scopo, più delle parole, serve l’esempio[16].
Esistevano però situazioni ancora più catacombali in cui, quello della visibilità, era considerato il ‘problema’ per eccellenza.
Esemplare, da questo punto di vista, è stata la vicenda del professor Augusto degli Esposti che era stato uno dei fondatori, nell’estate del1983, del gruppo In Cammino di Bologna.
Si trattava di una figura di primo piano nel mondo dell’associazionismo cattolico: nel 1973 si era parlato di lui come di un possibile presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana e la curia di Bologna gli aveva affidato l’incarico di segretario del Congresso eucaristico diocesano del 1987.
Sempre per conto della diocesi di Bologna aveva partecipato al Convegno ecclesiale che la Chiesa italiana ha tenuto a Loreto nel 1985 e, molto probabilmente aveva partecipato alla stesura della lettera che i gruppi di omosessuali credenti avevano deciso di mandare ai delegati.
“Un numero non indifferente di persone che sono venute a contatto con i nostri gruppi hanno da tempo lasciato ogni pratica religiosa, perché si sono sentiti in pratica rifiutati dalla Chiesa perché omosessuali.
Questa situazione ci fa soffrire, perché ci sentiamo di amare la nostra Chiesa e non ci fa piacere sentir denunciare la sua mancanza di accoglienza. Desideriamo che il nostro gesto appaia aperto e propositivo: non vogliamo atteggiamenti aggressivi e provocatori, ma siamo convinti che quello degli omosessuali sia un gruppo di persone che, sia nella Chiesa come nella comunità degli uomini, è lungi dall’essere riconciliato e ben accolto. Nella fiducia di essere ascoltati, pronti a iniziare un dialogo che siamo i primi a desiderare, salutiamo con rispetto fraterno[17].
Di certo, però, non ha potuto manifestare pubblicamente la sua adesione alle richieste che venivano fatte, perché aveva grossi problemi di visibilità ed aveva paura che il cardinal Biffi[18] o gli altri membri della direzione dell’Azione Cattolica, scoprissero il suo orientamento sessuale.
Una conferma di questa forte preoccupazione viene da un testo redatto nel 1985, in cui la scelta di essere un gruppo chiuso viene giustificata, tra l’altro, con l’esigenza di salvaguardare le persone che partecipano già alle iniziative del gruppo stesso[19].
Così inteso il gruppo di omosessuali credenti poteva aiutare le persone ad uscire dalla solitudine, allargando il perimetro delle loro conoscenze, senza però compromettere in alcun modo quell’atteggiamento di riserbo e di rifiuto di qualunque forma di visibilità che da molti era ritenuto indispensabile.
E così, dal gruppo come strumento per convincere la Chiesa a modificare il suo atteggiamento nei confronti dell’omosessualità (il progetto di Ferruccio Castellano), passando per il gruppo che, come il Guado, aveva come principale obiettivo quello di proporre un percorso formativo teso a conciliare, in un’ottica evangelica, la fede con la vita di relazione e l’orientamento sessuale di lesbiche e gay, si era arrivati a un nuovo modello di gruppo che, come principale obiettivo, aveva quello di aiutare quanti lo frequentavano già.
Purtroppo l’epilogo della vicenda umana del professor Augusto degli Esposti aiuta a capire come la paura di qualunque forma di visibilità possa talvolta risultare fatale.
Nei primi anni ’90, il cardinal Biffi aveva infatti chiesto a quello che si era rivelato come uno dei suoi più validi collaboratori, di accompagnarlo in un viaggio che intendeva fare in alcuni paesi Africani.
In realtà Augusto degli Esposti aveva ottimi motivi per rispondere di no alla richiesta del suo arcivescovo: era infatti immunodepresso a causa di un’infezione da HIV che aveva contratto negli anni in cui l’AIDS era ancora una malattia sconosciuta.
Non se la sentì però di dire la verità al suo vescovo e accettò di sottoporsi alle vaccinazioni che sono obbligatorie per quanti visitano i paesi tropicali.
Il risultato fu terribile. Al ritorno dal viaggio, Augusto iniziò a manifestare i sintomi delle malattie per cui si era vaccinato: con un sistema immunitario compromesso alcuni dei vaccini a cui si era sottoposto avevano avuto l’effetto di provocare un’infezione fatale. Morì l’11 settembre del 1992. Aveva 52 anni e i veri motivi della sua scomparsa sono sempre stati accuratamente taciuti.
