Far tornare i conti. La sofferenza d’innamorasi di un gay nascosto
Riflessioni di Marta*, semplicemente una madre
Se c’è una cosa che faccio davvero fatica a comprendere fino in fondo è come sia possibile che sia accaduto. Non sono e non ero una ragazzina. Ed ho anche un po’ di esperienza della vita. Eppure mi sono ingannata. O sono stata ingannata. O tutte e due le cose? E perchè non mi ha avvertito in tempo? Che cosa impediva che fosse la verità a nutrire la nostra amicizia, e non la mia sete di affetto?
Torno indietro nel tempo. Sono passati anni, ormai. Dieci anni fa era davvero un ALTRO tempo per quanto riguarda la questione omossessualità. Negli ambienti ecclesiastici e nella vita delle parrocchie andava forte il tema della “cura” degli omosessuali, per ricondurli alla sessualità “normale“. E comunque per un omosessuale non era accettabile manifestare apertamente le proprie inclinazioni, la propria natura. Essere semplicemente se stessi per gli omosessuali era una possibilità di là da venire, più una illusione che un sogno, in ambienti dove al sospetto che uno non sia del tutto “maschio” uscivano perlomeno risolini, nella migliore delle ipotesi.
Ma non è così semplice. E mi sarebbe tanto piaciuto percorrere questa storia assiema a chi l’ha vissuta “dall’altra parte“. Non è stato possibile, per motivi che posso intuire, ma che non conosco. Per cui non ne parlerò. Mi dispiace che non sia accaduto, che non sia stato possibile, in queste pagine, sentire anche la voce di Paolo, di come lui abbia vissuto le mie pressioni, la nostra “amicizia”. Mi dispiace non poter dire nulla di che cosa, oggi, anni dopo quelle vicende, stia impedendo di proseguire in modo più maturo un rapporto di amicizia che si era presentato sotto le vesti dell’innamoramento. Era un innamoramento reale o ingannevole, chissà?
E il fatto che il dialogo con Paolo, nel prosiego degli anni, si sia, un po’ alla volta, sostanzialmente interrotto, mi fa solo pensare che davvero è un tema tutto da esplorare. Siamo solo all’inizio di un cammino che non è facile, ma che se non lo cominciamo con coraggio e pazienza, non accadrà mai.
C’è una persona che in quei primi anni ha contribuito alla mia illusione. E questa persona è Antonio, un amico molto caro di Paolo. Antonio è una persona più grande, più matura, di cui si coglie il desiderio di essere di aiuto agli altri. Persona calda ed accogliente. L’ho conosciuto proprio in quanto amico di Paolo, fin dall’inizio della nostra amicizia.
“Vieni da me, domenica? Ci troviamo tra un po’ di amici, e magari ci dai una mano per cose che riguardano il tuo lavoro, ci aiuti ad affrontare un po’ di situazioni nostre“, mi invitò Paolo un giorno di giugno, pochi mesi dopo esserci conosciuti.
Potevo non andare? Paolo mi mandò la descrizione dettagliata della strada che dovevo percorrere, e ricordo come adesso Alberto, che allora aveva 11 anni, farmi da guida leggendo il foglietto, mentre Marco, che di anni ne aveva 9, seduto dietro a leggersi un libro. Noi tre. Iniziavamo noi tre ad “essere famiglia“, anche se non ero ancora separata, in quel tempo.
L’accoglienza da parte della tribù degli amici di Paolo fu di un calore che difficilmente si dimentica. Anche i miei figli, allora ancora bambini, ne furono entusiasti. Un po’ di pace dalla tensione che si viveva in casa. E per me forse un assaggio di quello che sarebbe potuto accadere, appena finita la tempesta. Forse. Chissà?
Pranzammo tutti assieme. Non so in quanti eravamo, bimbi compresi. Forse una ventina di persone. E il mio posto fu accanto a Paolo. Non ero ancora “innamorata” di lui, ma mi piaceva molto, come persona. Ed ero contenta di essere vicino a lui, anche se di lui non sapevo proprio nulla. Scoprivo così, un po’ alla volta, chi era e quale fosse il suo mondo.
Non mi ero mai chiesta, in quel periodo, perchè non fosse sposato, pur non essendo più un ragazzino, o altre curiosità su di lui. Ero troppo presa dai miei pensieri, dalle mie fatiche familiari, per permettermi certe divagazioni.
