Essere lesbiche durante il nazismo: scomparire o morire
L’Europa festeggia l’ anniversario dalla Liberazione dalla dittatura nazista. Per l’occasione sono state pubblicate nuove opere su quel periodo storico, nuove analisi, nuove biografie.
Che cosa sappiamo della vita delle lesbiche durante il Terzo Reich? Praticamente nulla. La sorte delle lesbiche ha interessato raramente gli storici. Si è detto spesso che loro non avrebbero sofferto.
E’ stupefacente quando invece si sa che l’ideologia nazista considerava l’omosessualità come una tara e che ogni donna che non rispettava il suo ruolo di donna e di madre per perpetuare la razza pura attirava dei sospetti.
Rendere conto della persecuzione delle lesbiche in assenza di documenti concreti, di lettere, di testimonianze resta una sfida per gli storici.
Quasi l’unica ad interessarsi a questo aspetto della storia è una ricercatrice tedesca Claudia Schoppmann in cui leggiamo preziose informazioni date per la prima volta.
Claudia Schoppmann si rivolge alle testimonianze per restituire un’immagine della storia collettiva delle lesbiche che altrimenti rischia di perdersi.
Uno dei suoi saggi, Zeit der Maskierung:Lebengeschichten Lesbicher Frauen im Dritten Reich (Il tempo del mascheramento:storie di vita delle donne lesbiche nel Terzo Reich_purtroppo il libro scritto in tedesco e tradotto in inglese è ancora inedito in Italia ndt).
Il saggio ricostruisce la storia della repressione di lesbiche tedesche sotto il giogo nazista. In queste testimonianze si ritrova anche l’ambiente effervescente ed euforico della Berlino degli anni Venti(dal 1919 al 1932 vi fu un governo repubblicano socialdemocratico denominato Repubblica di Weimar ndt)
La città aveva un gran numero di caffè, di clubs, associazioni, negozi per lesbiche. Questo slancio e dinamismo si scontravano con virulenti attacchi lesbofobici.
Dal 1909 il governo tentava di includere le donne nel famoso Paragrafo 175 che condannava l’omosessualità maschile.
Più tardi, per molti anni, dei giuristi, dei criminologi, dei teorici del partito nazista fecero ancora pressioni perché l’omosessualità femminile entrasse nel Paragrafo 175. Per loro è “una minaccia alla purezza della razza “e un modo di “sottrarre le donne agli uomini e all’istituzione del matrimonio”.
Il lesbismo non entrerà mai nel Paragrafo 175 per varie ragioni: nella società tedesca le donne erano escluse dalle cariche politiche e amministrative importanti e quindi la loro influenza è poco temuta.
In più secondo conclusioni mediche di fine 1800 l’omosessualità femminile non sarebbe in contrasto con il desiderio di sposarsi e avere una famiglia. Questa teoria rafforza l’ideologia nazista che preferisce credere che l’omosessualità si curi.
La tesi dell’omosessualità innata diffusa in Germania potrebbe invece mettere in cattiva luce il concetto di “razza di amante pura”.
Infine le relazioni intime tra donne sono troppo frequenti, troppo difficili da identificare. Il modo migliore di “non incoraggiare la diffusione dell’epidemia” tra le donne è dunque tacere del lesbismo.
Così le donne sfuggono alle gravi condanne inflitte agli uomini omosessuali: 50.000 di loro sono stati condannati secondo il Paragrafo 175 . Tra loro 15.000 sono stati internati nei campi di concentramento e 10.000 non sono più tornati.
Al contrario il silenzio sulle lesbiche non consente di valutare la portata della loro persecuzione, spesso nascosta, nè di avere dei dati.
L’arrivo al potere di Hitler nel 1933 colpisce pienamente la comunità lesbica. Le retate nei caffè lesbici sono così frequenti che tutto si blocca rapidamente. A Berlino solo le sale interne di due o tre caffè aprirono clandestinamente.
La stampa lesbica è proibita, le associazioni disciolte e una testimonianza prova che i nazisti redigono liste di lesbiche.
Numerose testimonianze raccolte da Claudia Schoppmann dimostrano che le lesbiche vivevano nella paura di essere denunciate.
Temono anche a giusto titolo i licenziamenti perché le lesbiche sono denunciate quando sono “scoperte” sul loro luogo di lavoro.
La maggior parte delle donne intervistate raccontano che al fine di passare inosservate cambiarono la loro apparenza e adottarono un aspetto femminile corrispondente ai canoni nazisti.