Don Pippo Ghiozzo (Catania): il gruppo come strumento pastorale
La parrocchia del SS. Crocifisso della Buona Morte a Catania, è al confine tra due zone molto diverse della città. Alle spalle della chiesa ci sono decine di palazzi costruiti secondo i canoni in voga negli anni sessanta: appartamenti spaziosi e ben organizzati ai piani alti, negozi con grandi vetrine che si affacciano su portici dagli alti soffitti al livello della strada. Si trattava delle case destinate alla buona borghesia della città in un epoca in cui tutto ciò che non era nuovo veniva visto con disprezzo.
Di fronte alla chiesa, proprio alle spalle di piazza Giovanni Falcone, c’è invece un vasto quartiere dall’aria fatiscente. Casette basse dall’aspetto malsano che sono riuscite a sopravvivere alle speculazioni edilizie del dopoguerra.
Poca luce in un reticolo di vicoli e di strade su cui si affacciano negozietti di poche pretese che, solo Dio sa, come fanno ancora a sopravvivere nell’epoca dei centri commerciali. In realtà, molte saracinesche restano abbassate anche di giorno e sono tantissime le abitazioni che si affacciano direttamente sulla strada. Non siamo a Genova, ma l’atmosfera è quella che De Andrè descrive con i testi della sua “Città vecchia”.
Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo.
E’ questo che deve aver pensato don Giuseppe Ghiozzo quando, negli anni settanta, è arrivato nella parrocchia che gli era stata affidata.
Ha così deciso di aprire le porte a quelli che abitavano dall’altra parte della piazza: gente che si sentiva a disagio in una chiesa in cui la maggior parte delle persone ti guarda dall’alto in basso. Ha cercato di aiutare le ragazze che si prostituivano nei bassi di Catania. Ha aperto una porta a chi non sapeva dove andare dopo che le cose si erano messe davvero male.
Ha offerto una parola buona a tutti quelli che lo andavano a trovare, ma soprattutto ha proposto alla sua parrocchia di farsi carico dei problemi di quelli che, nelle altre chiese, si sentivano esclusi.
La comunità ha risposto e, dopo più di trent’anni, è ancora unita al suo don Pippo, senza meravigliarsi per le tante persone così diverse che partecipano alla messa festiva.
Tra queste persone, a partire dal 1990, ha iniziato ad esserci un gruppetto di omosessuali credenti che, non venivano certo dai bassi di Catania, ma che avevano trovato in don Giuseppe Ghiozzo un valido punto di riferimento.
Il gruppo ha deciso di chiamarsi Fratelli dell’Elpis (per sottolineare il progetto di aiutarsi l’un l’altro a non perdere la Speranza) e ha iniziato a trovarsi regolarmente nelle strutture che la parrocchia del Santissimo Crocifisso ha di fianco alla Chiesa.
Con il tempo ha poi acquistato una sua visibilità anche perché don Giuseppe non ha mai nascosto questa nuova frontiera pastorale che era stato chiamato a vivere: alcuni quotidiani della città sono andanti a cercarlo, mossi dalla voglia di scandalo che spesso anima la stampa, ma i servizi che alla fine sono stati pubblicati non fanno altro che registrare l’assoluta normalità di questa esperienza straordinaria: anche gli omosessuali sono chiamati a partecipare in pienezza alla vita della Chiesa.
Il paziente lavoro di integrazione tra la comunità parrocchiale (e la Chiesa catanese più in generale) e il gruppetto di omosessuali della città è proseguito tranquillamente, senza strani avventurismi, ma anche senza compromessi ipocriti, come dimostra l’idea di organizzare nei locali dell’Azione Cattolica (di cui don Giuseppe era stato assistente spirituale negli anni sessanta) un incontro per lo scambio di auguri tra i gay cattolici e i loro amici.
Per la prima volta in una città italiana, un gruppo di omosessuali credenti è entrato a pieno titolo nella normale vita della parrocchia che lo ospita, comunicando, all’intera comunità, gli argomenti delle sue riunioni, magari tra un annuncio della San Vincenzo che cerca volontari per la raccolta degli indumenti usati e le intenzioni che il Papa propone a quanti partecipano all’Apostolato della Preghiera.
