Freud e i figli delle coppie gay. Il dibattito
Articolo pubblicato il 2 gennaio 2013 su La ventisettesima ora, blog de ilcorriere.it
Due mamme, due papà. Genitori dello stesso sesso. La società sta attrezzandosi a considerarli al pari di ogni padre e ogni madre. La politica (le leggi) e l’etica, però, non trovano un accordo. Chi tocca questi temi è destinato ad aprire lunghi dibattiti. L’ultimo è quello che sta nascendo dall’articolo pubblicato domenica scorsa sul Corriere a firma Ernesto Galli della Loggia che cita il Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim e il suo Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione.
«In un modo che a me sembra condivisibile anche dal punto di vista di un non credente egli smonta uno a uno gli argomenti abitualmente usati a favore del matrimonio omosessuale: dall’esigenza della protezione giuridica del potenziale congiunto all’importanza di volersi bene; alle ragioni affettive che giustificherebbero l’adozione di un bambino da parte di una coppia omossessuale».
Galli della Loggia, nella critica laica alle unioni gay e alla genitorialità gay, chiama in causa gli psicanalisti affinché rispondano al dibattito secondo scienza. All’editoriale risponde un papà delle famiglie Arcobaleno e, appunto, una psicoanalista…
LE RAGIONI A FAVORE DEI GAY
«Mia figlia sta bene con i suoi due papà» di Tommaso Giartosio, Famiglie Arcobaleno
Caro direttore, mia figlia vorrebbe che i suoi due papà potessero sposarsi. Di questo sono certo. Ma so anche che mia figlia ha solo sette anni, e certe cose ancora non le capisce. Non capisce, per esempio, che il suo desiderio è «conformista», come scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 30 dicembre. In effetti per lei è difficile cogliere questo conformismo, visto che vive nell’unico Paese occidentale completamente privo di leggi a tutela dei gay.
Privo in primo luogo del matrimonio egalitario, cioè aperto anche alle coppie dello stesso sesso. Ma il matrimonio egalitario porterebbe secondo Galli della Loggia (che cita in parte Gilles Bernheim) a una «confusione delle genealogie, degli statuti e delle identità», a un tracollo della «complementarietà uomo-donna», all’azzeramento dell’«esistenza ontologica di due sessi distinti», alla devastazione delle «radici più profonde e vitali della nostra antropologia e della nostra cultura». Anche questo è difficile da capire… E sì che abbiamo già sentito frasi simili.
Circolavano a voce e a stampa, per esempio, nel dibattito sul voto alle donne. L’esclusione delle donne dalla politica non aveva anch’essa radici millenarie? Non esprimeva una profonda complementarietà uomo-donna, ricca di tanti significati preziosi e fragili, e anche molto ontologica? Non era, perbacco, parte della nostra antropologia?
La retorica del discorso discriminatorio è sempre la stessa. Questo minacciare apocalissi vaghe o sommamente improbabili ricorda i discorsi di chi, nel 1946, profetizzava che le donne ora non avrebbero voluto più occuparsi dei figli. Mia figlia, per inciso, intende averne sei. Un altro vizio logico di questa retorica è la fallacia della «brutta china»: Galli della Loggia pensa che il matrimonio egalitario apra la porta alla poligamia, così come un tempo si temeva che dopo il voto alle donne anche bambini, pazzi e scimmie avrebbero rivendicato l’elettorato attivo e passivo.
La forma stessa di queste analogie manifesta il retropensiero discriminatorio, l’idea che la donna sia inferiore all’uomo, o che un amore gay sia inferiore a un amore etero. Terzo (e ultimo, per non eccedere) tic di queste argomentazioni: ignorano del tutto il dato di realtà. Così diventa possibile argomentare che i figli delle coppie dello stesso sesso mancano delle «strutture psichiche basilari», nonostante decenni di ricerca scientifica mostrino il contrario. Certo, esiste un folkloristico drappello di studiosi che non si rassegna all’evidenza. C’è il professor Regnerus, che a posteriori confessa che mamme lesbiche e papà gay da lui esaminati forse non erano davvero gay e lesbiche; c’è il professor Cameron, autore di una ventina di dotti studi, espulso dalle associazioni professionali e condannato dai tribunali per distorsione dei dati. Un giorno mia figlia riderà di storie simili.
Nell’attesa, però, avrebbe bisogno di godere degli stessi diritti di cui già godono i suoi coetanei cresciuti in famiglie antropologicamente corrette. Degli stessi diritti, e – altrettanto importante – della stessa dignità.
IN NESSUNO DEI TRE CASI che prende in considerazione il signor Giartosio confuta nella sostanza – ripeto: nella sostanza, cioè con argomenti inerenti alla natura delle cose in questione – le affermazioni che intende contrastare. Si limita a stigmatizzare le opinioni che non condivide mediante analogie improprie e definizioni negative: entrambe prive di qualunque reale valore argomentativo.
Egualmente deplorevole, a mio avviso, è il vezzo di considerare ciarlatani o delinquenti tutti gli studiosi che non condividono il pensiero gay in base al semplice fatto (peraltro da accertare) che un paio di costoro sono stati colpiti da sanzioni o scoperti a mentire. Come dire che siccome sono stati scoperti due dentisti che imbrogliavano le carte sostenendo l’esistenza di carie dove non c’erano, allora l’intera odontotecnica è priva di fondamenta. Se mi è permesso, consiglierei l’associazione delle Famiglie Arcobaleno di discutere in modo più adeguato all’importanza dei problemi in questione.
Ernesto Galli della Loggia
FREUD E IL SENSO DELLA DIVISIONE DEI RUOLI
«Ai bambini servono entrambe le figure» di Silvia Vegetti Finzi
Da tempo la psicoanalisi ha perso la capacità di sollecitare la riflessione collettiva sulle strutture profonde che reggono l’identità individuale e sociale e ciò proprio nel momento in cui si delineano radicali trasformazioni. A rompere questo silenzio giunge quanto mai opportuno l’invito che Ernesto Galli della Loggia rivolge agli psicoanalisti perché non temano di far sentire la loro opinione, anche quando non è conforme al « mainstream delle idee dominanti».
Ormai le psicoanalisi sono tante e non parlano «con voce sola» ma, come storica e teorica del campo psicoanalitico, farò riferimento a Freud, che non credo abbia esaurito il suo compito di fondatore e di maestro. Poiché da oltre un secolo i suoi eredi raccolgono e interpretano, attraverso la pratica dell’ascolto e della cura, i vissuti consapevoli e inconsapevoli della nostra società, mi sembra doveroso interrogare un sapere che si fonda sull’Edipo, così come è stato tramandato dalla tragedia di Sofocle. L’Edipo, che Freud definisce «architrave dell’inconscio», è il triangolo che connette padre, madre e figlio.
Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, «voglio tutto subito», che coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società. Questa impossibilità è strutturante in quanto mette ognuno di fronte alla sua insufficienza (si desidera solo ciò che non si ha) e alla correlata impossibilità di colmare la mancanza originaria.
Il figlio che vuole la madre tutta per sé innesca automaticamente una rivalità nei confronti del padre, che pure ama e dal quale desidera essere amato. La contesa, che si svolge nell’immaginario, termina per due motivi: per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà.
Attraverso questo gioco delle parti, il figlio rinuncia all’onnipotenza infantile, prende il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una «messa in situazione» dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori.
Se, come sostiene Merleau Ponty, «noi non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo», non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale.
La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli. Tra questi, credo, quello di crescere per quanto le circostanze della vita lo consentiranno, con una mamma e un papà.