Frocio, flaccido, feroce e altre parole crudeli
Riflessioni di Fabio Trimigno della Rete Zaccheo, cristiani LGBT+ di Puglia
Abbiamo ascoltato parole violente dalle sale del Vaticano a provocare ferite alla comunità lgbt+. Abbiamo ascoltato altrettante parole crudeli fuori dal Vaticano, dai movimenti laici più feroci per colpire la chiesa cattolica.
C’è chi dall’interno dell’istituzione ha voluto riportare le parole pronunciate dal Papa in una riunione a porte chiuse, e non è stato sicuramente mosso dall’amore verso la comunità lgbt+, ma dal desiderio di colpire il Papa. E c’è chi dall’esterno invece ha voluto riportare opinioni e commenti sul Papa e sulla Chiesa, e non è stato sicuramente mosso dall’amore per le persone lgbt+, ma dal proprio “credo” ideologico.
In entrambi i casi (e ancora una volta) sono stati i credenti lgbt+ a rimetterci le penne: sempre “troppo intrinsecamente disordinati” per il catechismo e sempre “troppo bizzochi” per chi è seduto sulle panchine fuori dalle parrocchie; sempre “troppo froci” per i credenti e sempre “troppo credenti” per i non credenti.
Quanta violenza, quanta crudeltà e quanta ferocia c’è in tutti questi episodi distonici e in tutta questa comunicazione ossessiva e compulsiva sui media a proposito di fede e omosessualità?
“C’è troppa frociaggine” è una frase che può aver sicuramente ferito molti – direi un linguaggio poco rispettoso e poco inclusivo da parte di un uomo che riveste il titolo di “vicario di Cristo” – ma quando la notizia ha valicato le mura del Vaticano il mio sposo Roberto ed io abbiamo sorriso.
Pasolini usava il termine “frocio” per descrivere i ragazzi di strada di Roma, senza l’intento di discriminare, ma piuttosto di rappresentare più fedelmente il linguaggio del loro ambiente, un po’ come capita a me e a Roberto qui in Puglia di chiamarci con l’appellativo di “ricchione” a colazione o a cena tra i nostri amici più cari.
“C’è troppa frociaggine” ha scatenato una reazione a catena in cui tutti si sono arrogati il diritto di dare risposte: tutti a dettare regole, tutti a dire ciò che gli altri devono fare, pensare o dire.
Forse anziché dare (e darci) delle risposte, possiamo tentare umilmente di fare (e di farci) delle domande giuste.
Se penso al termine “frocio” non penso solo al fatto che io possa sentirmi urtato o offeso, ma penso anche alle innumerevoli ipotesi di derivazione etimologica.
Una delle ipotesi più accreditate collega l’origine del termine all’occupazione francese di Roma all’inizio del XIX secolo: il termine deriverebbe da “français” (francese) che in seguito sarebbe diventato “froscé” come dispregiativo verso i soldati francesi, ma senza alcun riferimento all’orientamento omosessuale. Solo successivamente il termine avrebbe indicato gli omosessuali maschi, probabilmente con l’assonanza dell’aggettivo spagnolo “flojo” (floscio), riferendosi all’organo sessuale maschile flaccido e moscio, usato dunque per indentificare l’omosessuale come una persona molle, senza carattere, debole, passiva, persona con disfunzione erettile e non capace di avere rapporti sessuali con le donne (concezione popolare purtroppo ancora diffusa).
Un’altra ipotesi fa derivare il termine “frocio” dal latino “ferox, ferocis” (feroce), epiteto rivolto dai romani ai soldati mercenari germanici che misero a sacco Roma nel 1527, stuprando con ferocia uomini e donne.
Ecco, se per un attimo sospendessimo il giudizio su chi usa questo termine (senza sapere che può ferire) e provassimo a dare senso alle due ipotesi, sfido chiunque a negare di essersi sentito almeno una volta nella propria vita “flaccido e feroce” allo stesso tempo.
Frocio, flaccido, floscio, molle, non capace di prendere delle decisioni, non capace di coraggio e di visioni profetiche, non capace di accogliere la diversità di ogni individuo coprendo il peccato dell’ignavia con una apparente virtù della prudenza. E dunque quanto frocia (molle) sa essere la nostra Chiesa? Quanto frocie sanno essere le nostre comunità parrocchiali quando non si fanno davvero testimonianza viva e coraggiosa del Vangelo di Cristo? Quanto frocia sa essere la nostra società quando non sa avere il polso fermo e balbetta tra una ideologia e l’altra, tra una legge e l’altra?
Frocio, feroce, violento, crudele come uno stupratore, non capace di provare pietà. E dunque quanto frocia (feroce) sa essere anche la nostra Chiesa? Quanto frocia sa essere la nostra società se non ancora siamo riusciti ad imparare dalla storia che la guerra porta altra guerra? Quanto frocie sono le nostre comunità quando uccidono con parole, opere e omissioni di soccorso verso le anime delle periferie?
Da flaccido a feroce è un attimo, ma un’altra ipotesi di derivazione del termine “frocio” è la parola latina “flos” (fiore), che fa riferimento alla delicatezza, alla fragilità e alla stereotipata mancanza di virilità attribuita agli omosessuali. Dunque, se pensassimo per un attimo ad un fiore potremmo ritrovarci nell’affermare che lo siamo un po’ tutti: opere meravigliosamente fragili agli occhi dell’Eterno, ma capaci di una infinita bellezza, se e quando lo vogliamo.
Resto saldo nella mia Chiesa perché la fede, io che sono omosessuale e credente, la so vivere solo assieme agli altri, membra di un unico corpo, quello di Cristo.