Fantasmi queer in salotto. Dentro al fantastico dell’Ottocento
Dialogo di Katya Parente con la studiosa Francesca Saggini
E se vi dicessi che fantasmi, vampiri e gran parte dell’immaginario gotico potrebbe nascondere echi queer? Di questo parliamo con la nostra ospite di oggi, Francesca Saggini, professore ordinario di letteratura inglese presso l’Università degli Studi della Tuscia e curatrice del volume antologico
“Il fantasma in salotto. Dentro al fantastico dell’Ottocento” (Unicopli 2020)
Innanzitutto, com’è nata la sua passione per il gotico?
Ho scoperto il gotico durante gli anni dell’università, grazie all’esame di sociologia della letteratura che al tempo sostenni presso l’allora facoltà di magistero dell’Università degli Studi di Firenze, ateneo presso il quale mi sono laureata.
Si trattava di un programma incentrato sul gotico tardo-settecentesco e romantico nelle arti, e per me fu amore a prima vista. Successivamente ho avuto il privilegio di formarmi con la professoressa Mirella Billi, che del gotico è stata la maestra indiscussa in Italia. La sua intelligenza, la curiosità intellettuale che ha sempre mostrato per tutte le arti e la sua apertura mentale sono state guide preziosissime; il resto si può dire che è stato solo la continuazione ed il perfezionamento di quei primi studi.
Secondo lei, come mai questo tipo di storia ha avuto così successo tra il ‘700 e l’800?
In primis il gotico non è solo una storia. A mio avviso, è un modo di percepire e rappresentare la realtà, e quindi per sua natura è un dominio estetico-culturale interartistico. Inevitabilmente interartistico, aggiungerei. Le arti cambiano, assumono ed attraversano forme mutevoli e man mano aggiornate. Il gotico le popola e le (in)segue, incarnando quelle che sono le ansie e le paure che accompagnano il pubblico nei momenti di grande cambiamento tecnologico, sociale e culturale. Ansie e paure primarie, le chiamerei, a cui vengono man mano date declinazioni epocali. In questo caso il romanzo “It” di Stephen King è esemplare.
È vero che c’è un sottotesto lesbico in “Carmilla”?
Credo che il romanzo breve di Joseph Sheridan Le Fanu sia altro da una storia di lesbismo. Mi sembra che questa sia una definizione riduttiva rispetto alla complessità, anche simbolica, della storia. Direi che la chiave del racconto è nell’ultima pagina, nel viaggio di rimozione in cui si imbarca Laura in compagnia del padre, con quella splendida chiusa: “and to this hour the image of Carmilla returns to memory”, sì che Laura pensa di udire di tanto in tanto “the light step of Carmilla at the drawing room door”. La percepisce proprio lì, sulla soglia della stanza che rappresenta il sanctum della domesticità falsamente protettiva vittoriana. Il tempo e lo spazio non possono annullare Carmilla, perché Carmilla è dentro, e semplicemente è, Laura.
Mi viene in mente il bel titolo di un importante studio critico di Nina Auerbach, “Our Vampires, Ourselves”, scritto quasi un trentennio fa. Il Vampiro, e in generale l’Altro del gotico, non è mai fuori, esterno a noi, ma è in noi, è quel desiderio che ci accompagna e ci stordisce dall’interno. Mi verrebbe da dire, non temo il vampiro in sé, ma temo il vampiro in me.
“Il monaco”, forse l’opera più conosciuta di Matthew Gregory Lewis, parla di travestitismo, ambiguità sessuale e abiezione. L’omosessualità dell’autore ha avuto un ruolo incisivo nella storia?
Ancora una volta non posso dare una risposta binaria SÌ/NO, anche perché gli storici del genere e della sessualità moderna, da Rictor Norton a George Rousseau, hanno ben spiegato come categorie per noi inequivocabili rischiano di essere semplificazioni scarsamente percettive rispetto al loro contesto originario. Inoltre appartengo a una scuola critica in cui è il testo, non la biografia di un autore, che mi parla, e che cerco di interpretare.
