Fili rossi. Tre romanzi scritti da donne che parlarono per primi di amori tra donne
Articolo di Lavinia Capogna
Tra il 1927 e il 1928 vennero pubblicati tre romanzi in Inghilterra, che ebbero un enorme successo e provocarono grande scandalo. Erano “Orlando” di Virginia Woolf, “Il pozzo della solitudine” (The Well of Loneliness) di Radclyffe Hall, “Risposte nella polvere” (Dusty Answer) di Rosamond Lehmann. I tre romanzi avevano un filo rosso in comune: erano stati scritti da donne, ed erano in parte o completamente a tematica lesbica.
Il primo dei tre pubblicato nel 1927, “Risposte nella polvere” (il titolo originale “Dusty Answer” è una frase idiomatica che vuol dire una risposta che non aiuta, o scortese) era stato scritto da una scrittrice esordiente di ventisei anni, Rosamond Lehmann. Rosamond Lehmann proveniva da una ricca e colta famiglia inglese (suo nonno era stato amico di Charles Dickens), ed aveva aderito alle idee progressiste del gruppo intellettuale di Bloomsbury, di cui facevano parte anche Virginia Woolf e Lytton Strachey. Bloomsbury era costituito da alcuni intellettuali di sinistra, scrittori, pittori, poeti che si riunivano e parlavano non solo di letteratura ma anche di politica, dell’astrattismo di Picasso o delle idee, allora scandalose, di Sigmund Freud. Era un movimento di rottura con la vecchia Inghilterra conservatrice.
Anche Judith, la protagonista del romanzo, è una ragazza benestante, che nella prima parte del libro ritorna nella sua casa natale e rievoca, in modo nostalgico, la sua infanzia. Nella seconda parte del libro, Judith si trova invece all’università di Cambridge. In modo intenso e delicato Rosamond Lehmann descrive l’amicizia tra Judith e Jennifer, una bella ragazza piuttosto trasgressiva, tra le antiche mura di Cambridge.
Tra Judith e Jennifer nasce spontanea un’amicizia fin dal loro primo incontro, che ben presto raggiunge una grande intimità emotiva. Da parte di Judith questo sentimento di amicizia ha una forte sfumatura sentimentale, ma nonostante vi sia tra di loro un rapporto molto stretto, la ragazza neppure prende in considerazione di parlare del suo sentimento alla sua migliore amica. Questo rende l’idea di come un sentimento omosessuale al tempo potesse essere represso e negato.
Più tardi Judith si innamorerà perdutamente di Roddy, un ragazzo insensibile ed egoista, che era stato uno dei suoi amici di infanzia. Ma quello che interessò più del romanzo non era tanto l’amore di Judith verso Roddy, ma il sentimento di lei verso Jennifer. Centinaia di lettrici scrissero lettere a Rosamond Lehmann raccontando le loro vite e le loro vicende, che non potevano raccontare a nessun altro. L’omosessualità femminile era qualcosa che doveva rimanere celata, eccetto in qualche caffè di Parigi e Berlino.
Tante storie, sentimenti, emozioni venivano soffocati, per la società l’omosessualità era una malattia o un vizio da nascondere, da parte di molti uomini era vista come una minaccia da debellare o qualcosa di incomprensibile, o da osservare con voyeuristica morbosità.
La sua storia è la storia di un sentimento di cui rimangono nei secoli pochissime testimonianze proprio a causa della repressione, di silenzi riempiti da poche lettere, stralci di diari, pagine rubate alla distruzione.
Un sentimento la cui repressione ha causato spesso suicidi, dolorose separazioni, matrimoni etero infelici.
La sociologia ci insegna che ciò che non è menzionato in una società, per quella società non esiste, e proprio una sociologa, Daniela Danna, ha tentato di ricostruire questa storia perduta una ventina di anni fa nel suo bel saggio “Amiche, compagne, amanti”. Il libro di Rosamond Lehmann, per quanto assurdo possa sembrare oggi a chi lo legge, venne tacciato di essere immorale. Tra parentesi, Rosamond Lehmann era eterosessuale, si sposò due volte ed ebbe due figli. Nel suo libro voleva semplicemente descrivere come anche per una ragazza eterosessuale o bisessuale era ed è possibile provare un sentimento amoroso verso una coetanea, senza nessuno scandalo.