La pressione sociale sulle lesbiche era così forte che molte si sposarono. L’unico modo di non essere perseguitata come lesbica è di rientrare nei ranghi e di non esserlo più. Si sa tuttavia che numerose lesbiche sono arrestate e mandate in campi di concentramento.
In “Zeit der Maskierung” si trova il racconto di Lotte Hahm, una delle più note lesbiche berlinesi, arrestata prima della guerra (la Seconda guerra mondiale scoppiò il 1 settembre 1939 quando la Germania iniziò ad invadere la Polonia ndt) e venne mandata in un campo di lavoro per anni per la sua attività, tra cui la gestione di clubs ed associazioni lesbiche.
La presenza di prigioni riservate alle lesbiche è provata in alcuni campi, come a Butzow dove le lesbiche erano maltrattate ed umiliate. Le SS incitavano i prigionieri del campo a violentarle.
Nel campo femminile di Ravensbruck le lesbiche portavano un triangolo rosa con la sigla LL cioè Lesbische Liebe (amore lesbico). Ma più spesso le lesbiche portavano il triangolo rosso di “asociali”.
Questo termine era per tutti coloro che non si adattavano alle norme. Comprendeva senza tetto, i disoccupati, le prostitute, gli omosessuali, gli zingari.
Sulla prostituzione Claudia Schoppmann riporta la testimonianza di un gay, Erich H., che aveva incontrato Elsa (di lei si conosce solo il nome)in un campo. Elsa lavorava a Posdam come cameriera e conviveva con la sua compagna.
Era stata arrestata perché lesbica ma era stata schedata come asociale a Ravensbruck. In seguito era stata deportata nel campo di Flossenburg dove la maggior parte dei prigionieri erano degli uomini “asociali” o “criminali” .
E’ nel bordello del campo che Erich e Elsa si rincontrano nel 1943. I bordelli erano stati costruiti dal 1942 in alcuni campi di concentramento.
Ci si vedeva un modo di aumentare l’efficienza dei lavoratori forzati nell’industria degli armamenti.
Secondo Claudia Schoppmann Himmler (un gerarca nazista ndr) considerava i bordelli come un modo per combattere l’omosessualità maschile.
Moltissimi prigionieri erano costretti ad entrare nei bordelli dei campi. Secondo Erich “ai nazisti piaceva particolarmente far lavorare le lesbiche nei bordelli. Pensavano che questo le avrebbe rimesse sulla retta via”.
Si pensa che Elsa dopo aver passato alcuni mesi nel bordello di Flossenburg sia stata deportata in un campo di sterminio (Auschwitz)e che lì sia morta.
Era effettivamente la sorte riservata dopo sei mesi alle donne che erano state mandate nei bordelli.
Le lesbiche se avevano la sfortuna di essere ebree erano chiaramente più minacciate. Claudia Schoppmann rievoca nel suo libro i casi di Henny Schermann internata nel marzo del 1940 e di Mary Punjer internata nell’ottobre del 1940, tutte e due a Ravensbruck.
Sono selezionate dal nazista Friedrich Mennecke che le dichiara “indegne di vivere”, come altri decine di migliaia di “pazienti”. Sulla “diagnosi” di Henny Schermann si legge “lesbica compulsiva, frequenta solo questo genere di caffè e circoli.
Non usa il suo nome Sara. Ebrea senza patria” (dal 1941 tutti i tedeschi ebrei erano stati privati della loro nazionalità ndt).
Quanto a Mary Punjar, secondo lui, era una “lesbica molto attiva. Frequenta senza sosta i club e si esibisce con le sue simili”. Henny e Mary sono state uccise nella camere a gas all’inizio del 1942.
Quante lesbiche come loro sono state sterminate durante il Terzo Reich? Quante sono state violentate, quante hanno dovuto nascondersi perché erano lesbiche?
La lesbofobia, che non è una prerogativa del Terzo Reich, rende oggi ogni valutazione impossibile.
Tuttavia sarebbe pericoloso minimizzare la persecuzione delle lesbiche sotto il pretesto che questa sia stata cancellata dai torturatori e dalla storia.
A quando altre opere così importanti come quella di Claudia Schoppmann?
(Ndt Sullo sterminio degli omosessuali in italiano sono stati pubblicati i seguenti libri: Massimo Consoli, Homocaust, edizioni Kaos; Heinz Heger, Gli uomini con il triangolo rosa, edizioni Sonda; Martin Scherman, Nazismo, fascismo e omosessualità ed. Gruppo Abele; mentre i registi Rob Epstein e Jeffrey Friedmann hanno realizzato l’importante documentario “Paragraph 175”).
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Testo originale: Lesbiennes sous le IIIe Reich: disparaître ou mourir