Essere omosessuali in Italia nel dopoguerra. Dal pregiudizio al lento cambiamento
Articolo di Andrea Pini pubblicato sul mensile “La nuova ecologia” nell’ottobre 2012, pp.51-53
Con la fine della seconda guerra mondiale l’Italia si liberava del fascismo, dell’occupazione nazista e riacquistava la libertà.
Anche gli omosessuali dell’epoca hanno vissuto la stessa atmosfera di allargamento – dei confini della libertà ma hanno incontrato limiti molto precisi, spesso non diversi da quelli del periodo fascista. Un episodio che riguarda il pittore Filippo De Pisis è emblematico a questo riguardo.
De Pisis aveva pensato che la Liberazione apriva le porte ad un mondo dove tutto fosse possibile, compresa una meravigliosa festa pagana e dionisiaca. E invece una doccia fredda, perbenista e conservatrice, lo riportò velocemente alla realtà: “Nel 1945, a Venezia, per solennizzare la liberazione, [De Pisis] organizza nel suo studio una grande festa.
I partecipanti che avrebbero dovuto essere tutti bellissimi, sarebbero stai coperti solo di gusci di granceola e i loro corpi decorati dallo stesso De Pisis. Tra gli invitati solo due donne, la scultrice Ida Cadorin e la critica d’arte Daria Guarnati. Dei tanti ragazzi che erano o erano stati i modelli di De Pisis, tutti invitati, scrive Comisso, egli ebbe l’idea poco diplomatica di scartarne uno.
Questi andò a raccontare alla sezione comunista del quartiere che nello studio di De Pisis si stava preparando una grande orgia. Vestiti sommariamente, col corpo e il volto dipinti, i partecipanti alla festa vennero accompagnati in questura dai partigiani armati” (Francesco Gnerre, L’eroe negato, Baldini & Castoldi, 2000).
Infatti anche in quel periodo valeva il principio del “si fa ma non si dice” e la forte carica erotica e omoerotica che accompagnava la speranza di una rinascita doveva essere vissuta senza esibizioni. C’erano così tanti soldati e giovani sparsi dappertutto, sempre molto disponibili, e gli incontri omosessuali accadevano di continuo, ma non si doveva mostrare.
Ci racconta Gian Piero Bona, rampollo di un’ottima famiglia della borghesia industriale torinese, che, con la Liberazione, lui poteva permettersi di invitare a casa soldati americani incontrati per strada, cosa che rientrava nello spirito di apertura del periodo. E con quello spirito Gian Piero faceva l’amore, ma di nascosto, con quegli stessi soldati.
La caduta del fascismo non aveva spazzato via il controllo sociale sull’omosessualità, tutt’altro. La morale “pubblica” era sempre sotto la mannaia della Chiesa cattolica e dello Stato, il potere politico significava Democrazia Cristiana, cioè perbenismo e ossequio al Vaticano.
Lo Stato democratico italiano aveva mantenuto tutte le forme di contenimento poliziesco come le denunce per atti osceni, offesa al pudore, corruzione dei minori (che allora erano tali fino a 21 anni), resistenza a pubblico ufficiale e oltraggio, fogli di via, fermi cautelativi, confino, e, dopo la legge Merlin del ‘58, favoreggiamento, sfruttamento e induzione alla prostituzione!
Misure che la polizia usava diffusamente contro gli omosessuali che la notte popolavano alcuni parchi e strade delle grandi città, non certo perché fossero dei delinquenti ma semplicemente perché erano omosessuali.
Bastava una denuncia per atti osceni o per adescamento e l’omosessuale diventava un “pregiudicato”, uno che la Polizia poteva anche ricattare. Racconta Dominot, un artista che dalla fine degli anni ‘50 vive a Roma, di essere stato innumerevoli volte fermato dalla polizia perché “batteva” il marciapiede e di aver passato varie notti a Regina Coeli.
Anche la magistratura faceva la sua parte repressiva e punitiva: moltissime le sentenze di condanna nei confronti di gay in quegli anni per le varie imputazioni sopra riportate. E agiva anche sul fronte della censura: non si contano i libri condannati al rogo perché ritenuti immorali, come ad esempio quelli di Giò Stajano, il blocco di film, spettacoli teatrali, sempre a danno di autori gay che osavano rappresentare il vizio nefando senza condannarlo!
Ne hanno fatto le spese, fra gli altri, Bernardino Del Boca, Luchino Visconti, Giovanni Testori e soprattutto Pier Paolo Pasolini.