Don Franco Barbero (Pinerolo): un gruppo di omosessuali in una Comunità di Base
Ho già parlato di don Franco Barbero all’inizio di questa storia, è stato infatti lui che ha aiutato Ferruccio Castellano ad organizzare il primo campo di Agape.
La forza di don Franco Barbero credo che sia quella dell’uomo che ha avuto il coraggio di vivere sulla sua pelle le parole che predicava: fedele all’annuncio di una Chiesa che si fa povera e che non si appoggia ai poteri forti per dare continuità al suo mandato, ha scelto di rinunciare al sostentamento del clero e ha vissuto in prima persona l’esperienza del prete lavoratore; fedele al messaggio di Gesù che dice che tutto quello che viene fatto ai più piccoli è, in realtà, fatto a lui, ha aperto una casa di accoglienza nella sua città e dedica buona parte del suo tempo a questa attività; fedele all’invito secondo cui bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, ha chiesto alla sua Comunità di Base se voleva seguirlo nel cammino tormentato di chi, a un certo punto, viene esonerato dalle istituzioni ecclesiastiche[20].
Durante i numerosi incontri che ho avuto con don Franco ho avuto anche occasione di parlare del suo rapporto con i gruppi di omosessuali credenti e ho scoperto che, quando ancora Ferruccio Castellano viveva con entusiasmo il suo impegno per superare il rifiuto e l’indifferenza delle gerarchie ecclesiastiche, lo stesso don Franco, che l’aveva aiutato a muovere i suoi primi passi, aveva preferito lavorare nella sua Comunità di Base a Pinerolo per aiutarla ad accogliere nel modo giusto le persone omosessuali con cui entrava in contatto.
Non so se il tragico epilogo della vicenda umana dello stesso Ferruccio abbia influenzato le scelte che lo stesso don Franco ha poi fatto negli anni ottanta: di sicuro c’è il fatto che, per più di vent’anni, nessuno ha pensato di far partire a Pinerolo un gruppo di omosessuali credenti.
Il motivo era semplice: non c’era nessuna esigenza di creare un gruppo specifico che si incontrasse su temi che potevano essere tranquillamente discussi e vissuti con tutti i membri della comunità stessa.
Si poteva dire che la comunità Viottoli di don Franco Barbero cercava di realizzare in anticipo quello che don Domenico Pezzini ha descritto come un suo sogno.
“L’ideale che mi figuro è che i gruppi di omosessuali credenti scompaiano e che lascino in eredità quello che mi sembra sia il frutto più prezioso del loro modo di incontrarsi: un’immagine di Chiesa dove la fragilità condivisa sia la base di partenza, e la cura delle relazioni tra le persone l’obiettivo principale.
Sto a fatica in una Chiesa dell’arroganza e delle sicurezze. Mi trovo più a mio agio in una Chiesa della compassione e della gioia. Ma questo comporta che la debolezza venga messa al centro, e non esclusa o malamente ricoperta come un ingrediente fastidioso. Forse è questo il servizio maggiore che i gruppi di cristiani omosessuali possono dare alla loro Chiesa[21].
Sono stati i contatti che lo stesso don Franco ha comunque mantenuto con i gruppi di omosessuali credenti sorti, nel frattempo, in varie parti d’Italia che hanno infine portato alla nascita del primo gruppo di omosessuali credenti attivo in una Comunità di Base in Italia.
C’è infatti un momento che può essere considerato un punto di svolta nell’attività pastorale che lo stesso don Franco ha da sempre portato avanti con lesbiche e gay: si tratta del World Pride 2000.
In quell’occasione, dopo che da parte della Santa Sede era stato tentato l’impossibile per impedire una manifestazione che veniva ritenuta offensiva per lo spirito del Grande Giubileo (ma la storia ci ha insegnato che per alcuni è sempre offensiva la scelta di un omosessuale di uscire allo scoperto e di dire finalmente la verità) era stata presa la decisione di aprire il Pride con un convegno dedicato al tema: “Omosessualità e religioni”.
