Fotogrammi sentimentali. Appunti per una storia del cinema LGBT+ (1900-1960)
Annotazioni di Lavinia Capogna del marzo 2022, revisione del marzo 2024, prima parte
La storia del cinema dove appaiono personaggi omosessuali o a tematica Lgbt si divide in due periodi molto differenti: il primo va dagli anni ’20 agli anni ’50 del Novecento in cui era impossibile affrontare questi temi dichiaratamente al cinema a causa della censura e si poteva solo fare in modo velato come vedremo.
Il secondo dagli anni ’60 ad oggi in cui è possibile raccontare sentimenti e storie d’amore omosessuali.
È bene però chiarire che esistono tre generi completamente diversi nel cinema: il primo sono i film d’autore o d’arte e qui troviamo opere che possono andare dal capolavoro a film meno riusciti ma che comunque contengono qualcosa di innovativo, di poetico, di autentico; un altro filone, molto più consistente e di successo, è quello dei film che sono operazioni commerciali più o meno riuscite, realizzati spesso con ampi mezzi economici e tecnici ma senza anima;
esiste poi un terzo filone che sono film dichiaratamente molto spinti che qui non prendiamo neppure in considerazione.
I film a tematica Lgbt rientrano in tutte queste categorie così come i film che parlano di personaggi eterosessuali.
Sarebbe impossibile nello spazio di un articolo esaminare tutto ciò e quindi io vorrei qui solo dare uno sguardo e chiaramente non potrò citare tutte le opere.
Il cinema è un’arte moderna infatti esso è nato nel 1895 quando i fratelli Lumière, due inventori francesi, fecero una proiezione pubblica di alcuni brevissimi filmini in una sala di Parigi.
Ma che cosa è il cinema? Migliaia di immagini che scorrono su una pellicola a 35 mm. Scorrendo alla velocità di 24 fotogrammi al secondo esse danno l’impressione del movimento.
Il cinema è anche l’arte più simile al sogno: nella sala oscura di un cinema, insieme ad altri sconosciuti, illuminata solo dal fascio di luce polveroso del proiettore, ci viene narrata una storia, proviamo emozioni. Il proiezionista è invisibile. Egli si trova nella sua cabina di proiezione e grazie ad una piccola finestrella può controllare che tutto stia andando per il meglio mentre il pubblico partecipa emotivamente alla storia creata dal regista con il supporto dei suoi collaboratori.
Per lungo tempo gli/le omosessuali sono stati esclusi da questo sogno soggettivo e collettivo al tempo stesso.
Nei film fino agli anni ’50 del Novecento troviamo i personaggi Lgbt praticamente assenti o in pochissimi film velati.
I film erano sottoposti ad una rigorosa censura in Italia, vietati ai minori di 14 e 18 anni, tagliati o sequestrati ed era impossibile narrare una storia omosessuale.
Negli Stati Uniti c’era il codice Hays che impediva qualsiasi film che potesse riguardare sentimenti che non fossero edulcorate storie etero.
Nonostante questo codice fosse molto severo nella puritana America qualche regista di Hollywood riuscì abilmente ad aggirarlo, come vedremo.
Una cosa importante da tener presente valutando un film a tematica Lgbt è che, a parte le sue qualità o difetti intrinsecamente cinematografici (regia, sceneggiatura, recitazione, fotografia, montaggio, musica, costumi, scenografia), dobbiamo considerare il contesto storico in cui esso è stato realizzato: un film di 30 o 40 anni fa che potrebbe sembrare reticente ai nostri giorni poteva essere allora avanti con i tempi.
I primi due film a tematica Lgbt vennero realizzati nella Germania degli anni Venti al tempo della Repubblica di Weimar.
Nel 1919 il documentario “Diversi dagli altri” fu il primo film gay di 50 minuti e ancora muto che si opponeva al Paragraph 175, la legge anti omosessuale allora in vigore nel paese sulla quale sarà realizzato nel 2000 anche un altro documentario, “Paragraph 175“, diretto da Rob Epstein e Jeffrey Friedman, con la voce fuori campo di Rupert Everett.
Nel 1931 la regista Leontine Sagan realizzò “Ragazze in uniforme“
che raccontava dell’amore tra un’allieva e la sua insegnante in un severo collegio prussiano. Ebbe un grande successo ed anche un mediocre remake negli anni ’50 nobilitato solo dalla presenza di una giovane Romy Schneider.
