Essere pane per la vita di tutti (Gv 6,24-35)
Testo di Paolo Spina* pubblicato sul settimanale Adista Notizie n.6552 del 3 luglio 2021, pag.15
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete». (Gv 6,24-35)
Giovanni, in questo capitolo, non parla di “moltiplicazione” dei pani e dei pesci. Le pagine precedenti si sono limitate a descrivere ciò che ha fatto Gesù: «Prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede» alla folla (Gv 6,11). C’è un segno di sproporzione: cinque pani e cinquemila uomini. C’è, più ancora, il segno grande: l’opera di Dio.
“L’opera di Dio”: sarebbe più immediato pensare a qualcosa di sensazionale. Cos’altro potrebbe operare Dio per me, per ciascuno, se non un generico ma tangibile miracolo come un mondo migliore, di pace, di benessere? Cosa porta Gesù, colui che è mandato (proprio!) a me? «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Può sembrare vuota retorica: Gesù, semplicemente, ha portato Dio. Di più: davanti al pur comprensibile desiderio di un Dio dei doni, il pane offerto da Gesù porta con sé, invece, Dio come dono.
Un Dio cosi è più vicino a noi di quanto possiamo immaginare; la sua opera non è un teorema da dimostrare, né una ricompensa da meritare, magari attraverso altre opere, solo nostre, per Lui: «Questa è l’opera di Dio: che voi crediate». Credere, cioè fede che si racconta, magari cosi: «La fede vera è quella che anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare; è quella che ci porta a proteggere i diritti degli altri, con la stessa forza e con lo stesso entusiasmo con cui difendiamo i nostri» (papa Francesco, omelia, 29 aprile 2017).
Se la fede non è cosi “vera”, cioè vestita di concretezza, la nostra onestà dovrebbe, come la folla, constatare l’assenza di Dio dal nostro scenario, anche di credenti: «La folla vide che Gesù non era più là». È amaro cercare il Signore per qualcosa; ancora più amara sarebbe la pretesa di una fede pregiudiziale e ideologica: è mia, so bene cos’è, molto meglio degli altri! Tutto questo è affermazione di sé, non relazione. E chi è Dio se non un dono che si offre, completamente, a me, fino a svuotarsi perché l’io diventi un noi?
Quando, cammin facendo, nel mio zainetto ho trovato tra i pani e i pesci un affetto che si orientava verso un ragazzo come me, non ho capito subito cosa farne: ignorarlo? Tenerlo lì, magari ben nascosto? Nutrirmene? Addirittura condividerlo?
Sono grato a Gesù non già per avermi dato un pane dal cielo, ma per essersi offerto a me in un pane d’orzo. Questo pane è segno di come il dono possa diventare il centro della fede, delle relazioni, della vita.
C’è un modo di vivere il pane che è arraffare, primeggiare, accumulare, comandare. C’è un modo di vivere il pane che è condividere, servire, mettere a disposizione, farsi prossimo. Là c’è morte, qui c’è vita: e dove c’è Dio, la vita diventa vera, e non conosce fine.
Un’ultima tentazione mi separa dal vivere, dal credere cosl: dov’è Dio? Perché non lo riconosco, se è così concreto il suo rivelarsi?
Mi ha sempre colpito tra le tante cose presenti nel menù al ristorante, un’assenza: quella del pane. Eppure, sulla tavola, non manca mai, pur sotto le mentite spoglie del coperto. Cos’è vivere da discepoli, se non sedersi commensali a una tavola dove Gesù ordina anche per me: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34), l’opera di un Dio che vuole mettersi nelle mie mani come dono, non solo perché anche la mia vita diventi dono per gli altri, ma perché io stesso possa accogliere ognuno come dono di Dio per me. Signore, dacci sempre questo pane.
No, anzi: facci sempre questo pane. Fa’ che noi stessi siamo pane, così, per la vita di tutti.
* Paolo Spina, classe 1986, di Luino (VA), è medico ospedaliero. Fa parte e collabora con i Progetti Giovani e Adulti Cristiani Lgbt e con l’associazione La Tenda di Gionata