Essere gay, lesbiche e trans negli anni ’60. Lo Stonewall Inn ai tempi della rivoluzione
Testimonianza di Warren Allen Smith* tratta da The Villager (Stati Uniti), volume 73, n.7 del 18-24 giugno 2003, liberamente tradotta da Marta
E’ stato il periodo migliore. E’ stato il periodo peggiore. L’ambiente gay negli anni ’60 viveva un periodo completamente diverso. Un periodo in cui non era affatto impossibile, e neanche improbabile, innamorarsi ogni mese, o anche ogni settimana.
Era però un periodo pericoloso per essere apertamente gay. I medici che curavano le nostre malattie veneree ci rimproveravano per aver fatto ciò che avevamo fatto per ammalarci. Gli psichiatri stabilivano che eravamo malati di mente. I vicini di casa spettegolavano maliziosamente su chi fosse stato in visita da noi, la notte.
Gli affittacamere chiedevano alle coppie gay, desiderose di affittare, se fossero parenti. I monoteisti ci chiamavano peccatori, minacciandoci di non meritare il Paradiso, qualora non avessimo scelto di essere eterosessuali (rendendo tale invenzione teologica ancor più indesiderabile).
Se eravamo leggermente effeminati, rischiavamo di trovarci con un occhio nero, un labbro sanguinante, o peggio. A volte, per auto-difesa, accennavamo battute contro i gay, per sviare le persone. Anche se rimanevamo attentamente nascosti, era difficile giocare al “Gioco della Maggioranza”.
Quando ero il primo sergente responsabile di una compagnia che fece sbarco a Omaha Beach, nel 1944, io ci ho giocato, a quel gioco, difficile com’era. Nonostante allo sport preferissi la musica, l’arte, la poesia e il balletto, mi guardai bene dall’esprimermi al riguardo.
Quando ero sotto le armi, ogni volta che ottenevo un congedo sceglievo di viaggiare da solo. Chi, meglio dei gay può capire Dottor Jekyll e Mister Hyde, di Stevenson?!
Nel 1969, se Richard Nixon fosse morto sarebbe stato sostituito da Spiro Agnew, allora vicepresidente. Katharine Hepburn e Barbra Streisand erano alla pari come migliori attrici in lizza per un Oscar. 17761 e The Great White Hope2 si aggiudicarono i premi intitolati ad Antoinette Perry3.
Billie Jean King era una delle migliori tenniste. Se sottoposte a cure mediche, la gonorrea, la sifilide e altre malattie veneree non erano mortali. Una corsa in metropolitana costava 20 centesimi.
A New York il sesso si otteneva facilmente, sia di giorno che di notte. Nella zona di “The Ramble”4, a Central Park, il sesso omosessuale si verificava apertamente e, a quanto pare, vi si era sempre verificato sin da quando il parco, proposto da William Cullen Bryant5, aveva aperto per la prima volta…
In molti parchi di piccole dimensioni c’erano zone di incontro gay e tutti i parchi più grandi avevano aree di cruising. Diverse aree del Prospect Park di Brooklyn erano movimentate in questo senso.
La zona del Riverside Drive si estendeva dal Monumento ai Soldati e ai Marinai fino alla tomba del generale Grant, e poi su, oltre Harlem. I parchi lungo l’East River e le aree vicino Battery erano luoghi dove incontrarsi.
Il parco di Washington Square era invitante, particolarmente l’angolo a nord-ovest, dove i ragazzi si appoggiavano suggestivamente alle rotaie. Quando qualcuno chiedeva l’ora, in realtà stava invitando a seguirlo all’appartamento lì vicino.
Gli incontri erano seguiti da uno scambio di nomi e numeri di telefono – numeri sbagliati, chiaramente, se uno dei due pensava che avrebbe fatto meglio ad innamorarsi di qualcun altro, dopo averci passato la notte insieme.
La metropolitana nelle ore di punta poteva essere qualcosa di particolarmente erotico. Oggigiorno gli occhi che si concentrano nella zona del ventre sono alla ricerca di un portafoglio, ma appena arrivai in città, nel 1948, capii subito che ogni occhiata del genere veniva fatta per un’altra ragione.
I parchi e i bagni della metropolitana erano posti frequentati. In alcuni, il rumore di una porta nel venire aperta avvisava le persone all’interno di fermarsi per un momento, per assicurarsi che il nuovo arrivato non fosse un poliziotto in uniforme.
I poliziotti in borghese erano il vero problema, perché si divertivano a fare da esca e a lasciare poi una multa (e forse, all’arrivo in tribunale, a ricevere 400 dollari per scordarsi i dettagli della situazione, di modo che il giudice buttasse il caso).