Negli anni ’30 Marlene Dietrich scambiò un fugace bacio con una ragazza in “Marocco” ed altrettanto accadeva a Greta Garbo in “La regina Cristina“.
Nel 1940 il regista inglese Alfred Hitchcock, che già aveva realizzato parecchi film Noir di valore nel suo paese, approdò a Hollywood debuttando con “Rebecca, la prima moglie“, un film tratto dal famoso romanzo della scrittrice Daphne du Maurier.
Il film era la storia di una bella ragazza ingenua, interpretata da Joan Fontaine, che si innamorava, ricambiata, di un ricchissimo vedovo, il severo Lawrence Olivier, ma la loro felicità veniva distrutta dal ricordo della prima moglie di lui, Rebecca. Tutto nella casa riportava a lei: fotografie, quadri, oggetti ma anche la governante di Rebecca, ben interpretata da Judith Anderson, rammentava continuamente a Joan Fontaine la prima, inimitabile prima moglie di Lawrence, la perfetta Rebecca. Il regista lasciava intuire che l’eccessivo affetto da parte della governante verso la sua antica signora fosse di natura omosessuale sfuggendo però alla censura americana. Le ripetute inquadrature in cui ella sovrastava Joan Fontaine nonché gli abiti neri e lo sguardo a metà tra il severo e l’allucinato contribuirono a dare al personaggio della governante un timbro inquieto, patologico e in questo senso questo capolavoro della golden age di Hollywood contribuì ad una certa omofobia verso le lesbiche che continuerà a sopravvivere a lungo nel cinema.
Anche nel capolavoro di Roberto Rossellini “Roma città aperta” (1945) c’era un personaggio di una lesbica tedesca negativa interpretato dalla brava attrice Giovanna Galletti.
Anche se l’omosessualità non veniva mai menzionata nel film “Tè e simpatia” (1956) di Vincent Minnelli era evidente che il film si riferiva ad essa.
Il titolo originale del film “Tea and sympathy” aveva un senso un po’ diverso della traduzione italiana, infatti tea and sympathy è una espressione inglese old fashioned che significa “dare conforto a qualcuno che è nei guai” e la storia, delicatamente narrata, era proprio quella di un’amicizia a sfondo sentimentale tra uno studente di un college e la moglie del rettore.
Il protagonista era un ragazzo colto, non amante del baseball ma della musica classica, non invadente verso le ragazze e che veniva bullizzato dai compagni.
Nei film velati il pubblico omosessuale percepiva chiaramente un personaggio omosessuale e questi film erano per loro una vera e propria ancora di salvezza: il non rappresentabile veniva rappresentato, il non detto si faceva largo nonostante i divieti.
Uno dei più grandi problemi di tutte le minoranze è infatti che esse non vengono rappresentate. La sociologia ci insegna che ciò che non viene rappresentato in una società non esiste (anche se di fatto esiste). Gli spettatori e le spettatrici omosessuali vedevano questi film con emozione.
Un altro film di Hollywood velato fu “Improvvisamente l’estate scorsa” del 1959 diretto dal Joseph L.Mankiewicz ispirato alla bella commedia del grande commediografo gay Tennessee Williams.
Il film aveva un atmosfera abbastanza cupa in cui una ragazza, interpretata da Elizabeth Taylor, si ricordava una tragedia a sfondo sessuale svoltasi su una spiaggia spagnola.
Liz Taylor avrebbe interpretato anche un altro famoso film a tematica Lgbt, sempre ispirato da una commedia di Tennessee Williams, “La gatta sul tetto che scotta” con Paul Newman.
In “Improvvisamente l’estate scorsa” recitava anche un attore gay, il bellissimo Montgomery Clift. Anche altri attori di Hollywood erano gay o bisessuali tra cui Greta Garbo, Marlene Dietrich, probabilmente Cary Grant e Tyrone Power, Farley Granger, Judy Garland, Anthony Perkins e Rock Hudson che purtroppo morirono entrambi di Aids dopo aver fatto un coraggioso coming out su questo. Negli anni ’50 Marlon Brando e James Dean, entrambi bisessuali, portarono nel cinema di Hollywood un nuovo tipo di ragazzi, i ragazzi del secondo dopoguerra: insoddisfatti, esistenzialisti, ribelli.
