Femministe contro ddl Zan? Un giochino di bassa lega!
Riflessioni di Massimo Battaglio
L’ultima trovata tattica dei detrattori del ddl Zan è quella di chiamare in causa anziane femministe che si dicano contrarie. Lo abbiamo visto a “Porta a Porta“, prima ancora sulle pagine dei giornali di sedicente eredità montanelliana, e adesso anche su quelle de L’Avvenire, che dà voce a una ex parlamentare di sinistra, Francesca Izzo, per farle dire cose di destra.
E’ la vecchia tecnica dello spaccare il fronte dell’avversario e ci fa capire quanto poco importi, ai nostri avversari, della materia in questione. L’importante, per loro, è rompere le scatole, esibire la propria forza politica.
Sarebbe divertente usare le stesse armi contro di loro e dar voce ai diversi parlamentari di Forza Italia che hanno già preannunciato che voteranno sì, o ai numerosi gruppi cattolici che ci stanno appoggiando. Ma è più urgente sgomberare il campo dai quintali di bugie (così le ha definite una grande femminista come Chiara Saraceno) che, attraverso questi giochetti, si mettono in giro. Cominciamo proprio da Francesca Izzo. Nel suo intervento, leggiamo un paio di affermazioni che sono veri capolavori:
“È progresso consentire, come sostiene il ddl Zan, di dichiararsi donna o uomo in base alla propria percezione soggettiva annullando il sesso?”
Ovvero: non vogliamo sentir parlare di persone trans. Più avanti:
“È progresso che la libertà sia misurata dalla sempre più larga disponibilità a vendere comprare o affittare il proprio corpo o sue parti sul mercato?”
Ovvero: il babau dell’utero in affitto.
In realtà, nel ddl, alla definizione di “identità di genere”, si legge:
“per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
Esaminiamo parola per parola:
IDENTIFICAZIONE PERCEPITA non vuol dire “stamattina mi sento profondamente donna”. Tant’è vero che il termine “percepita” è immediatamente seguito dal termine “manifestata” e non da “soggettiva”. Sono sottigliezze ma stiamo giocando con definizioni tecniche, anzi, cliniche e persino giuridiche: quelle che indicano le condizioni necessarie per intraprendere un percorso di transizione. Far finta di non saperlo non è onesto.
Ancora più disonesti sono gli esempi che le paleo-femministe portano a loro sostegno: la storia del tipo etero che si mette a fare il guardone nel bagno delle donne accampando la scusa che in quel momento si sente donna, o quella del furbacchione che vuole accedere alle quote rosa perché gli gira di sentirsi femmina. Ma la “percezione di sé” è qualcosa di più serio del “sentirsi”. E difendere le “quote rosa” o i propri spogliatoi con una pervicacia tale da discriminare la più discriminata categoria delle persone discriminate, è veramente squallido.
ANCHE SE NON CORRISPONDENTE AL SESSO non sigifica “sentirsi donna” un giorno sì e un giorno no. Significa essere trans, una condizione esistenziale profonda e permanente. Le signore femministe trovano così grave che alcune persone identifichino sé stesse secondo un genere che non corrisponde al sesso? A loro, cosa toglie?
Forse mette in crisi il senso di supremazia della donna, che hanno coltivato in cinquant’anni di battaglie. Ma in questo caso, non era forse l’obiettivo della battaglia a essere sbagliato? E soprattutto: chissenefrega!
Si diano pace perché, di persone transgender, il mondo è pieno nonostante la loro opinione. E, che siano tra le più bistrattate, lo dimostra il grafico qui di seguito, da cui si evince che il 13% delle vittime di omotranfobia sono proprio loro mentre la loro incidenza sulla popolazione lgbt è del 2%.
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INDIPENDENTEMENTE DA AVER CONCLUSO UN PERCORSO DI TRANSIZIONE non vuol dire “indipendentemente dall’averlo iniziato”! Qui si aprono due riflessioni: una sull’inizio e una sulla fine.
Quella sull’inizio: un percorso di transizione non inizia affatto quando “uno si sveglia la mattina sentendosi donna” (o, peggio ancora, quando una si sveglia sentendosi maschio, cioè tradendo l’ideale delle femministe veraci che, il maschio, vorrebbero eliminarlo). Le cose non funzionano così. Il percorso di transizione inizia dopo essersi messi nelle mani di uno psicologo, un medico e un giudice. Non basta andare in giro con l’autocertificazione.
Sulla fine: per la legge, la conclusione di un percorso di transizione avviene con la sostituzione chirurgica degli organi sessuali. Un attimo prima, non è ancora concluso. Davvero, care archeo-femministe, volete che tutte le persone transgender, che stanno affrontando con grande fatica il loro percorso e che sono le vittime degli episodi di omofobia più atroci, siano escluse dagli effetti della legge contro l’omofobia finché non hanno subito l’amputazione di tutti gli organi che definiscono il loro genere sessuale di partenza?
Ma allora siete spietate! Siete rimaste a quei macabri slogan “ve lo taglieremo”, che suonavano sinistri persino negli anni di piombo. E poi sbraitate di utero in affitto come compravendita del corpo. A me pare che voi, del corpo, non abbiate alcun rispetto, a meno che non sia il vostro.
UNA NOTA FINALE: sono veramente addolorato di trovarmi all’improvviso a contestare affermazioni di persone, le femministe storiche, che hanno lottato per decenni per l’uguaglianza, esattamente come me. Ma qui non si tratta di contestare un ideale di uguaglianza.
Si tratta solo di constatare che alcune, non tutte le femministe, a forza di contorcersi su se stesse, hanno finito per ritrovarsi nel campo di coloro contro cui lottavano, che resta il miglior offerente.
> Cronache di ordinaria omofobia.org. Dati e storie sulle vittime sull’omofobia e della transfobia, dal 2013 ad oggi