Alla fine di quell’estate, la prima estate della nostra amicizia, concordammo un giorno da trascorrere assieme. Nei mesi precedenti avevamo avviato una corrispondenza molto intensa, via mail: mi pareva di aver trovato chi mi poteva ascoltare, e in quel periodo ne avevo un bisogno immenso.
Nel giorno trascorso assieme furono molte le ore che passammo da soli, a parlare, di me, di lui, di Dio, del senso della vita. Ma pranzammo assieme anche ad Antonio, a sua moglie, e ad altre persone. Era bello stare assieme. Ci fu un momento in cui vidi Paolo mentre giocava con una bambina del loro giro di famiglie amiche: fu un attimo, come un lampo, in cui colsi che il modo in cui si stava muovendo, il modo in cui stava parlando con la bambina era tipico di un gay. Fu un attimo solo. Non mi soffermai a riflettere. Quella volta non mi interessava capire. Non ancora.
Nei mesi che seguirono, anche grazie al lavoro, dove c’entrava anche Antonio, furono davvero tante le occasioni in cui eravamo assieme. Antonio ci guardava. Vedeva me e vedeva Paolo. E poi, a casa, di sicuro Paolo parlava con lui: sono molto amici. Forse gli parlava di me, e della mia fatica famigliare. Immagino. E anche di quanto gli scrivevo io, che mi stavo innamorando di lui, gli scrivevo, sicura che in lui trovavo un ascolto capace, in grado di accogliermi, con i miei pesi e il mio travaglio.
Un giorno, in quel periodo, Antonio mi prese da parte e mi disse chiaramente che Paolo non approvava assolutamente la decisione che io stavo maturando di separarmi. Me lo disse con una fermezza degna di altra causa. Non capivo. Quella volta non capivo. Era vero che il patto di sostegno, tra me e Paolo, aveva come obiettivo il salvare il matrimonio, il mio matrimonio. Era vero. Ma era altrettanto vero che man mano il tempo passava, l’impresa si stava dimostrando sempre più impossibile, visto il comportamento di mio marito.
Era il periodo in cui Paolo e io eravamo molto assieme, per lavoro e per amicizia. Molto assieme. L’estate dopo decisi di separarmi. Conoscevo Paolo da un anno, ed erano trascorsi quasi tre anni dall’inizio della parte più difficile della mia crisi matrimoniale.
Una domenica nella quale i bambini non erano con me, dopo aver ufficializzato la decisione di separarmi, andai a trovare Paolo. Arrivai a casa sua, vicino a lui abitava anche Antonio e la sua famiglia. Paolo era occupato in lavori nell’orto. Mi fermai a parlare con Antonio. Che vide bene con che aria gioiosa ero arrivata fin là. Ricordo come adesso le sue parole fumose: “Cosa ti aspetti da Paolo? Non lo vedi? Non vedi come è? Accoglilo come fosse uno dei tuoi pazienti!“.
Mi imbarazzarono molto quelle sue parole. Che non capivo. Ma non fui in grado di chiedere spiegazioni ulteriori. “Chissà a cosa si riferiva Antonio!”, pensai subito! Lo capii anni dopo. Lo capii. Ma quella poca chiarezza da parte di Antonio era fonte di molta ambiguità. Certo, non competeva a lui parlarmi chiaramente. Ma forse non competeva poprio a lui parlarne, di nulla.
Fu l’ultima volta che Antonio tentò di dissuadere la mia nascente passione. Poi, quando il fuoco prese fuoco davvero, ebbe un altro atteggiamento. E fu soprattutto lui tante volte a chiamarmi, per andare da loro, sia in occasioni particolari, famigliari, che di altro genere. Ogni scusa pareva buona per farmi stare con Paolo. E per me ogni volta era una gioia. Mi sentivo trattare sempre più come una “di famiglia“. Ero “l’amica di Paolo“. Per me era un primo passo verso quello che speravo diventasse un grande amore.
Pur con il dubbio in fondo al cuore, non riuscivo però mai a fare la domanda chiara a Paolo. Almeno non fino a qualche anno dopo, quando, in un viaggio di ritorno, lui mi disse quelle indimenticabili parole che fecero inequivocabile dolorosa chiarezza nella mia vita: “Io mi sento attratto dagli uomini“…
Per ben tre anni coltivai il mio impossibile amore. Che si nutriva della disponibile amicizia di Paolo, e tutto, ma proprio tutto, visto dal di fuori, faceva pensare che sarebbe stato davvero un grande amore.
