Fonti e metodi con cui ricostruiamo le “cronache di ordinaria omofobia” in Italia
Riflessioni di Massimo Battaglio
La “Cronache di Ordinaria Omofobia” cominciano a essere conosciute e utilizzate da un buon numero di informatori, opinionisti, attivisti, ricercatori. Noi che ci lavoriamo da un po’, non possiamo che esserne felici. Personalmente però, mi irrito un po’ quando mi viene chiesto di poter accedere alle fonti.
Lo ripeto ancora una volta: le nostre fonti sono talvolta giornalistiche e talaltra dirette. Le fonti giornalistiche arrivano dal lavoro che alcuni di noi fanno quotidianamente, che consiste nel cercare occorrenze in rete e sui giornali cartacei locali. Ciascuna notizia viene esaminata attentamente per verificare che non si tratti di una fake, e validata solo se confermata da almeno tre occorrenze non sovrapponibili.
Le fonti dirette sono quelle che vengono dalle associazioni lgbt, dai loro “sportelli”, telefoni e centri d’ascolto o da chi ci contatta personalmente. Il numero dei contatti personali sta crescendo man mano che le Cronache di Ordinaria Omofobia sono più conosciute.
Ma allora, se abbiamo la coscienza a posto, perché non forniamo tutti i “link” a queste fonti e soprattutto a quelle giornalistiche? La risposta è semplice: perché è meglio di no.
E’ meglio non farlo innanzitutto perché esistono un paio di giornalacci ipercattolici, i cui “volontari” hanno parecchio tempo da perdere, che già ora si prendono quotidianamente il disturbo di leggere i nostri resoconti per tentare di sbugiardarli. Ogni volta che noi segnaliamo un fatto omofobo (e ogni volta che lo faccio io personalmente sul mio profilo facebook), compaiono puntualmente i loro titoli negazionisti. Titoli come: “ancora un falso caso di omofobia“, “la lobby lgbt diffonde odio” e simile immondizia.
Chissà se si rendono conto che stanno giocando sulla pelle delle vittime. Chissà se arrivano a capire che il loro, in termini penali, si chiama depistaggio. Magari sono proprio convinti che noi ci si diverta a inventare violenze inesistenti. D’altra parte, quando uno è assalito dal complottismo, non può che pensare che lo siano anche gli altri. Ma non importa. Basta non pasturarli troppo: si trovino da soli i loro benedetti link, visto che sono così animati dall’ardore per la verità.
A me, la battaglia dei link, non è mai piaciuta. E’ troppo veloce, troppo immediata, troppo deresponsabilizzante. La ricerca seria richiede tempo. Le fonti vanno verificate, incrociate, meditate. Cosa che, spesso, i giornalisti che pubblicano una sempice informazione, non hanno il tempo di fare. E non perché siano cattivi o incapaci ma perché, oggi, il mondo dell’informazione funziona così: si lavora nella fretta, con l’ansia di arrivare primi o almeno di chiudere presto. E alla fine, si forniscono informazioni insufficienti o distorte, che solo il fruitore esperto riesce a decifrare.
Faccio un esempio: venerdì 5 febbraio è giunta da Torre del Greco la notizia di un ragazzo inseguito e picchiato perché si faceva chiamare Carla. Alcune testate locali l’hanno riportata così. Qualche ora dopo, altre testate hanno parlato di una ragazza; altre ancora, di un trans e di una trans. Nessuno aveva completamente torto ma nessuno aveva ragione, tranne l’ultimo.
La ragazza in questione sta infatti intraprendendo il proprio percorso di transizione. Noi abbiamo dato la notizia dopo averla verificata direttamente presso le associazioni del posto, che hanno contattato la vittima. I giornalisti che si sono occupati del caso non hanno avuto nè l’occasione nè soprattutto il tempo per questo approfondimento.
Avremmo dovuto fornire i link ad articoli così imprecisi, in cui si scambia una donna per un uomo?
Non basta. Ora, i carabinieri stanno a loro volta scandagliando le fonti. Sembra che il video che immortala la faccenda non sia di sabato ma di qualche giorno prima. Questo non cambia nulla ma, per qualcuno, è sufficiente per gettare l’ombra del complotto. Diamo in pasto ai complottisti anche questo link?
Inoltre, gli stessi carabinieri stanno indagando per stabilire con certezza il motivo del pestaggio. Potrebbe infatti trattarsi di un inseguimento finalizzato a rapina o dovuto ad altri motivi; gli epiteti omofobi potrebbero essere solo una sorta di “condimento”. E’ giusto indagare poiché, se c’è un tentativo di rapina, il fatto è ancora più grave. Ma, dal nostro punto di vista, cambia poco: scagliarsi su una vittima trans picchiandola e insultandola per ribadire il proprio giudizio su di lei, è transfobia; punto. Qualcuno invece non vede l’ora di poter sentenziare che l’omo-transfobia non c’entra niente. Bene: abbia la compiacenza di cercarsi da solo le sue fonti.
Stiamo svolgendo una ricerca delicata, che parla di persone maltrattate, picchiate, uccise. Sappiamo benissimo che, a volte, le notizie che riferiamo hanno dell’incredibile. Proprio per questo cerchiamo di essere rigorosi, anche se, a volte, questo porta a riferire le notizie in ritardo. Ma non possiamo che fare appello alla fiducia dei lettori, perché il rispetto per le vittime viene prima del piacere miserabile della guerra dei link.
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