Fenomenologia del cretino
Articolo di Michele Serra pubblicato su “la Repubblica” del 19 Novembre 2018.
Tutto il mondo sta ormai facendo una lagna tremenda. La fanno gli operai e gli industriali, i poliziotti e i carcerati, i tassati e i tassatori, i giovani, i vecchi, i transessuali, i medici, i paramedici, i giornalisti, i tranvieri. Uno apre un giornale, il televisore, e cosa trova? Lagna ininterrotta, corale. Viviamo in una società che si esprime e comunica soltanto per mezzo della lagna, è questo il vero mass medium del nostro tempo».
Perché parte proprio da questa citazione, da queste spietate righe sulla tendenza del genere umano a lagnarsi individualmente e in gruppi organizzati, il mio discorsetto su Fruttero & Lucentini? Perché ho cercato a lungo, scorrendo le pagine di questo libro (Il cretino è per sempre, Mondadori, pagg. 300, euro 14), qualcosa che mi aiutasse a capire meglio che cosa intendevano dire, quei due, dicendo “cretino”.
Termine di acclarata funzionalità comica (“Vieni avanti, cretino!“) eppure anche vago, generico quanto basta perché ognuno ci metta del suo, nell’interpretare la cretineria, magari a seconda di quanto gli è più conveniente credere. Per esempio che il cretino sia, tout court, la persona di scarso comprendonio; oppure il molesto, l’invadente, colui che non è cosciente del proprio ingombro personale e sociale, non fa la coda, non domanda permesso, si manifesta senza alcun pudore di sé; o ancora il presuntuoso, il narciso che reclama attenzione e pretende ad ogni costo il suo pulpito, il suo riflettore; o addirittura, scendendo di molto nella scala dei pretesti, che il cretino sia il nemico, ovvero il milanista per l’interista (e viceversa), l’umanista per l’ingegnere (e viceversa), il credente per il miscredente (e viceversa), l’americano rurale per l’americano di Manhattan (e viceversa), e via consolandoci con l’idea che cretino è, prima di tutto, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Certo il cretino contemporaneo è molte di queste cose, e altre ancora.
Ma la mia speranza era, rileggendo F&L, di individuare, nello sterminato ed esilarante campionario di umanità formicolante e straparlante che i Due hanno immortalato lungo gli anni che vanno, su per giù, dai Settanta ai Novanta, insomma sul finire del millennio analogico, poco prima che quell’intruglio antropologico esplodesse, con una potenza mai vista, nel famoso web… dicevo, la mia pretesa era riuscire a individuare, a costo di faticare un poco, quello che secondo i due maestri di Torino era, come dire, il motore profondo della cretineria.
La scintilla del cretino. La sua ragione di essere, qui e ora, dentro la società di massa, e di esserlo come figura egemone. Come organizzatore. Come deus ex machina.
Ho l’impressione di esserci riuscito. Ovvero di avere capito qual era, secondo F&L, la chiave di lettura del cretino, il principio che aveva generato, nella loro opera di poderosa resistenza ai tempi, l’individuazione della cretineria come principio informatore della società di massa, come opera condivisa, come missione epocale. Forzando appena un poco l’interpretazione, e portando in mio soccorso la citazione introduttiva, io sostengo che il cretino, nell’opera dei Due, coincide in larga misura con il lagnoso. Ovvero con l’irresponsabile. Cioè: il cretino di massa, il cretino sociale, incarna la pretesa che la vita ci assecondi, ci coccoli, ci sostenga, ci assolva, ci custodisca, ci assista, e di conseguenza qualunque impiccio, caduta, dolore, disgrazia e brutta figura sia da considerare un torto personale nonché un evento inspiegabile e ingiustificato.
Qualcosa che non era lecito mettere in conto, una congiura ai nostri danni, un’offesa da denunciare fermamente e comunque attribuibile agli altri, alla loro prepotenza, alla loro imprevidenza, alla loro colpevole indifferenza nei nostri confronti.
Questa è, in essenza, in Fruttero & Lucentini, la cretineria dell’uomo contemporaneo. Cretino è colui che non ha responsabilità di sé, delle sue azioni e delle sue parole.
Poiché i tempi lo hanno reso un cretino mediatico, insomma il cretino nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, la sua malattia è virale, come si dice appunto in rete, per via della irresistibile comodità della sua condizione umana: ammesso che ogni tanto si guardi, il cretino non si vede, e dunque non vede, prima di tutto, la propria inadeguatezza, la propria vulnerabilità e i propri limiti.
Che non sono segnati dal destino cinico e baro o dalla malevolenza e dall’invidia degli altri o dalle gravissime colpe della politica e del potere (oggi si direbbe: della Casta). No, sono proprio una condizione della vita, fanno parte, diciamo così, della sua struttura, dei suoi affanni, del suo incerto dipanarsi. Ma il cretino non lo sa; e nel caso lo sospettasse, lo negherebbe disperatamente pur di non abbandonare quello status di beata irresponsabilità che è la cretineria.