Tra i relatori, dopo che il vescovo francese Jacques Gaillot era stato stoppato all’ultimo momento dal Vaticano, l’unica voce di un ecclesiastico cattolico che era rimasta era proprio quella di don Franco Barbero che, dopo essere arrivato di corsa su uno scooter che era andato a prenderlo all’aeroporto, ha proposto quella che io ancora giudico una delle riflessioni più lucide sulla vocazione degli omosessuali credenti.
“In questa spiritualità cristiana in cui campeggia per ciascuno/a la chiamata di Dio ad amare, anziché cercare nascondigli, anziché esaltare la rinuncia all’amore secondo la propria natura e negarsi con un celibato imposto o doversi far accettare con un matrimonio eterosessuale, gli omosessuali e le lesbiche stanno compiendo il grande e benedetto cammino di Abramo: «Abramo, vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò.
Farò di te un grande popolo e ti benedirò…e diventerai una benedizione… E in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen. 12,1-3). Mi piace leggere questa partenza di Abramo, questo suo uscire dal nascondiglio della propria terra, cultura e gente come metafora e parabola dell’uscire allo scoperto di molti omosessuali e lesbiche.
Il recinto non promuove la vita. Occorre più spazio! Ma per partire ci vuole una decisione così coraggiosa che la Bibbia la esprime plasticamente nei termini di un duro ordine, di una ingiunzione ripetuta ben tre volte da parte di Dio. Più che di un invito pressante, qui si tratta quasi di una ‘cacciata’, di una ‘espulsione’. Abramo non partiva se Dio non lo sradicava. Poi «Abramo partì».
Ecco il ‘miracolo’ di cui siamo testimoni oggi. Mentre molti dicono e urlano «Abramo non partire!», gli omosessuali e le lesbiche che diventano consapevoli del loro dono di Dio, della chiamata, della vita più piena che sta davanti a loro…, partono ed escono allo scoperto.
E Dio, come per Abramo, è la loro compagnia. Certo c’è subito chi si separa da loro, ma il ‘paese’ che si apre davanti ai loro occhi è «numeroso come la polvere della terra» (Genesi 13). Se la strada si fa difficile occorre credere nella compagnia e nella promessa di Dio: «Guarda in cielo e conta le stelle» (Genesi 15).
E’ il cielo, il sorriso di Dio, la sua mano amica che dà il coraggio di partire, che mette nel cuore voglia di libertà e di felicità, che fa sentire l’amicizia, la solidarietà e il calore di tutti quegli uomini e quelle donne che si decidono per un cammino umano in cui si diventi gli uni per le altre una benedizione, rompendo quelle ipocrite perimetrazioni che le culture del dominio e della discriminazione hanno costruito.
Avete fatto bene, molto bene, ad iniziare ieri con il culto, con la predicazione e l’ascolto della Parola di Dio. Non basta la nostra forza per certe decisioni. Abramo ce lo ripete oggi. Tutta la vita di Gesù lo manifesta: senza la forza che viene dalla fiducia in Dio noi cristiani non possiamo compiere il cammino di liberazione. La parola di Dio è ‘scatenata’ perché non accetta di essere messa in catene, ma anche perché dove Dio ci dona la Sua parola si rompono tante catene.
La gerarchia vaticana e i credenti che oggi chiudono gli occhi di fronte a questa ‘benedizione’ e vogliono rinchiudere Abramo nel recinto di una piccola area e impedirgli di inoltrarsi ‘gaiamente’ per le vie del mondo, perdono una occasione storica di conversione e di rinnovamento.
Questo è un ‘Kairòs’, un’opportunità che Dio ci offre per comprendere e vivere più intensamente la nostra realtà di uomini e donne e per rendere più viva la testimonianza al Vangelo del regno di Dio. Dio è bello, è amico della vita e, ogni volta che noi ne facciamo il custode di un ordine ingiusto, bruttifichiamo il Suo volto.
Diciamolo apertamente: quando omosessuali e lesbiche respingono le false ‘alternative’ del nascondimento, della negazione di sé o di una solitudine forzata, essi diventano una benedizione che rallegra le loro vite, ma anche una benedizione di cui abbiamo bisogno noi, di cui hanno bisogno le nostre comunità cristiane, in primo luogo quelle cattoliche. Quando si cercano i sentieri dell’amore si diventa sempre una benedizione perché, per usare il linguaggio biblico, si vive nella benedizione, anzi si vive della benedizione”[22].
