Come fanno gli omosessuali a sentirsi parte di una chiesa che non li accoglie?
Riflessioni di Giuliana Arnone* tratte dalla sua tesi di laurea su “Il difficile equilibrio tra azione e contemplazione: strategie di riconoscimento di un gruppo di omosessuali credenti”, Università Ca’ Foscari di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica, ottobre 2013, pp.115-116
(…) Molte persone considerano l’essere omosessuali e cristiani come qualcosa di per sé incompatibile, soprattutto in virtù della posizione ufficiale della Chiesa a riguardo. L’accusa è quella, cioè, di essere completamente assoggettati a una norma imposta.
Mi è spesso capitato di sentire persone che sostenevano – pur non conoscendone nessuno – che i gruppi di omosessuali credenti fossero acriticamente succubi di anacronistici, fuorvianti e, in ultima analisi, omofobi valori che la chiesa si ostina a perpetrare. Ciò che non viene riconosciuta loro, è, sostanzialmente, la capacità di agire e di opporsi ad essi. L’accettare acriticamente la posizione dichiaratamente omofoba della Chiesa, si traduce, secondo questa posizione, nell’ostentare un passivo atteggiamento di genuflessione ad essa (Mancinelli, Zetti, 2011) .
L’atteggiamento più diffuso nei confronti degli omosessuali credenti è quindi fondamentalmente di stupore. Difatti: “la loro lealtà alla chiesa rappresenta un’azione di incredibile coraggio o di altrettanta stupidità” (McNeil,1994: 24). Tuttavia posso affermare che essi sostanzialmente hanno costruito un’ immagine positiva di se stessi, nonostante l’assenza di un feedback positivo da parte della Curia Romana (Yip, 1997a). Accettare la propria condizione positivamente è il primo passo per legittimarsi anche dinanzi alla Curia, che viene così svuotata della sua responsabilità morale.
Scrive John McNeil: “nella comunità cristiana di lesbiche e gay abbiamo imparato a non avere più bisogno di un’autorità esterna per affermarci. L’amore, reso disponibile nella comunità, fornisce l’autorità interna di cui abbiamo bisogno per essere autentici e per agire con lealtà nel mondo, anche mentre chiesa e società ci condannano” (1994, p.178)
L’ idea della comunità è qui centrale per diverse ragioni. Dorrien (in Lukenbill, 1995, p.450) afferma che le motivazioni che spingono le persone a partecipare alla chiesa sono di tipo terapeutico, politico o famigliare. Egli definisce questi interessi ‘aspettative funzionali’: l’identità e l’appartenenza, la funzione sociale, la moralità, sono ciò che Robert ha definito le caratteristiche funzionali della religione (ibidem). Lukenbill, che fa ricerca presso la MCC (Metropolitan Community Church) di Austin, afferma che questa comunità è funzionale non solo per ciò che riguarda i bisogni spirituali, ma soddisfa anche i bisogni sociali e comunitari. La gente, cioè, non va in chiesa semplicemente per pregare – nonostante la preghiera rappresenti un tassello importante – ma per soddisfare altri bisogni non strettamente spirituali.
La gente frequenta il gruppo perché all’interno può essere completamente se stesso, perché il gruppo risponde a dei bisogni che sono anche sociali. La condivisione del medesimo orientamento sessuale, la volontà di condividere un percorso di fede e, proprio per questi motivi, la possibilità di interazione umana ‘sincera’, ossia una relazione in cui non vi è alcun bisogno di nascondere una parte della propria personalità, è sicuramente determinante nella definizione del sé ed è ciò che spinge le persone a partecipare alle riunioni.
In questa definizione del sé, l’amore diviene un tema preso in prestito dalla tradizione cattolica per poi essere ribaltato per riconfigurare un universo di senso e definire uno spazio d’azione. Dio ama tutti, tutti sono figli di Dio e l’amore è un sentimento nobile qualunque sia la sua manifestazione sessuale. Essi quindi estendono il concetto di amore incondizionato di Dio in apposizione al concetto di Dio patriarcale (O’Brien, 2004: 197)
(…) La fede, come l’identità, (per i cristiani omosessuali) non è mai data per scontata. È una continua ricerca, una continua messa in discussione. La fede, come l’identità, è un percorso che non prevede una fine. (…) A questo proposito, come sostiene Dillon (1999) questi gruppi (di cristiani omosessuali) si appropriano dell’identità cattolica in maniera diversa rispetto agli altri cattolici. La negoziazione della loro identità è un processo cosciente e consapevole. Per esempio, essa si manifesta nella scelta di rimanere all’interno della chiesa e di vivere un cattolicesimo che apertamente affermi la loro identità omosessuale.
In questa ricerca della fede e dell’ identità, degli elementi simbolici vengono presi in considerazione e inseriti in quel processo di riconfigurazione dell’identità di cui parlavo poc’anzi. In questo senso, figure borderline all’interno della chiesa, come don Tonino Bello o i documenti del Concilio Vaticano II, vengono utilizzati come mezzi per dialogare con la Chiesa e con la propria identità.