Figlio mio: “Se tu sei felice, io sono Felice”
Testimonianza n.22 di Züleyha*, una madre turca con una figlia transgender, tratta da Tell it out (Dillo ad alta voce), libro di testimonianze di genitori con figli LGBT+ di tutta Europa realizzato da ENP – European Network of Parents of LGBTI+ Persons (Rete Europea di Genitori di Persone LGBTI+) con il supporto editoriale della Tenda di Gionata ed il contributo del Consiglio d’Europa, pubblicato nel 2020, pp.42-44, liberamente tradotta da Diana, revisione di Giovanna e Giacomo Tessaro
Quando mio figlio andava alle elementari, gli comparvero delle verruche sulle mani. Ne aveva parecchie, e se ne vergognava. Voleva nascondere le mani in tasca, ma io lo tenevo sempre per mano quando lo accompagnavo a scuola o andavo a prenderlo.
Anche se lui voleva tirar via la mano, io lo tenevo saldamente perché l’avevo avuto molto giovane, eravamo cresciuti insieme e sapevo che non sarei stata in grado di lasciar andare quella mano, la mano che tenevo saldamente stretta quando era piccolo, per tutta la mia vita.
Eravamo come amici, potevamo parlare dei nostri problemi. Fino alle superiori… allora non lo sapevo, ma mio figlio era diverso. Quando mio figlio iniziò le superiori, la madre di un suo amico venne a trovarmi sul posto di lavoro e mi disse che mio figlio aveva dei problemi: “Ha comportamenti strani, e penso abbia un ragazzo”.
Mi sembrò di essere stata colpita alla testa, perché non avevo scoperto nulla di simile. Naturalmente ero triste e arrabbiata. Decisi di parlargli a casa dopo il lavoro, e gli chiesi: “È vero? Possiamo superare ogni problema insieme, proprio come abbiamo sempre fatto”. Ma lui pianse dicendo che era un malinteso. Scelsi di credergli. Continuammo le nostre vite di sempre.
Dato che io non ero mai andata all’università, per me era veramente importante che lui la frequentasse. Alla fine del primo anno di università, per caso, mi imbattei su internet in una chat che lui aveva con un ragazzo, e non si trattava di una chat tra amici, bensì tra innamorati. Ancora una volta era come se fossi stata colpita alla testa, non c’era nulla da fare.
Avevo paura a parlare perché era uno studente universitario e viveva in un’altra città. Avevo paura che non volesse ritornare, ma non avevo scelta, dovevo affrontare la verità con lui. “Sì, mamma è vero, non c’è niente da dire, sono sempre stato così fin dal momento in cui ho avuto consapevolezza di me stesso”, mi disse, ma io gli assicurai che c’era un modo per risolvere la situazione. Sebbene mio figlio, piangendo, mi dicesse che era impossibile, io pensavo che avremmo potuto risolvere questa situazione, o forse dentro di me speravo che negasse di nuovo tutto, ma non lo fece.
Ero triste, e finii di nuovo in ospedale. Cercai di parlargli in modo gentile; litigammo, lo maltrattai perché non ero informata. Sebbene fossi una madre che di solito amava leggere, non sapevo nulla su questo argomento. All’epoca, a causa della mia mancanza di conoscenze, soffrimmo parecchio tutti e due.
Un giorno mio figlio venne da me dicendomi: “Non voglio più renderti triste, me ne vado da casa”. Fu devastante, perché lui era tutto il mio mondo. Cercai di trattenerlo, ma non ci riuscii. Dopo un anno e mezzo, un periodo veramente duro per me, disse che voleva parlarmi.
Quando ritornò lo abbracciai, e respirai il suo profumo. Avevo sentito la sua mancanza. Disse che viveva a Istanbul e che non ce la faceva senza di me, e mi invitò a casa sua. Risposi: “Naturalmente verrò, ti sono sempre accanto, non dimenticarlo, perché ti amo molto. Sei tutto il mio mondo” e ricominciammo a vederci.