Sono state le migliaia di persone che hanno scritto a don Franco in seguito a questo suo intervento che hanno interpellato la sua comunità di base. Il desiderio di tantissimi omosessuali di incontrare una realtà ecclesiale capace finalmente di accoglierli per quello che sono e di valorizzare la loro specifica identità non poteva lasciare indifferente persone che vedevano nella Chiesa un luogo in cui realizzare in pienezza una convivialità delle differenze.
Ed è stato per i tantissimi omosessuali che chiedevano di parlare con don Franco che, a un certo punto, partendo dai pochi omosessuali che già la frequentavano, la comunità di base Viottoli di Pinerolo, ha iniziato a organizzare degli incontri che si rivolgevano in maniera specifica a lesbiche e gay. Si decise di far durare questi incontri almeno due giorni (in genere un week-end) per rispondere al problema, che molti avevano, di raggiungere Pinerolo da varie località di tutta Italia.
Per offrire ospitalità a tutte queste persone si chiese la collaborazione dei membri della comunità stessa, che hanno risposto con generosità e che hanno permesso, a tanti omosessuali, di sperimentare finalmente cosa significhi essere accolti per quello che si è all’interno della Chiesa.
In questo contesto lo spirito che anima il gruppo di omosessuali credenti La Scala di Giacobbe che è nato a Pinerolo è sicuramente diverso dalle varie motivazioni che hanno fatto nascere gli altri gruppi italiani: qui non si tratta più di testimoniare la propria condizione di omosessuale credente in una comunità ecclesiale, perché la realtà in cui si opera ha già compiuto il suo percorso di accettazione dell’omosessualità; qui non si tratta nemmeno di proporre alle persone un percorso educativo (come capitava al Guado dei primi tempi o come capita ancora nei gruppi fondati da don Domenico Pezzini) o di sostenerle nella paura che hanno della visibilità; qui si tratta di dare alla comunità cristiana che sceglie di essere fedele al Vangelo, un’ulteriore occasione di viverlo in pienezza, esercitando, nei confronti delle persone omosessuali, quell’atteggiamento di accoglienza che Gesù raccomanda ai suoi discepoli e che troppe comunità cristiane non riescono ancora a vivere.
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[1] Nato a Torre Pellice nel 1946, Ferruccio Castellano entrò in contatto con il movimento omosessuale nella metà degli anni settanta. Legato al dissenso cattolico e volontario presso il Gruppo Abele, ha organizzato i primi due campi di Agape su Fede o Omosessualità e ha fondato il gruppo Davide e Gionata di Torino. Può essere considerato il padre del movimento degli omosessuali cristiani in Italia.
[2] Presbitero della Diocesi di Pinerolo, nato a Savigliano nel 1939, don Franco Barbero ha fondato la Comunità di Base Viottoli di Pinerolo. In seguito alla sua riduzione allo stato laicale, avvenuta con un decreto di Giovanni Paolo II del 25 gennaio 2003, ha deciso di continuare, insieme alla sua comunità di base, le attività pastorali di frontiera in cui era coinvolto. Autore di numerosi libri e di tantissimi articoli, è uno dei punti di riferimento del dissenso cattolico in Italia.
[3] Franco Barbero, Il matrimonio gay e lesbico: nuova frontiera? In: “Viottoli” (17) 2006, p. 59
[4] Nato nel 1945 Massimo Consoli è stato uno dei protagonisti del movimento omosessuale italiano. Giornalista e scrittore, durante la sua vita, terminata per un tumore nel novembre del 2007, ha raccolto un vastissimo archivio che attualmente è custodito presso l’Archivio di Stato di Roma.
[5] Ferruccio Castellano, Impensabile! Gli omosessuali cattolici provano l’orgoglio gay! In: “Sabazio” (69) Settembre 2001
[6] Il Gruppo Abele di Torino è nato nel 1965. Alle prese con la tossicodipendenza, con l’alcolismo, con l’Aids, il carcere, l’immigrazione, l’omosessualità, si adopera per dar voce a chi non ha voce.
I servizi del Gruppo Abele sono indirizzati all’accoglienza delle persone che vivono il disagio, al lavoro nelle cooperative sociali, con un’attenzione costante anche alle attività culturali.
