Fecondità e genitorialità omosessuale
Riflessioni di Massimo Battaglio
Leggo l’articolo di “Devenir un en Christ” sul tema omosessualità e fecondità, pubblicato su Progetto Gionata. Si sostiene, giustamente, l’inaccettabilità della tradizione che vuole le coppie omosessuali come infeconde. L’articolo ricorda che la fecondità non è solo procreazione.
Fecondità, “Certamente vuol dire trasmettere la vita, ma in senso più largo: condividerla con altri, farla scoprire, farla amare, renderla bella“. E più avanti: “il cammino della fecondità non è definito a priori. Si può essere fecondi in molti modi”.
Si elencano quindi i molti “modi” per essere fecondi. “Sicuramente come genitori, accompagnando i propri figli, ma anche come padrini o madrine, in una relazione d’amicizia profonda e vera, nell’impegno della vita di coppia, nelle relazioni familiari, associative, ecclesiastiche”.
Si sostiene cioè che tutti, e quindi anche le persone omosessuali, sono chiamati a una fecondità non necessariamente genitoriale ma anche “umana e spirituale”. E si fanno vari esempi. Tra essi: “Impegnarsi al servizio di persone in difficoltà, detenuti, disabili, e anche al servizio della Chiesa, solitamente nella propria parrocchia”.
Io magari avrei aggiunto anche la politica, il lavoro, lo studio. Ovunque c’è creatività, e ovunque c’è amore per ciò che si fa, c’è facondità. Mica solo nel volontariato.
Ma soprattutto non vorrei che queste belle parole ci portassero a dimenticare che, oggi, le persone omosessuali possono vivere anche una fecondità genitoriale vera e propria. Molti la stanno già vivendo in modo molto positivo, come dimostrano le tantissime “famiglie arcobaleno”. Non vorrei che lo spostare l’attenzione sulla metafora servisse a distrarsi dalla realtà; a mettersi l’anima in pace. Non è sicuramente nelle intenzioni degli estensodi dell’articolo. Ma non sarebbe la prima volta che si sente dire: “fate pure le vostre cose ma niente bambini. Piuttosto datevi alla beneficenza”.
Si può essere genitori, e dunque fecondi (proprio nel senso lato richiamato da Devenir un en Christ), anche adottando un bambino. Basta sgomberare il terreno dai pregiudizi per cui una coppia omosessuale vale meno di una formata da un maschio e una femmina. Basta favorire laicamente lo sviluppo del diritto di famiglia in questa direzione. Si può essere genitori, soprattutto per le coppie femminili, anche attraverso la fecondazione assistita. A qualcuno fa orrore ma altri considerarano il donatore di sperma come una persona che compie un gesto d’amore. Si può essere papà o mamme anche attraverso la gestazione per altri. Che piaccia o no, vale lo stesso discorso.
Il giudizio da formulare su queste nuove forme di genitorialità, positivo o negativo, deve essere pronunciato con onestà, prendendosene la responsabilità. Non vale girarci intorno. E deve essere un giudizio consapevolmente morale e scevro da slogan. Per giudizio morale intendo quello basato sui propri valori personali e che si limita a valere per se stessi. Non si possono automaticamente estendere le nostre convinzioni all’esperienza umana di altri.
Così come è sbagliato cercare di convalidare le proprie opinioni attraverso qualche considerazione pseudo-scientifica, qualche codicillo del Magistero o qualche versetto biblico. La genitorialità omosessuale esiste. Le famiglie omosessuali che vivono la fecondità non solo in senso “largo” sono molte. I figli di queste coppie sono soggetti di diritto come tutti gli altri e non hanno bisogno di diventare oggetto di polemiche.
Apprezzo molto il richiamo alle varie forme di fecondità. In un certo senso mi confortano, dato che, vista la mia età e l’arretratezza del sistema giuridico italiano, non avrò mai la gioia di un figlio. Ma invito a ricordare che qualunque esperienza di genitorialità dovrebbe essere vissuta, da parte di un cristiano, semplicemente con stupore e meraviglia. Come Maria, quando, misteriosamente incinta, si definisce la persona più felice del mondo:
“L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore. Perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi, tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome” (Lc 1, 46-49)
E sulla maternità di Maria, tutto si può dire, tranne che sia avvenuta in modo “tradizionale”.