Bisognerà arrivare al 1961, cioè al tempo in cui era presidente John Kennedy, per poter realizzare “Quelle due” con Audrey Hepburn e Shirley MacLaine diretto da William Wyler.
Il film era ispirato ad una famosa opera della commediografa comunista Lillian Hellman “The Children’s Hour” da cui il regista aveva già tratto un film negli anni ’30 cambiando la storia. Era la storia di una ragazzina pettegola che frequentava un collegio per adolescenti molto benestanti, diretto da due amiche insegnanti, che per vendicarsi di una delle due (che l’aveva rimproverata per un furto) raccontava una bugia alla nonna dicendo che le due insegnanti avevano una relazione sentimentale.
Nella cittadina scoppiava un grande scandalo, le allieve venivano ritirate e la scuola chiusa. Ma la cosa più importante era che una delle due insegnanti si accorgeva che effettivamente il suo sentimento verso la sua grande amica non era solo d’amicizia ma anche d’amore.
Dopo un drammatico coming out (“ti voglio bene come dicono” – cioè lasciava definire i suoi sentimenti dagli altri), che comunque veniva accolto benevolmente dalla sua amica etero, ella si suicidava.
Il suicidio era un classico finale dei film che usavano affrontare questa tematica. Dopo che i sentimenti erano stati espressi o scoperti non rimaneva ai protagonisti altra strada che il suicidio piuttosto che affrontare l’onta sociale.
Un suicidio accadeva anche in “Victim” un film inglese del 1960 diretto da Basil Dearden ed interpretato da Dirk Bogarde, attore di grande talento e gay egli stesso.
Nel film Dirk Bogarde era un avvocato londinese sposato e di successo. Ma qualcosa di innominabile turbava la sua vita: a causa di una innocente foto veniva ricattato da una gang di giovinastri equivoci. Per comprendere appieno il film bisogna sapere che in Inghilterra c’era una legge contro i gay che sarebbe stata abolita nel 1967 anche grazie a questo film.
Poco tempo prima infatti l’avvocato aveva avuto una relazione sentimentale con un ragazzo. Quando il ragazzo, preso di mira dai giovinastri, si suicidava in prigione l’avvocato decideva di scoprire i colpevoli e di farli arrestare ma per fare ciò doveva mettere a rischio la sua reputazione rivelandosi, il che veniva accolto in vari modi: il ricco fratello della moglie ne era scandalizzato ed indignato, un collega gli diceva “Non ho mai dubitato della sua integrità e non ne dubiterò adesso”, la moglie ne restava ferita e sembrava inevitabilmente che il loro matrimonio stesse per naufragare, cosa che poi non accadeva.
“Victim” è un film etico su un uomo che fa una giusta scelta sapendo che può perdere tutto.
“Il servo” di Joseph Losey del 1960 aveva invece una atmosfera gay, “L’altra faccia dell’amore” affrontava nel timbro dissacrante di Ken Russell la vita del musicista russo Tchaicovsky e “Domenica maledetta domenica” di John Schlesinger era la storia di un ragazzo che ama sia un uomo sia una donna. Nel film vi era un bacio tra il bravissimo Peter Finch e il ragazzo. “Festa per il compleanno del caro amico Harold” era una commedia brillante ed infine il bellissimo e visionario film australiano “Pic nic a Hanging Rock” di Peter Weir aveva qualche riferimento lesbico.
Anche il francese “I diabolici” di Clouzot con Simone Signoret, un classico del cinema Noir, aveva una atmosfera vagamente e torbidamente lesbica e Catherine Deneuve scambiava un bacio (per quanto assai freddo) con una donna nello scandaloso “Bella di giorno” del regista spagnolo Luis Buñuel.
Anche “Le amicizie particolari”, “I turbamenti del giovane Torless” e “La Fuga”, un film molto interessante di Paolo Spinola, affrontavano questo tema, quest’ultimo raccontando la crisi esistenziale di una giovane donna dell’alta borghesia capitolina, ben interpretata da Giovanna Ralli, e la suadente arredatrice Anouk Aimée.