Brando e Mr. Peepers6
Caffè, musei, grandi magazzini, l’opera, il balletto, l’orchestra sinfonica, gli stabilimenti balneari come l’Everard, locali come Mary’s sull’Ottava o il Cork Club sulla Settantaduesima, locali notturni come il Bon Soir, sempre sulla Settantaduesima (dove capitava di vedere Marlon Brando applaudire Mr. Peepers, il suo fidanzato Wally Cox), una libreria come l’Oscar Wilde Memorial Bookshop: erano tutti posti di cui potersi innamorare, sia per un breve periodo o, come nel mio caso, per quattro memorabili decenni davvero ricchi d’amore.
I luoghi prediletti da molti gay erano i cinema sulla Deuce7: il Victory, il Lyric, il Tames Square, l’Apollo, il Selwyn, il New Amsterdam, il Liberty, l’Empire e l’Harris.
Ma lontano dalla Quarantaduesima c’erano molti altri posti dove la gente veniva per osservare altra gente, e non per guardare dei film: l’enorme Adonis vicino all’Ottava Avenue e alla Cinquantacinquesima; il piccolo Roxy del Greenwich Villane; l’edificio un po’ fatiscente del Metropolitan, sulla Quattordicesima; e il posto più affollato di Manhattan, il Variety Photoplays, sulla Terza Avenue, a sud della Quattordicesima.
Molte persone, scappate da piccole cittadine omofobiche di tutto il paese, venivano attirate in questi luoghi dal passaparola – allora non c’erano guide disponibili -, persone desiderose di fare incontri, di essere incontrate e di dipendere dalla gentilezza degli sconosciuti.
All’estremità ovest di Christopher Street era difficile venire rifiutati, soprattutto se il proprio fisico, il modo di fare o l’atteggiamento piacevano a qualcuno. Di sera le aree poco illuminate del Village erano solite attirare molta gente.
Alcuni semirimorchi, parcheggiati e lasciati aperti in una zona che si trovava un paio di quartieri a nord di Christopher Street, divennero noti con l’appellativo “I camion”, e dozzine di uomini di tutti i tipi e di tutte le taglie lottavano disperatamente per trovarsi impacchettati nell’oscurità dei container di legno relativamente piccoli, dove il sesso anonimo era un evento comune.
Il bar gay che negli anni ’60 divenne famoso in tutto il mondo come simbolo dei diritti umanitari era lo Stonewall Inn. Qui, nella notte di un venerdì, il 27 giugno del 1969, scoppiò un conflitto importante che per anni era andato sviluppandosi a livello internazionale ed è stato descritto in Before Stonewall, di Vern Bullough.
Ciò che ricordo di quel bar è che era alquanto squallido. All’entrata si firmava un registro (raramente con il nome vero), si pagavano tre dollari per due alcolici da un dollaro (allungati con acqua, a quanto si dice) e si trovava un posto dove mettersi, o qualcuno con cui ballare.
Per gli uomini era illegale ballare con altri uomini, mentre le donne potevano farlo con altre donne. Per i teenager gay il posto era una specie di rifugio, un luogo dove potevano scegliere la musica e ballare con chi volevano. Abbondavano le storie secondo cui la violenza era di casa, in quei locali, che – così si diceva – erano di proprietà e gestione mafiosa.
Una fonte attendibile mi disse tuttavia di conoscere i due che avevano in affitto il locale, e che erano solamente due giovani imprenditori italiani e non tutti gli italiani sono legati alla Mafia. Almeno il bar era lì per tutti noi, per divertirci con i nostri compagni d’illegalità.
La ribellione ha inizio…
Poiché i locali erano frequentati da minorenni, e a causa della presenza di droga e della possibilità che avvenissero balli illegali o altri atti, la polizia frequentava apertamente i bar gay, anche per riscuotere eventuali mazzette.
Quel venerdì notte però alcuni dei dipendenti vennero arrestati. Ad alcuni clienti venne intimato di andarsene, mentre altri furono trattenuti. L’irruzione degenerò verso le due di mattina.
Anche se quella notte furono coinvolte circa un centinaio di persone, si può trovare un numero ancor più elevato di versioni, che raccontano quel che avvenne in modo contraddittorio, una situazione simile a quella di Rashomon.
Si dice che i clienti abituali, sia all’interno che all’esterno del locale, iniziarono ad urlare incattiviti “Potere gay”, a lanciare pietre, monete e bottiglie. Questo comportamento riottoso non piacque a tutti gli astanti, e si dice che alcuni abbiano iniziato a lanciare bottiglie contro gli omosessuali.
In una di queste notti la polizia si barricò all’interno del locale mentre questo veniva attaccato da alcune centinaia di persone all’esterno. Intrappolata, la polizia chiamò i rinforzi.