[7] Ferruccio Castellano, Giovanni Dall’Orto, Essere Omosessuali, Torino, 1981
[8] Ferruccio Castellano, Omosessualità e diritti Umani. In: AA.VV., I diritti umani nella chiesa cattolica, Pinerolo, 1981
[9] Scrive Giovanni Dall’Orto, nella pagina del suo sito dedicata a Ferruccio Castellano: «Ricordo che Ferruccio non fu entusiasta della sua creatura: lui veniva dalle Comunità di base di sinistra, e s’aspettava persone col suo percorso, per lavorare nei movimenti già esistenti (gay, o cristiani di base).
Il fatto che io e lui lavorassimo assieme, convinti di farlo per lo stesso scopo, ben simboleggiava il modo di vedere le cose in quel periodo. Tuttavia coloro a cui si rivolgeva Ferruccio avevano già altri spazi di militanza (compreso quello gay) e non erano interessati a sfinirsi con una Chiesa sorda e ottusa.
Ferruccio scoprì così che i cattolici che avevano bisogno d’un movimento erano l’esatto opposto di ciò che era lui: ciellini, focolarini, lefrebvriani… “Pensa che c’è perfino un monarchico!” mi disse una volta ridendo. Come sia possibile conciliare l’appartenenza all’ala più oscurantista della Chiesa ed essere gay praticante allo stesso tempo era per me un mistero…
Il punto è che neppure gli stessi interessati riescono a capirlo: da qui il loro enorme, costante bisogno d’aiuto… Ferruccio fu poco felice di scoprire che gli intervenuti non avevano la minima intenzione di portare testimonianza cristiana: a loro bastava che lui cercasse un prete che li assolvesse. Ne fu deluso e amareggiato» (cfr. http://www.giovannidallorto.com/testi/gaylib/castel/castel.html)
[10] In un biglietto scritto il 31 gennaio 1983 a don Domenico Pezzini e pubblicato sul Bollettino del Guado (5) 1983, riferendosi al suo nuovo lavoro di insegnante in una scuola privata, ha scritto: «Il mio lavoro va bene, ma rimpiango la libertà»
[11] Le circostanze precise della morte di Ferruccio Castellano le ho ricostruite partendo da una relazione che don Luigi Ciotti (fondatore del Gruppo Abele) ha tenuto il 23 gennaio 2001 presso la Libreria Bibli, in via dei Fienaroli, a Roma.
[12] Domenico Pezzini, Ricordo di Ferruccio. In “Il Guado” (5) 1983
[13] Aelredo è un santo cistercense vissuto nel XII secolo in Inghilterra. Entrato a 25 anni nel grande monastero di Rievaulx, ne divenne abate, poco più di dieci anni dopo. Autore di molte opere di carattere ascetico che ebbero un grande influsso nella vita spirituale del Medio Evo, Aelredo può essere considerato il santo dell’amicizia cristiana che, per lui, non è altro che una delle tante forme in cui l’uomo è chiamato a partecipare all’unica Carità di Dio.
[14] Domenico Pezzini, Il Guado. In “Il Guado” (1) 1982
[15] Si veda ad esempio l’inchiesta curata da Giuseppe Platone e pubblicata sulla rivista “Luce” (39) del 10 ottobre 1986
[16] Gianco Mangiarotti (1986) A proposito di una lettera aperta. In “Il Guado” (18) 1986
[17] Il testo della lettera è stato pubblicato su “Il Guado” (11) 1985.
[18] Nato nel 1928, il cardinale Giacomo Biffi, è stato arcivescovo di Bologna tra il 1984 e il 2003.
[19] Il testo di questo documento redatto nel 1985 si può trovare sul sito: http://gruppoincammino.blogspot.com/
[20] E’ datata 23 gennaio 2003 la lettera con cui l’allora Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger notificava a don Franco Barbero la decisione inappellabile con cui Giovanni Paolo II lo riduceva alla stato laicale.
[21] Domenico Pezzini, Esperienze pastorali con le persone omosessuali. In: Il posto dell’altro: le persone omosessuali nelle chiese, Manfredonia, 2000
[22] Franco Barbero, Dentro il cammino di Abramo. In: Il posto dell’altro: le persone omosessuali nelle chiese, Manfredonia, 2000