Prima di allora c’erano stati i romanzi arditi di Colette, i personaggi sfuggenti di Albertine e Andrée in “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, il rapporto tra Naná e l’affascinante Satin in “Naná” di Émile Zola, “La ragazza dagli occhi d’oro”, barocco romanzo di quel genio di Balzac, e infine il famoso “Mademoiselle de Maupin” di Théophile Gautier, però nessuno di questi romanzi, che provenivano dalla più audace Francia, avevano esplorato un’amicizia sentimentale platonica, a romantic friendship, vista da una prospettiva femminile, come fece acutamente Rosamond Lehmann. Nel 1886, persino uno scrittore così raffinato nel costruire le psicologie come Henry James, che oltretutto era gay, aveva un po’ dileggiato il sentimento di una donna emancipata verso una ragazza nel bel romanzo “Le bostoniane”.
Nel 1928 la scrittrice Radclyffe Hall pubblicò “Il pozzo della solitudine”. Era certamente un libro coraggioso, che raccontava la storia di Stephen, una ragazza con un nome maschile, anch’ella benestante, che trascorre una infanzia e una adolescenza solitarie, appoggiata dal riservato padre ma ostacolata dalla madre, e la cui unica consolazione è la dolce amicizia con un coetaneo, Martin.
Adulta, Stephen avrà una relazione sentimentale con una signora americana sposata, ma incontrerà un amore più autentico conoscendo Mary, una delicata ragazza inglese. Stephen e Mary andranno ad abitare insieme, il che era allora una cosa pienamente accettabile socialmente, per due donne, se mascherata da amicizia.
Il libro contiene una frase che negli anni ’20 fece versare fiumi di inchiostro e cioè “e la notte non rimasero divise”. Il libro della Lehmann già aveva scatenato le ire dei moralisti, ma quello della Hall fu troppo per loro, con il suo chiaro accenno sessuale. La scrittrice è stata la prima che ha raccontato una storia d’amore tra due donne in modo dichiarato.
“Il Pozzo della solitudine” non è un romanzo, a mio avviso, del tutto riuscito letterariamente, per via del debole finale, ma è senz’altro un romanzo molto sincero. Fu talmente avversato che venne proibito in Inghilterra e negli Stati Uniti. Chiaramente questa censura favorì il grande successo del libro, che vendette milioni di copie. Molti intellettuali inglesi si mobilitarono contro la censura, tra i quali Virginia Woolf, E.M. Forster e il commediografo irlandese George Bernard Shaw.
Radclyffe Hall era una scrittrice lesbica, che indossava abiti maschili nelle sue fotografie come, nel 1800, aveva fatto a volte la scrittrice francese George Sand.
L’ultimo di questi libri è “Orlando” di Virginia Woolf, un libro particolarissimo e un vero gioiello letterario, che racconta la storia di un giovane, malinconico poeta aristocratico, Orlando. Il libro inizia nell’Inghilterra shakesperiana del 1500, che Virginia Woolf seppe descrivere splendidamente, con i suoi tavernieri, poeti, musicisti, prostitute, popolani; le pagine sul grande gelo di Londra o la profonda delusione sentimentale del giovane Orlando, ferito emotivamente dalla volubile principessina russa, sono un vero capolavoro.
La storia prosegue nel tempo e nel 1700 in Persia, dopo un lungo e misterioso sonno, Orlando si risveglierà con il corpo di una fanciulla. Il libro di Virginia Woolf abolisce i generi e la morte, infatti Orlando non muore mai, ma vive attraverso i secoli e il tempo.
Virginia Woolf scrisse e dedicò “Orlando” a Vita Sackville-West, scrittrice di successo, con cui aveva avuto una importante relazione sentimentale, trasformatasi poi in una grande amicizia.
Virginia Woolf fece un amabile scherzo a Vita Sackville-West: le inviò una copia del libro, e nella prima pagina scrisse una dedica che recitava “Per te, il mio libro migliore”. Vita Sackville-West rimase sorpresa, perché Virginia Woolf era una persona molto modesta, che di solito si sottovalutava.
Aprì le prime pagine del libro, ed erano tutte bianche. Qualche giorno dopo, Virginia Woolf mandò una vera copia del libro alla sua amica.