Nel 1960 Mauro Bolognini realizzò un bellissimo film intitolato “Il bell’Antonio“, ispirato al romanzo di Vitaliano Brancati, in cui raccontava di un giovane siciliano di buona famiglia che viene creduto da tutti un dongiovanni e che invece non può corrispondere all’amore della sua bella sposa, Claudia Cardinale. Chiaramente data la censura dell’epoca non si poteva spiegare il perché e restava in sospeso se egli fosse impotente o gay. Questo personaggio, che ha i tratti di Marcello Mastroianni in una delle sue più intense interpretazioni, ha una grande forza espressiva: mette in luce la persecuzione che doveva (e deve) subire un giovane uomo che non è conforme allo stereotipo italiano del dongiovanni etero.
Giuseppe Patroni Griffi realizzava un film atipico, ambiguamente suggestivo, “Il mare“, su un uomo in crisi che incontra un ragazzo e riferimenti gay si trovano in altri suoi film.
Nel 1968 Pier Paolo Pasolini girò l’ultra censurato “Teorema” in cui un ragazzo dell’alta borghesia aveva una breve relazione con uno sconosciuto la quale lo rende consapevole del suo orientamento.
Egli vive questa scoperta con rabbia ma essa farà anche emergere la sua creatività come pittore astratto.
KIl film “Plagio” di Sergio Capogna del 1969 raccontava invece la storia di un’amicizia nell’ambiente degli studenti a Bologna nel pieno scoppiare dell’anno delle rivolte, il 1968, colto nel medesimo momento degli eventi. Il film, audace per allora, narrava con intensità ed innocenza il rapporto di amicizia/amore tra Massimo, Guido ed Angela ed era interpretato da Mita Medici, Ray Lovelock e Alain Noury.
Nel 1968 Chabrol realizzò “Les Biches” (che in francese vuol dire ‘le cerbiatte’), un film con una trama talmente inverosimile da risultare alla fine quasi divertente eccetto il finale horror, interpretato da Stéphane Audran, Jacqueline Sassard e Jean – Louis Trintignant.
Nel 1970 Bernardo Bertolucci ebbe il suo primo successo con “Il Conformista“, ispirato al romanzo omonimo di Alberto Moravia. Nel film troviamo una situazione trasgressiva per l’epoca come quella della relazione tra la moglie (stupida) di Jean Louis Trintignant, splendidamente interpretata da Stefania Sandrelli, e l’affascinante Dominique Sanda, moglie del professore antifascista che Trintignant vuole uccidere.
La scena di intimità tra Dominique Sanda e Stefania Sandrelli è assai infelice e anche la scena del ballo tra le due donne è molto ostentata. Nel film, che peraltro è molto interessante, si respira quella morbosità e misoginia che contraddistingue i film del regista parmense.
Luchino Visconti in “Morte a Venezia“, tratto dall’omonimo libro di Thomas Mann, raccontava invece la fascinazione casta e platonica di Gustav von Aschenbach, un musicista in crisi, per il bellissimo adolescente Tadzio.
“Morte a Venezia” rimane artisticamente uno dei film più belli mai realizzati in Italia: le passeggiate nelle calli veneziane, le mattinate sulla spiaggia, la lussuosa hall dell’hotel sono immagini che fanno parte dell’immaginario collettivo di tutti gli/le amanti delle cinema.
Luchino Visconti aveva già inserito elementi omosessuali in “Rocco e i suoi fratelli” del 1960 sulla degradazione morale di una famiglia meridionale nella fredda Milano e aveva condannato la pedofilia (che non ha nulla a che spartire con l’omosessualità) in “La caduta degli dei“, 1969, il suo film più cupo e senza speranze.
Dichiaratamente gay era il protagonista di “Ludwig“, sul giovane re di Baviera, interpretato dal bravissimo Helmut Berger, allora compagno del regista.
“Ludwig” è bellissimo film che meriterebbe di essere riproposto nelle sale cinematografiche.
Valerio Zurlini nel discontinuo “La prima notte di quiete” che aveva una bella regia, fotografia e musica ma una discutibile sceneggiatura mostra uno dei personaggi più misogini e omofobi del cinema d’autore: l’equivoca lesbica in pelliccia e platinata dal carattere cinico, interpretata da Nicoletta Rizzi.
Enrico Maria Salerno dirigeva invece con sensibilità “Cari genitori” dove si percepiva una relazione sentimentale finita male tra Maria Schneider, ventenne hippy in fuga dai genitori a Londra e ritrovata dalla madre Florinda Bolkan, e una più matura Catherine Spaak.
E sempre Maria Schneider avrebbe interpretato ‘Io sono mia”, film femminista di Sofia Scandurra.