Essere prete e gay in una Chiesa piena di divieti e di parole non dette
Articolo di Thibaut Cavaillès pubblicato sul sito dell’emittente France Culture (Francia) il 4 marzo 2019, liberamente tradotto da Manuela Salipante
Hanno scelto di dedicare la vita a Dio, hanno sposato la Chiesa e fatto promessa di celibato. Ma le cose non sono state così semplici per Jacques e Giovanni, omosessuali.
In che modo i religiosi vivono la loro omosessualità, nel cuore di un’istituzione piena di divieti e di parole non dette?
Jacques Fraissignes, ottantatré anni, è cresciuto in una famiglia borghese conservatrice, e a diciotto anni è entrato in seminario. Un giorno, mentre leggeva un libro sull’omosessualità, cominciarono a riemergere in lui contraddizioni nascoste. Attraversò quindi un periodo di grande difficoltà:
“All’epoca, la mia omosessualità era un’anomalia, un abominio, ecc. Non la volevo“.
I suoi numerosi viaggi con il movimento francese ACO gli permisero di incontrare uomini e di avere con loro dei rapporti furtivi. Comprendendo progressivamente quanto l’educazione familiare e la Chiesa comprimessero i suoi desideri, si prese poi un anno sabbatico dopo dieci anni di seminario.
Si trasferì quindi a Parigi, dove incontrò Christian, con il quale vive ancora oggi. In seguito, ha ripreso la sua attività di sacerdote: “Il mio vescovo mi chiese solo se qualcuno sapesse della mia omosessualità. Nessuno sapeva, quindi lasciò correre”.
Giovanni Crochet-Leducq ha trascorso la sua infanzia a Méaulte, nella Somme. All’età di diciotto anni è andato a vivere a Strasburgo, dove finalmente poté vivere liberamente la sua omosessualità. Scoprì di avere una passione per gli spogliarelli. Sebbene gli piacessero molto, aspirava comunque a una vita superiore, e decise di diventare sacerdote: “Dopo essermi dedicato alla nudità sul palco, volevo dedicarmi ai più poveri e alla Chiesa. Si trattava di qualcosa di diverso“.
Una volta entrato nel mondo ecclesiastico scoprì, con sua grande sorpresa, che l’omosessualità vi era estremamente diffusa. Il suo rapporto con questa istituzione iniziò a complicarsi: “Al seminario maggiore, i vescovi erano delle checche fatte e finite. Tra gli uomini c’erano sguardi… e molti gesti”.
Testo originale: Prêtres et homo