Ma quando i media riportarono l’escalation degli eventi, che catturava l’attenzione, le voci girarono velocemente e la notte successiva centinaia di persone ritornarono al locale. Quando ancora ero segretario di due diversi gruppi di veterani di Stonewall, ora entrambi sciolti, ho condotto molte interviste faccia-a-faccia con gente che confidavo avrebbe espresso con onestà la propria esperienza.
Uno di questi, Danny (che ora è diventato membro d’una azienda e non vuole che il suo cognome venga pubblicato), era tra i più credibili. Non aveva nessun interesse acquisito per esagerare o mentire.
Difatti smise di pagare le quote d’iscrizione ai gruppi, come fecero altri che divennero critici nei confronti di alcuni leader egomaniacali dei vari gruppi di veterani separatisti di Stonewall. Quando cinque anni fa intervistai Danny e misi in rete le sue memorie, lui rammentò come nel 1967 si fosse stupito di trovare ragazzi che ballavano con altri ragazzi allo Stonewall.
In qualsiasi bar era proibito stare al bancone dandogli le spalle, o sarebbe stato considerato un adescamento e il bar avrebbe potuto essere chiuso. Mentre si ballava, non ci si poteva neanche toccare.
“Nel 1969”, disse, “Ero un hippie che se ne stava andando allo Stonewall per ballare con il proprio amico Keith (che era a casa dal college per le vacanze estive).
Io e Keith parlavamo della rivoluzione che un giorno sarebbe arrivata. Credevamo che l’avrebbero iniziata gli Young Lords, o le Black Panthers.
Non avevamo la più pallida idea di cosa fossero i diritti gay. Avevamo entrambi vent’anni e il mondo stava cambiando così velocemente. Era nato un movimento delle donne, e la guerra in Vietnam stava continuando. Quell’anno, a marzo, c’era stato il primo raduno alla Grand Central Station, con circa 400-500 persone a fumare erba e cantare canzoni folk e contro la guerra.
La polizia assalì il raduno e prese a manganellate molti dei giovani e ci trascinò a forza nelle camionette, prendendoci per i capelli lunghi. Molte di quelle persone erano omosessuali.
La maggior parte degli omosessuali, dato il periodo e l’esistenza del movimento pacifista, avevano esperienza di manifestazioni. L’unico movimento gay di cui ero a conoscenza era la Mattachine Society8, e quella gente aveva più di 30 anni…e la maggior parte di noi non si fidava di chi aveva più di 30 anni!
“Quando io e Keith arrivammo, le camionette e le auto della polizia avevano già raggiunto il bar. Era normale che i locali gay subissero incursioni da parte della polizia. La gente iniziò ad urlare contro le forze dell’ordine e a lanciargli addosso monetine.
All’angolo della Settima Avenue c’era un edificio in costruzione, e qualcuno corse a prendere dei mattoni e iniziò a lanciarli. I poliziotti impazzirono! Data la localizzazione del bar, non c’era nessun modo per contenere la folla. Si poteva correre per la Quarta, la Settima Avenue, Waverly o Christopher Street e finire sempre e comunque di nuovo al bar”.
I ricordi di Danny erano identici ai miei, anch’io ero presente la seconda notte (sabato 28 giugno). Molti di noi non sapevano nulla del raid della notte precedente. Eravamo semplicemente parte di un avvenimento, e non attivi partecipanti di quello che finì per rivelarsi un importante evento storico.
Nonostante tutto, al bar si presentò una folla numerosa. Secondo il racconto di Danny, “Decidemmo di liberare il locale e riaprirlo per poter ballare di nuovo. Credo davvero che nessuno di noi pensasse che questo era l’inizio del movimento per i diritti gay.
Qualcuno trovò un tassametro e lo usò per fracassare e aprire le porte. Furono chiamati altri poliziotti. La rivolta riprese e fu dato fuoco a bottiglie della spazzatura, venivano lanciati cocktail Molotov e sembrava una zona di guerra! Il fatto è che, con la notte precedente, noi gay avevamo scoperto che avremmo sostenuto la nostra causa e combattuto insieme, qualcosa che non era mai successo prima d’allora. Eravamo così divisi quando si trattava dei nostri diritti”.
Io ero stato uno di quelli per strada che aveva lanciato un bidone della spazzatura e poi se l’era data a gambe levate per scappare da un poliziotto che mi inseguiva.
Gli altri ricordi di Danny si beffano dei miei: “Lo Stonewall era un gran posto, se eri giovane e gay. Molte notti ho ballato il Jerk o il Boston Monkey9, o qualche nuova mania in fatto di danza, finché il bar non chiudeva. Uscivo con molta gente che vi lavorava.
Barbara Eden, che faceva andare il guardaroba, era una mia cara amica, e frequentavo Frankie, che lavorava all’ingresso e a volte faceva il barista.
