Conciliare fede e omosessualità. Due lesbiche si raccontano
Articolo tratto dal blog La Revue de Lili (Francia), del 5 settembre 2012, liberamente tradotto da Domenico Afiero
Lo scorso 29 maggio, alla vigilia del Gay Pride, il Primo Ministro francese, François Hollande, annuncia che “sarebbe stato istituito il diritto al matrimonio e all’adozione per tutti”. Allora, una delle sessanta priorità del Primo Ministro francese, quella al 31° posto, sarebbe stata una sfida sociale considerevole.
Eppure, se il 61% dei Francesi approva il matrimonio delle coppie gay, questo progetto di legge suscita numerosi dibattiti, specie di natura religiosa, nei mass-media. Mentre a Valérie Précresse, deputata del centro-destra, non piace che la maggioranza presidenziale non abbia consultato i rappresentanti religiosi, Alain Escada, segretario generale di un movimento cattolico tradizionalista, parla di “nocività” dell’omosessualità.
L’omosessualità è una “minaccia”
Queste polemiche sembrano evidenziare la difficile coesistenza tra omosessualità e religione. Anzi, una forte ostilità, a prescindere degli attacchi omofobi ricchi di citazioni bibliche o coraniche.
Nel 2008, il Papa Benedetto XVI afferma che la confusione dei sessi costituisce una minaccia tanto grave per la sopravvivenza dell’umanità quanto i cambiamenti climatici. Una simile dichiarazione scandalizza, soprattutto dal momento che l’omosessualità è ormai diffusa e sempre più accettata dai credenti.
Da alcuni anni, certi rabbini e certi preti dichiarano la loro omosessualità. Due imam soltanto, Moulana Mushin Hendricks e Daayiee Abdullah, hanno dichiarato pubblicamente di essere gay. Per un numero crescente di credenti, la religione non è più ostacolo all’amore tra due persone dello stesso sesso. Perfino la città di Gerusalemme diventa, solo per un giorno, il teatro di un Gay Pride festoso.
Altri credenti, come Marie e Sonia, sono più discreti. Tutte e due sono lesbiche, ma non si conoscono: una proviene da una famiglia protestante evangelica, l’altra è una fervente musulmana. Dopo aver messo da parte i propri sentimenti per un po’, Marie decide di svelare la sua omosessualità alla famiglia. L’omosessualità, sebbene l’omofobia sia condannata, è considerata come una devianza patologica grave per molte Chiese evangeliche.
”I miei genitori non hanno capito come avessi potuto diventare lesbica quando ho svelato loro la mia omosessualità! Continuo a essere la loro figlia e non mi abbandonano.
Ma i miei genitori non accettano la mia sessualità e quando vado da loro, devo andare da sola. Non è che non vogliono bene alla persona che amo, è che non vogliono che la loro figlia sia omosessuale. È una situazione davvero molto dura per una coppia come la mia!”.
Non svelare la propria diversità
Per evitare la suddetta situazione, Sonia preferisce rimanere discreta. Se Marie cerca di arrivare al pacs entro la fine dell’anno nonostante il disaccordo della famiglia, Sonia vuole sposarsi con un uomo secondo la tradizione musulmana senza svelare la sua diversità: «È chiaro che se non credessi in Dio, non mi preoccuperei un secondo a condurre una vita convenzionale solo per far piacere alla famiglia e alla gente.
Ma non è il mio caso, perché credo profondamente in Dio (…) Tengo a precisare che non mi sposerò per far piacere alla famiglia o perché sono obbligata da quest’ultima, ma perché non riuscirò a vivere diversamente. Non ho l’indole per uno stile di vita gay, sebbene sia una donna l’amore della mia vita.».
Tuttavia, le opinioni e i comportamenti di Marie e Sonia, , su molte altre questioni, sono identici. Entrambe sono favorevoli al matrimonio e all’adozione nelle coppie gay, non hanno mai partecipato al Gay Pride, in quanto lo considerano una esagerazione.
Le associazioni, ricorso alle situazioni estreme.
D’altra parte, nonostante i loro casi particolari, Marie e Sonia non si sono mai rivolte ad un’associazione gay. Eppure, le associazioni non mancano. I tre movimenti LGBT, David & Jonathan (Movimento omosessuale cristiano), HM2F (Movimento Omosessuali Musulmani francesi) e Beit-Haverim (gruppo ebraico gay), hanno regolari punti d’ascolto per persone spesso disorientate.
Samuel, il copresidente della Beit-Haverim, sostiene che i conflitti tra gli omosessuali e le loro famiglie possono essere estremi: «Negli anni ’80 e ’90 , l’associazione Beit-Haverim accoglieva giovani la cui vita era considerata in pericolo ogni mese. Recentemente, abbiamo dovuto intervenire, perché un ragazzo che conoscevamo è stato sequestrato. (…)
Anche se la religione ebraica rimane una confessione molto tollerante rispetto ad altre (Il Gran Rabbino di Francia ha ratificato una dichiarazione contro ogni forma di violenza omofoba lo scorso 17 maggio), alcune famiglie ebraiche rimangono chiuse nella loro mentalità, specie quelle provenienti dal Nord Africa e dall’Europa dell’Est.
Non è facile vivere la propria omosessualità alla luce del giorno: la famiglia si sente colpita dalla “vergogna”. L’associazione HM2F si trova ad affrontare le stesse situazioni della Bei-Haverim. L’omosessuale, nella maggior parte dei casi, deve confrontarsi con un dilemma: vivere nella fede e con l’onore della famiglia e divino oppure scegliere di vivere i suoi sentimenti pienamente nel disonore.
«Credere in Dio è un diritto»
Alla domanda «Quale messaggio indirizzerebbe ai gay che hanno perso la fede a causa delle idee delle religioni monoteiste?», Samuel, copresidente dell’associazione Beit-Haverim, risponde:«Ho sempre saputo di essere diverso.
A 15 anni, mi sono chiesto «perché proprio io?» e come conciliare la mia fede con quello che ero. Così, ho scoperto Beit-Haverim, ma ho scoperto soprattutto che non ero l’unica persona. Non siamo degli errori umani e non dobbiamo scegliere tra la religione e la nostra vita. Credere in Dio è un diritto, la fede è intima, nessuno può togliercela»
Testo originale: Concilier foi et homosexualité au quotidien