Fa’ esistere l’Infinito. La forza del tramandare e la pietra per passare il testimone
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*, terza parte
La settimana scorsa ci siamo chiesti: in che modo Dio si è rivelato? Non è certamente indifferente che le Dieci Parole non siano scritte su un libro, o su un papiro, bensì su tavole di pietra. I rabbini si sono posti la seguente domanda: qual è il significato delle tavole di pietra? In ebraico, pietra si dice even. Ma questo termine può essere scisso in due parti: av e ben, padre e figlio.
La pietra, assume il significato di legame genealogico che unisce padre e figlio, ossia, il vincolo generazionale. Donare la Torah su tavole di pietra significa che l’essenziale non è che essa sia incisa solidamente, se non addirittura eternamente, ma che essa sia tramandata eternamente, di generazione in generazione, di padre in figlio, come una parola e una rivelazione vive per un popolo vivente.
Il testo biblico insiste a più riprese su quest’aspetto. Così, quando il popolo di Israele attraversa il Giordano per entrare nella Terra promessa, Dio chiede a Mosè di prendere delle grandi pietre, di intonacarle di calce e di incidervi nuovamente sopra l’insieme della Torah (Dt 27, 2-3). Non è possibile andare da un luogo all’altro, dall’Egitto al deserto, e poi dal deserto al paese di Israele, senza porre l’accento, in qualche modo, sulla trasmissione, sul passaggio di testimone.
Passando da un luogo all’altro, da un’epoca all’altra, si evita l’oblio. Il termine passaggio, per l’appunto, può risvegliare delle reminiscenze: innanzitutto Abramo, che va alla ventura, lascia una civiltà ben solida per andare in un mondo sconosciuto, straniero. L’ebreo (ivrì) Abramo è un passante e un traghettatore: è chi va da una riva all’altra. Quando si passa dalla schiavitù alla libertà, questo passaggio diviene Pesach (Pasqua): uscita dall’Egitto, scoperta e apprendimento della libertà.
Passaggio da uno stato dell’essere a un altro, fuoriuscita dalla passività per andare oltre o altrove, esistere per inventarsi e costruirsi. E Dio, che si presenta ai figli di Israele con questi gesti che indicano il passare, è Lui stesso un Dio di passaggio. Gli eventi fondamentali riportati dalla narrazione biblica sono commemorati, nella tradizione ebraica, con una festa o un rito.
La festa che ricorda l’uscita dall’Egitto è Pesach. Il termine significa passare sotto, poiché Dio è passato sotto la casa degli ebrei all’epoca della decima piaga d’Egitto risparmiando i loro primogeniti. La festa che celebra il dono della Torah, cinquanta giorni (ossia sette settimane) dopo la Pasqua, si chiama Shavuoth, alla quale corrisponde la festa di Pentecoste dei cristiani. Ma per questi ultimi essa ricorda il dono dello Spirito Santa dopo il commiato di Gesù.
Come è stata donata la Legge? Mosè sale sul monte. Riceve le prime due parole: “Io sono l’Eterno tuo Dio” e “ non avrai altro Dio di fronte a me”. Queste parole sono pronunciate in maniera tale che sia Mosè che il popolo radunato ai piedi del monte le sentono. Tuttavia è detto che il popolo ha paura. Il Midrash [1] narra che seicentomila persone svennero. Esse avrebbero detto: “Non vogliamo ascoltare tutto questo perché abbiamo paura di morire. Tu, Mosè, quando scenderai, ci spiegherai tutto”.
Mosè sale sul monte a mani vuote e vi rimane quaranta giorni e scende con due tavole di pietre incise da parte a parte. Le tavole sono state scritte dalla mano di Dio. La scrittura è parte di Dio, di ciò che possiamo sapere e dire di Lui. Non possiamo pensare Dio al di fuori della scrittura, delle Scritture.
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[1] Il midrash non è tanto o non solo un genere letterario o soltanto un commento biblico di intonazione omiletica e morale, quanto piuttosto un atteggiamento intellettuale tipicamente ebraico. Il termine indica la ricerca, l’incessante investigazione delle Scritture e indica anche la prima parola del titolo di una serie di opere letterarie.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’associazione AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità di Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.