Ma mio figlio era ancora a disagio con me. Quando un giorno mi disse: “Ho fatto una cosa”, non so come, ma compresi cosa era successo. Pensavo che mio figlio fosse omosessuale, ma in realtà era una donna transgender. Aveva la protesi al seno. Piangeva mentre me lo diceva, ma io non piansi. Mi comportai in modo forte, perché se non lo avessi fatto avrei di nuovo perso mio figlio.
La abbracciai e le dissi: “Se tu sei felice, lo sono anch’io”. Da allora fu veramente felice, si sentiva maggiormente a suo agio, ma io no. Non sapevo nulla. Non sapevo come comportarmi in questa situazione. In uno degli ospedali in cui ero stata i dottori mi parlarono di un luogo con madri e famiglie come la mia. Allora non sapevo cosa significasse la parola “transgender”, così scrissi “madre di omosessuale” su internet per trovare il sito.
Scoprii LİSTAG, telefonai ed ebbi un colloquio con una madre. Mi parlò degli incontri del CETAD. Partecipai all’incontro, ma non potevo dire che mio figlio era transgender, perché non sapevo cosa significasse. Quando parlai con altre madri che stavano vivendo la stessa esperienza, compresi che non si trattava di una moda passeggera, non era qualcosa che si poteva risolvere, non aveva nulla a che fare con una scelta, ma si era così fin dalla nascita.
Dopo ogni incontro ero più sollevata. Quando mia figlia veniva a casa, speravo che le porte dei vicini restassero chiuse, perché non volevo che la vedessero, ma ora voglio che tutti la vedano, perché non ha nulla di cui vergognarsi, non ha fatto del male a nessuno. Allah l’ha fatta in questo modo fin dalla nascita, e io devo restare al suo fianco. Voglio vederla più forte, perché sfortunatamente si trova tra gli esclusi dalla società.
Fatemi raccontare un brutto ricordo. Risale al periodo in cui cambiammo casa, e scoprimmo che il proprietario del nuovo appartamento era omofobo. Un giorno, mentre stavamo pranzando, telefonò che sarebbe passato a farci visita, e mia figlia si nascose per non farsi vedere. Questo mi urtò, e cominciai a interrogarmi sul perché non lo dicevo agli altri senza vergognarmi.
Allora decisi di usare il mio tempo a lottare per i diritti delle persone LGBT. Cominciai a recarmi tutte le settimane agli incontri del LİSTAG. Ora i miei rapporti con mia figlia sono abbastanza buoni. Dovunque posso chiamare mio figlio “mia figlia”. Così come sono in buoni rapporti con lei, lo sono anche coi suoi amici e altre persone come lei.
Ora faccio parte del LİSTAG. Voglio fare tutto il possibile, perché sono stata lontano da mia figlia per un anno e mezzo e non so cosa le è capitato in questo periodo. Ora voglio raggiungere il maggior numero possibile di famiglie e dire loro: “Chiunque sia vostra figlia, che indossi una gonna o i pantaloni, abbia i capelli lunghi o corti, si trucchi, qualsiasi cosa faccia, quando la abbracciate e respirate il suo odore, capirete che il suo odore non cambia mai. Rimanete al suo fianco. Amatela”.
Anche mia madre adora mia figlia. Le raccontai la situazione, e la portai agli incontri del CETAD. Poi, quando sentii mia madre dire che amava sua nipote più di prima, mi sentii molto felice. Ora, se qualcuno guarda mia figlia mentre camminiamo sottobraccio, lo guardo negli occhi. La cosa più importante è che la persona che ero prima di sapere del suo orientamento sessuale e quella di oggi sono completamente diverse. Sono stata illuminata, sono cambiata. Non abbiamo più maschere, siamo più felici, stiamo meglio e il nostro legame è più forte.
* Traduzione dal turco in inglese di Arda Enfiyeci, storia tratta da “Gökkuşağından Hikayeler” (Ottobre 2018), raccolta pubblicata da LİSTAG, associazione turca di famiglie di persone LGBTI.
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