Lo Stonewall cambiò assieme ai tempi. Con l’avanzare degli anni ’60, installarono proiettori a luci nere e manifesti Day-Glo10. Il mio amante dell’epoca, Gorge, ci vendeva acido. Affrontiamo la questione: il posto apparteneva alla Mafia!”
“Un mito che sembra essere cresciuto attorno alla rivolta è che furono le drag queen ad iniziarla,” continuò Danny. “Non è così. Lì c’erano molte di quelle che chiamavamo “Flame Queens”.
Una Flame Queen indossava pantaloni attillati, magliette di Tom Jones e forse anche del trucco. Si pettinavano i capelli all’indietro ed erano molto effeminati, come Emory in Boys in the Band11. Gran parte dell’abbigliamento delle persone, all’epoca, era diventato abbastanza neutro.
Allora non ci si poteva vestire completamente da donna. Si dovevano indossare tre articoli d’abbigliamento maschile o si sarebbe stati arrestati perché ci si spacciava per una donna. Quasi tutti usavano il nuovo stile, unisex.
“Noi veterani di Stonewall eravamo solo un branco di ragazzini, non degli eroi”, continuò Danny. “Volevamo semplicemente ballare senza essere molestati. Nessuna sapeva che quella notte sarebbe stata considerata l’inizio del movimento gay. I miei eroi personali sono le persone che hanno dato vita al Fronte di Liberazione Gay e all’Alleanza degli Attivisti Gay. Voi eravate i veri motori e gli agitatori”.
Nessuno ha scattato fotografie
I disordini continuarono giovedì 3 luglio (1960). Al ristorante “Da Fedora”, un altro rifugio (gay), i clienti e gli avventori di quello che è uno dei più vecchi ristoranti a tradizione familiare di Manhattan (posseduto e gestito per 51 anni da Fedora Dorato) per decenni si sono scambiati le varie versioni di ciò che è accaduto.
Sfortunatamente, la ribellione non è stata fotografata né documentata professionalmente. Alcune versioni dell’avvenimento si possono comunque trovare in Stonewall (1994) di Martin Duberman, che ha fatto da base per un film omonimo del 1996.
Randy Wicker, il “sacerdote ateo”, assieme a Kay Tobin è stato co-autore di The Gay Crusaders, che raccoglie interviste con altri frequentatori dello Stonewall. Stormé DeLarverie12 è stata il soggetto d’un film del 1987, Stormé: The Lady of the Jewel Box. Cercate anche un libro su Stonewall dello storico David Carter, di prossima uscita.
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1 1776 è un musical di Sherman Edwards ispirato agli eventi che portarono alla stesura della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, nell’anno che dà il nome all’opera.
2 Opera teatrale di Howard Sackler, che racconta, in modo fittizio e idealizzato, la vita del campione di box Jack Johnson.
3 Si tratta dei Tony Awards, intitolati per l’appunto all’attrice e regista teatrale americana Antoinette Perry, attiva nella prima metà del ‘900
4 Area “isolata” di Central Park, lontana dai sentieri più battuti e per questo utilizzata dalla comunità omosessuale come luogo d’incontro.
5 Poeta e giornalista americano, editore del New York Evening Post, dalle cui pagine pubblicizzò la necessità di creare un parco all’interno dell’area cittadina, quello che sarà poi Central Park.
6 Personaggio principale di una sitcom televisiva americana andata in onda negli anni ’50. Interpretato da Wally Cox, Mr. Peepers è un insegnante di scienze di un liceo degli Stati Uniti.
7 La zona della Quarantaduesima Ovest che è compresa tra la Sesta e l’Ottava Avenue.
8 Organizzazione per la protezione e la conquista di diritti per gli omosessuali, fondata nel 1950.
9 Si tratta in entrambi i casi di balli molto in voga negli anni ’60.
10 DayGlo è un marchio di fabbrica, poi usato con accezione più generale per indicare quei poster che divengono luminosi o fluorescenti se illuminati dai raggi ultravioletti di proiettori a luce nera.
11 Dramma teatrale scritto da Mart Crowley, poi trasposto cinematograficamente nel 1970, per la regia di William Friedkin. In Italia il titolo è stato tradotto come Festa per il compleanno del caro amico Harold. E’ uno dei primi film americani a ruotare attorno a dei personaggi omosessuali.
12 Attivista gay, membro di un popolare gruppo di performance drag, il Jewel Box Revue.
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* Warren Allen Smith, nato il 27 ottobre 1921, è un attivista statunitense dei diritti dei gay e scrittore. Nel 1969, Smith ha partecipato alla rivolta di Stonewall ed è autore di “Who’s Who in Hell” (ed. Barricade Books, 2000) e Celebrities in Hell (ed. Barricade Books, 2002)
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Testo originale: Gay in the 1960s — the time was ripe for revolution