Essere una persona queer al tempo del coronavirus
Articolo di El Hunt pubblicato sul sito dell’edizione britannica del mensile Cosmopolitan (Gran Bretagna) il 13 ottobre 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte prima
Durante l’isolamento, cosa avete scoperto su voi stessi? Oltre a scoprire di possedere una preoccupante conoscenza di tutte le minuzie della trama di Sex and the City, e un talento sorprendente per le coreografie, mi sono anche resa conto quanto fossi allerta prima che scoppiasse la pandemia.
A dire il vero, le persone LGBTQ+ stanno allerta da molto prima che stare allerta diventasse uno slogan globale, e prima che la vita cominciasse lentamente a tornare a una parvenza di normalità, ho capito quanto sia estenuante.
Recentemente, passeggiando per [il quartiere londinese di] Soho, come sempre visibilmente queer a causa delle mie sconcertanti manifestazioni d’affetto da pandemia, ho constatato che i commenti omofobi, le fischiatine e le richieste guardinghe che erano la norma, purtroppo, prima del lockdown, sono di nuovo in auge.
Prima della pandemia ero praticamente una professionista nel lanciare occhiatacce feroci a quegli uomini che piombavano nel bel mezzo di un mio appuntamento per chiedere se potevano “unirsi a noi”, o nel ritirare prontamente la mano in tasca dopo aver visto un uomo osservarmi mentre stringevo la mano a una donna: queste interruzioni quotidiane erano così frequenti che erano diventate routine. Ora invece sono irritanti, perché per alcuni mesi paradisiaci ho perfino dimenticato che esistesse l’omofobia.
Sono fortunata, perché condivido l’appartamento con una persona queer come me, e quindi la mia clausura si è svolta totalmente al riparo dall’ansia di dover condividere la vita quotidiana con dei bifolchi bigotti. Avere tutto quello spazio extra mi ha sorpresa. Pensavo che mi sarei limitata a prendere qualche panino al lievito naturale e a spaparanzarmi sul divano con l’aiuto dei maggiori successi di Sophie Ellis Bextor, invece è andata che mi sono trovata in un luogo in cui ho potuto sperimentare nuovi modi di esprimermi.
Mi è sempre piaciuto vestirmi come certi personaggi particolarmente sgargianti del videogioco Tony Hawk’s Pro Skater 2, e fare acquisti nel reparto maschile, ma in passato lo facevo in sordina, per evitare di attirare l’attenzione su di me. Durante la clausura, invece, ho voluto smettere di preoccuparmi dell’opinione degli altri, e i mesi passati senza la pressione di essere osservata da estranei mi hanno aiutato in questo. Inoltre, ho avuto tempo per pensare cosa vorrò fare con le mie relazioni una volta che la pandemia sarà finalmente finita.
E non sono certo la sola ad attraversare un periodo di riflessione e sperimentazione: molte persone queer sembrano avere trovato nella clausura e nella pandemia il tempo e lo spazio per ripensare alla propria identità.
Testo originale: “How lockdown helped me discover my sexuality”