Fase 2. Il tempo della responsabilità e le parole della Conferenza Episcopale Italiana
Riflessioni di Massimo Battaglio
Secondo me, il cardinal Bassetti ha perso un’occasione di silenzio. Intervenire polemicamente appena dopo l’annuncio da parte del premier Conte sulla Fase 2, non è stato un comportamento signorile. Tutti hanno avuto l’impressione che volesse far pesare i diritti di un gruppo – i cattolici praticati – al di sopra del diritto di tutti alla salute e alla vita.
Ed è un vero peccato perché rimette tutti i cattolici in cattiva luce. Con quella nota, la CEI sembra rivendicare maldestramente il ritorno alle celebrazioni liturgiche come riconoscimento delle opere di volontariato svolte in questi mesi dalla Chiesa. Il che è discutibile sul piano politico (la libertà di culto non è condizionata ma nemmeno inalienabile) ma prima ancora su quello teologico, perché i sacramenti non sono un premio per essere stati bravi. I cattolici partecipano alla vita civile non per avere qualche riconoscimento ma perché questo fa parte del loro cammino di fede. I cattolici si impegnano nella società perché, come Gesù, non possono vedere la sofferenza senza intervenire.
Gesù invita al “volontariato” sin dal discorso “della missione“, ben prima di parlare di Eucarestia:
“Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. (…) Li inviò dopo averli così istruiti: (…) Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. (Mt 10, 1-8)
Le “buone azioni” non sono contrapposte all’annuncio del Vangelo e nemmeno complementari. Ne sono parte, strumento irrinunciabile. Sono il metodo con cui trasmettere la buona notizia. E non si compiono in cambio di qualcosa ma gratuitamente.
A me pare invece che Bassetti abbia avvallato l’idea che i cristiani non agiscano affatto gratis. E con questo, rischia di vanificare tutto il consenso che, in questi due mesi, la Chiesa aveva miracolosamente recuperato. Consenso niente affatto scontato, dopo anni di scandali; consenso indispensabile per la sopravvivenza dello stesso messaggio cristiano.
Spesso si crede che la Chiesa abbia il dovere di contrapporsi al “mondo“, di proclamare i propri “valori non negoziabili” con fare guerresco. Ma gli Atti degli Apostoli dicono anche altro:
“[Gli apostoli] erano ben visti da tutta la gente e, di giorno in giorno, il Signore aggiungeva alla comunità quelli che egli salvava” (At 2,47).
I cristiani fanno un servizio al Vangelo e a se stessi solo se guardano il mondo con empatia, con compassione; solo se accettano di calarvisi fino a rendersi degni di stima, credibili nei fatti. E in questo calarsi, sono compresi anche alcuni sacrifici. Anche nella fase 2.
Non credo che gli stessi apostoli, quando furono poi costretti in prigione, celebrassero messa con concorso di popolo. Eppure, proprio dal carcere, Paolo dice:
“Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24)
Una Chiesa che ricorda continuamente (e a sproposito) questi versetti a noi omosessuali, non dovrebbe sentirsi perseguitata se le si chiede semplicemente di sopportare con un po’ di pazienza durante la fase 2. Altrimenti si riduce a una strana associazione benefica che rivendica diritti per se stessa senza partecipare al dolore degli altri.
Mi auguro che monsignor Bassetti, che ora si rende probabilmente conto di quanto è assurdo imporre ad altri di “completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo“, sappia fare un passo indietro. Spero che ammetta di aver parlato sotto stress, come siamo sotto stress tutti quanti, e voglia confermare una piena collaborazione con la società civile di cui egli stesso fa parte.