Mi ero sbagliata. Ma non avevo fatto tutto da sola. Mi ero incamminata in una strada che, da un certo punto in poi, avevo la sensazione fosse stata condivisa, almeno da chi a Paolo diceva di voler bene.
Quando Paolo si decise a dirmi la sua vera verità, gli chiesi chi altro la sapeva. Mi disse che l’unico che la sapeva era Antonio, il suo amico Antonio. Quello che aveva inizialmente cercato di dissaudermi, ma poi, visto come mi ero incaponita, aveva piuttosto sostenuto la mia passione. E che aveva anche sconsigliato vivamente Paolo di dirmi la verità, quando finalmente si era deciso a farlo. Per paura che a me succedesse chissà che cosa! Ma Paolo, per fortuna, quella volta non lo aveva seguito.
Saputa la verità, era anche con Antonio che sentivo di dover fare i conti. Aspettai qualche mese, perchè subito dopo no, era troppo presto, bisognava un po’ digerire la faccenda. Ma appena possibile chiesi chiaramente ad Antonio di poterne parlare. Accettò. Lo invitai a cena nel luogo che avevamo tante volte frequentato io e Paolo. Era un posto ancora pieno dei miei sogni.
Fu un buon incontro, con un clima sufficientemente sereno, e anche divertente. Pensavo che una storia come la mia poteva essere rivista solo se si era capaci di riderci un po’.
Così dopo qualche preambolo, venni subito al tema, e gli dissi: “Era impossibile non accorgersi che io ero innamorata di Paolo, anche le pietre lo vedevano. Perchè mi hai sostenuto in questa vicenda? Perchè mi hai trattato come se fosse possibile che tra me e Paolo nascesse un amore vero?“.
In quella sera Antonio mi raccontò tante cose, di se stesso, della sua storia, dei suoi pensieri, delle sue idee. Che lui volesse bene a Paolo non c’erano dubbi. Come un padre, forse. E come un padre pensava di voler bene. Per cui, mi disse chiaramente, che quando fu evidente che la mia passione non appassiva, anzi, era sempre più viva, e che anche Paolo, tutto sommato, ricambiava almeno l’affetto, lui ci sperò. Ci sperò che a tanta passione potesse seguire un miracolo. Il miracolo che lui desiderava accadesse.
Mi vidi come se fossi stata oggetto di un esperimento. E se avessi saputo, se avessi conosciuto i reali termini dell’esperimento, non vi avrei preso parte. Perchè io sapevo già, con certezza, che l’orientamento del desiderio sessuale non si modifica. Non serviva sperimentare niente. Non sarebbe accaduto nessun miracolo. Mai. In nessun modo. Al massimo sarebbe potuto servire a costruire una relazione falsa, e come tutte le relazioni false, sostanzialmente molto dolorosa.
Così a bruciapelo chiesi ad Antonio: “Ma al MIO dolore non ci avevi pensato?“.
No, non ci aveva pensato. Al mio dolore nessuno ci aveva pensato davvero.
* Conosco Gionata.org ormai da anni. È stato il luogo che più ho frequentato in internet per cercare di capire un’altra vicenda fondamentale nella mia vita. Qui ho conosciuto persone molto belle. E ho avuto modo di conoscere di persona anche i webmaster.
Giorni fa, parlando con Innocenzo, gli ho detto che mi piacerebbe scrivere di queste mie vicende su Gionata, ma che non so neppure da dove cominciare, tanto è un groviglio, che non è facile dipanare.
“Fallo a puntate”, mi ha risposto. E allora, se volete, questa può essere una puntata, un po’ diario, un po’ ricordo. Un racconto in itinere. Che un po’ va avanti, e un po’ torna indietro, per cercare di capire, e trovare il filo di una vicenda normale, perché normale è innamorarsi e amare, anche se l’orientamento non è quello normalmente considerato normale. Non ho idea di come andrà a finire, perché si sta ancora svolgendo. E io non ho ancora compreso tutto. Anzi, a volte mi pare di non aver capito niente.