In Italia aveva una notevole influenza anche il Partito comunista italiano che aveva partecipato alla stesura della Costituzione. Dopo il ‘47 era diventato il principale partito
di opposizione, ma la sua cultura politica in tema di comportamenti sociali e di morale non si discostava da quella della maggioranza democristiana.
In quel clima bigotto erano invischiati anchel’intellighenzia e la borghesia illuminata e pro-gressista, gli intellettuali e gli scrittori. Quando Umberto Saba, in pieni anni ’50, fece leggere ad Elsa Morante il suo manoscritto Ernesto, che narrava di un amore omosessuale, la Morante gli consigliò di non pubblicarlo.
Quel romanzo fu pubblicato solo nel 1975, dopo la morte di Saba. Anche i romanzi giovanili di Pasolini, Atti impuri e Amado mio, scritti negli anni ’40, uscirono solo nel 1982.
Altrettanto nota è la vicenda che ha travolto Pasolini nel 1949 quando, ancora sconosciuto, fu espulso dal Pci per indegnità morale, accusato di aver avuto rapporti sessuali con alcuni ragazzetti di un paesino friulano vicino alla sua Casarsa. L’episodio divenne di dominio pubblico solo perché Pasolini era un responsabile locale del Pci, inviso alle autorità ecclesiastiche e alla Dc friulane, e la denuncia fu possibile grazie al coinvolgimento del parroco e con il sacrilego utilizzo di una confessione di uno dei ragazzetti coinvolti.
Fu proprio in quell’occasione che il Pci definì degenerazione borghese il vizio dell’omosessualità. Condannato a 3 mesi per atti osceni, perse anche il lavoro di insegnante, nessuno lo difese, né dentro né fuori il partito, e Pasolini fuggì dal suo Friuli e si rifugiò a Roma.
Eppure accanto a tutto questo moralismo perbenista la società di allora viveva parallelamente un’epoca di fiducia e di apertura. Esistevano due Italie, come in un contesto diverso è vero ancora oggi: una ufficiale, quella della politica, della chiesa, della polizia, della magistratura, dei giornali per la quale l’omosessualità era un fatto inaccettabile, immorale, vizioso, perverso, da tenere il più possibile soffocato e innominato, e un’altra Italia godereccia e permissiva, pronta ad approfittare degli spazi di libertà consentiti, che praticava il sesso omoerotico in gran quantità e ovunque capitasse, senza particolari problemi morali.
Una doppia morale che poteva coesistere anche nella medesima persona, e anche questo è un fatto che non ci è estraneo nel presente! Quella doppia morale che ha permesso a intere generazioni di omosessuali italiani di avere un discreto spazio di manovra e di godimento, purché nell’ombra.
In anni in apparenza bui e terribili per i diritti delle persone omosessuali, mentre per una parte di loro ci sono stati scandali, sequestri, denunce, omicidi, la maggior parte dei gay italiani è comunque riuscita ad avere una vita soggettivamente piacevole e a volte esaltante.
La soluzione “magica”, come afferma Arbasino, era non dire, non pronunciare la parola. E questo discorso era vero prima di tutto a livello sociale e poi individuale. Ma il negare a sé e agli altri la propria identità profonda – una scelta condivisa in quel tempo, e che poteva essere in qualche modo sopportata senza troppe conseguenze negative – non lo è più oggi, in un contesto storico e – sociale completamente mutato.
Il cambiamento è iniziato nei primi anni ‘70, con la nascita del movimento gay, quando anche in Italia è partito un lento percorso di emancipazione e di rivoluzione dei costumi.
Da allora gli omosessuali hanno iniziato a parlare in prima persona e hanno contribuito in modo decisivo alla messa in discussione dei pregiudizi omofobici, un lungo lavoro che è ancora lontano dall’essere soddisfacente, almeno in Italia, dove mancano sia leggi di matrimonio civile omosessuale e adozioni, sia leggi antidiscriminatorie.
* Andrea Pini vive e lavora a Roma, dove insegna alle scuole superiori. Milita nel movimento gay dal 1979 ed è tra i fondatori del Circolo Mario Mieli. Ha collaborato con Arcigay e con le riviste Lambda e Babilonia. Attualmente scrive per Pride. E’ autore di Omocidi. Gli omosessuali uccisi in Italia (Stampa Alternativa, 2002) e di Quando eravamo froci (il Saggiatore, 2011)