Francesca e Marco raccontano il loro percorso di transizione
Dialogo di Katya Parente con Francesca Eva e Marco
Qualche tempo fa ho intervistato Roberta Rosin e Valentina Cincotto, dell’Associazione Con-Te-Stare di Padova, un’organizzazione che si occupa di accompagnare le persone transgender e di genere diverso (TGD) nel loro percorso di transizione. Ora lasciamo la parola a3 dirett3 interessat3. Rispondono Francesca Eva, 40 anni e Marco, di 28.
A chi avete confidato per primo il vostro essere persone transgender e di genere diverso (TGD)?
F. E.: Tra i singhiozzi di un pianto liberatorio R. e S. sono stati i primi a saperlo. Due amici di vecchissima data con cui ho condiviso molto prima del coming-out e che sono stati, oltre che persone che è stato facile considerare dei fratelli, casa e rifugio in momenti particolarmente difficili e buii della mia vita, tutti per lo più riconducibili alla mancanza di chiarezza sulla mia identità di genere. Posso dichiarare senza alcun dubbio che sarei stata persa senza di loro, il loro affetto e il loro supporto incondizionato. Nonostante la vita ci ha portato ad allontanarci rimarrò sempre grata per quello che hanno fatto per me.
M.: Ai miei genitori quando avevo 16 anni.
Come hanno reagito le persone a cui l’avete detto?
F. E.: “Non te ne sei mai accorta ma parli costantemente di te al femminile tesoro…” poche parole cariche di affetto che mi hanno fatto intuire che non sia stata una sorpresa, almeno per buona parte di amici o conoscenti a cui mi sono apertamente dichiarata. C’è stata molta comprensione e la netta impressione che stessero quasi aspettando quella notizia già da un po’ in realtà. Posso ammettere candidamente che sono stati gli altri ad accorgersi di me ancor prima che lo realizzassi io.
M.: All’inizio cercavano di minimizzare (“magari è una fase”), cosa che, ora che vado verso i 30 anni, capisco, per quanto al tempo mi ferisse. Entro un anno dal mio coming out hanno capito che c’era qualcosa di serio sotto. A parte i primissimi mesi, sono sempre stati entrambi molto supportivi. Mi hanno spronato ad andare in terapia per capire cosa potesse essere meglio per me a lungo termine. La loro priorità, pur nell’incomprensione, era che stessi bene.
C’è stata qualche figura che vi è stata particolarmente vicina e di supporto?
F. E.: Ce ne sono state diverse in realtà, tutte che mi hanno offerto supporto e aiuto in modi del tutto personali e indiscutibilmente preziosi. Mio padre è stato l’unico membro della famiglia ad accettare il mio percorso d’affermazione e a mostrarmi amore incondizionato e senza alcuna riserva, tra l’affettuoso imbarazzo nel dover imparare a chiamarmi con un nuovo nome e il supporto di chi ha sempre avuto in mente cosa vuol dire essere “padre” oltre che genitore.
P. e F., una coppia straordinaria che non ha mai mancato di farmi sentire parte della famiglia offrendomi un posto dove stare, affetto e sostegno. D., il mio ex compagno è stato testimone dei primi passi e dei cambiamenti dovuti all’inizio della terapia. Il rapporto con lui non si è concluso nel migliore dei modi ma è innegabile che sia stata una persona molto importante.
E. e D. splendidi amici che hanno reso il percorso meravigliosamente più semplice, naturale. Non sono stati i soli. Da questo punto di vista, si, mi ritengo una persona molto, molto fortunata.
M.: Ho sempre mantenuto estrema riservatezza rispetto alla mia identità T, dunque per molti anni erano davvero poche le persone che ne erano a conoscenza. Oltre ai miei genitori ed agli amici stretti (che naturalmente non do per scontato), un piccolo ma grande aiuto me l’hanno dato i miei professori del liceo.
Un esempio: al penultimo anno provavo talmente tanta disforia da non poter fare educazione fisica – mi metteva troppo a contatto con il mio corpo. Ne ho parlato con la professoressa, e abbiamo concordato l’esonero stilato dalla neuropsichiatra presso cui ero in carico. Nessuna discriminazione, nessun ulteriore commento od opinione personale, solo un sincero (e molto apprezzato) “sono del tutto ignorante su questo, ma se ti fa stare meglio, allora va fatto”. Qualche anno dopo, a transizione medica avviata, l’ho incontrata per caso in città. L’ho salutata, dopo qualche secondo mi ha riconosciuto, e con un sorriso mi ha detto: “Ma guarda, sei proprio un ragazzo! Ti vedo bene!”.
Cosa vi sentite di dire ai ragazzi/e che stanno vivendo una situazione simile alla vostra?
F. E.: Mentirei se dicessi che sarà facile perché no, non lo è. Non lo sarà sempre, almeno. Ci saranno momenti in cui la fiducia in voi stessi potrebbe essere messa a dura prova ma sono sempre stata dell’idea che le cose preziose e le strade che portano ai traguardi che contano davvero raramente sono lisce e prive d’ostacoli.
Vi potrà sembrare che ciò che sta accadendo sia qualcosa che riguarda solo voi, che certe sensazioni, il disagio, il disorientamento sia qualcosa che nessuno, a parte voi che lo vivete, può davvero comprendere a pieno. Può sembrare ma non è così. Non siete soli e per quanto possa suonare, sì, a tratti impossibile e assurdamente sdolcinato, imparerete a stupirvi di quante persone saranno e sono disposte ad amarvi incondizionatamente. Godetevi ogni istante perché non sarà uguale a quello prima e perché vi porterà ad essere fieri di voi stessi e di ciò che siete stati in grado di conquistare. Vi voglio bene.
M.: Non conoscendo la situazione personale di altri, un classico “alla fine andrà tutto bene”, sarebbe fare inferenza su dati inventati, quasi frode scientifica. Implicherebbe anche che il punto in cui sono io in questo momento sia la Conoscenza Suprema. Andrà come andrà, e come andrà sarà a volte molto bene e a volte meno bene e a volte malissimo, e malissimo è solo una delle potenziali strade verso molto bene. La maggior parte delle cose sono un’incognita, qualcuna più di qualche altra: a me aiuta apprezzare l’incertezza. Magari può aiutare anche qualcun altro.
Grazie a Francesca Eva e a Marco per aver condiviso con noi una parte così intima e delicata della loro vita. Nella prossima intervista saranno protagonisti i genitori che ci racconteranno dal loro punto di vista questo momento così complesso per tutti quelli che vi sono coinvolti.