Devo però dire che la trasgressione è un concetto sicuramente centrale nel romanzo di Lewis, che non a caso rimane uno dei più importanti testi di riferimento del gotico. La trasgressione sessuale, qualunque cosa si intenda con questo concetto, è parte di una contestazione profondissima dello status quo operata dal ricco politico Lewis, un aristocratico membro del parlamento inglese, all’interno di un contesto narrativo smaccatamente teatrale, in cui il gioco degli opposti, l’inversione e la menzogna imperano.
Secondo lei qual è il romanzo gotico per antonomasia?
Oltre a quelli da me già citati, se vogliamo limitarci ancora una volta al solo ambito del romanzo, aggiungerei alcuni passi selezionati di “Dracula” (a mio avviso, il romanzo di Bram Stoker nel suo insieme è invece prolisso e meno convincente), e “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson.
Ma non posso non spezzare una lancia per il racconto di fantasmi, che secondo me rappresenta l’epitome di un genere, il gotico, che non è solo romanzo. E, sempre dall’ottica interartistica che a mio avviso caratterizza il gotico, due film che trovo insuperabili, in realtà due casi singolari di adattamento cinematografico: “Rosemary’s Baby” di Roman Polanski e “Nosferatu” di Friedrich W. Murnau. La sequenza in cui l’ombra di Orlock ghermisce e poi strappa dal petto il cuore di Ellen rimane semplicemente insuperabile.
Tra le donne, Mary Shelley è forse la scrittrice gotica per eccellenza; ci può parlare del suo approccio letterario?
Mary Shelley non mi sembra sovvertire il gotico. Mi sembra che ne riproponga una versione molto tipizzata, ma in linea con motivi ricorrenti (il tema del doppio è il più celebre). Forse, a meglio riflettere, è l’aspetto ecocritico, molto anticipatore, di “Frankenstein” a sovvertire il modello secondo cui il gotico del tempo si estrinsecava negli spazi chiusi o architettonici (il castello/la caverna/le segrete, poi diventate la casa e i vari spazi domestici in pieno Ottocento).
Del resto, la crisi dell’Antropocene e l’apocalisse ambientale sono diventati tra i temi più pressanti del gotico contemporaneo. Ma il rapporto controverso, spesso distruttivo, con la Natura, come fonte di mistero insondabile, di incontri inquietanti e destabilizzanti, persino di distruzione, si ha già alla fine dell’Ottocento, ad esempio con l’Africa di Rider Haggard.
Insomma, forse più che sovvertire, Shelley anticipa. E sviluppa magistralmente il tema del Male e del Bene, inseparabili e inscindibili, sovrapponibili e inscindibilmente aggiogati. Come disse Albert Einstein: “Se avessi conosciuto gli effetti della bomba atomica, avrei fatto l’orologiaio”. Chissà se Victor Frankenstein si riconoscerebbe in questo ripensamento?
Anche se non apertamente LGBT, la letteratura gotica è, quanto meno, queer – se per queer intendiamo una stranezza che interroga nel profondo noi e le nostre paure. Ringraziamo la professoressa Saggini per la sua disponibilità, segnalandone un altro testo molto interessante “Sole nero. Il Gotico meridiano dell’Ottocento italiano. Uno sguardo dall’Inghilterra” (La Vela, 2020). A chi, invece, conosce l’inglese consigliamo: George Haggerty, “Queer Gothic”, University of Illinois Press, 2006; Ardel Haefele-Thomas, “Queer Others in Victorian Gothic. Transgressing Monstrosity”, University of Wales Press, 2012, e infine “Queer Gothic. An Edinburgh Companion”, a cura di Ardel Haefele-Thomas, Edinburgh University Press, 2023 (di prossima pubblicazione).