Il cammino dei gay cattolici nella loro chiesa
Articolo di Marco Politi, Il Fatto Quotidiano, 12 maggio 2011, pag.18
I gay entrano nelle chiese. Alle veglie di preghiera per commemorare le vittime dell’omofobia i gruppi di credenti omosessuali si riuniranno quest’anno in una serie di parrocchie.
Con il permesso dei vescovi o per autonoma decisione dei parroci. Dalla Lombardia alla Sicilia. Sono ancora piccoli passi – le parrocchie che apriranno le porte saranno più o meno otto tra il 12 e il 29 maggio – ma le svolte iniziano sempre gradualmente.
“POPOLI”, il periodico web dei gesuiti, ha messo l’iniziativa in prima pagina. Luterani, valdesi, battisti, metodisti apriranno i loro templi in altre località.
Anche in Italia la Chiesa cattolica si rende conto che non è più possibile demonizzare i credenti per il loro orientamento sessuale.
Certo, rimane invariata la condanna vaticana dei rapporti omosessuali, ma cambia la testa dei cattolici del quotidiano.
Ricorda Innocenzo Pontillo, impegnato nel sito Gionata a Firenze, che un giorno durante l’incontro in una parrocchia la responsabile del catechismo gli ha detto: “Prima di parlare con voi credevo che i gay fossero quelli che andavano in giro travestiti. Ho sbagliato tutto, venite più spesso”.
Niente lustrini, niente parate brasiliane, niente “cage aux folles” caricaturali. Sta venendo su una nuova, giovanissima generazione di gay che si sentono totalmente normali e vogliono poter vivere la loro vita di credenti senza barriere.
L’anno scorso si sono incontrati ad Albano dal 26 al 28 marzo per il primo forum italiano dei cristiani omosessuali. Da notare: in una struttura religiosa, un centro di ritiri dei Padri Somaschi.
Quest’anno pregheranno a Milano, con l’autorizzazione della diocesi, nella chiesa di san Gabriele in Mater Dei. A Firenze nella parrocchia della Madonna della Tosse. A Bologna nella chiesa di san Bartolomeo della Beverara. A Genova nella chiesa di san Giovanni Bosco.
A Padova hanno ottenuto di riunirsi nella chiesa riservata agli universitari, santa Caterina di Alessandria.
Racconta Pontillo che nella chiesetta di Dosimo, diocesi di Cremona, venne l’anno scorso a presiedere la preghiera il vescovo Dante Lanfranconi (ndr non avvenne a Dosimo ma nella chiesa di San Gerolamo di Cremona).
Infine a Catania c’è la parrocchia della Buona Morte, che da molti anni ospita un gruppo di cattolici omosessuali.
Sono gruppi che hanno nomi poetici. Elpis (speranza), Querce di Mamre, Ali d’Aquila. Tenaci nell’aprire varchi.
A Palermo erano d’accordo con il parroco di santa Lucia per tenere in chiesa la veglia. Il cardinale Romeo ha detto di no.
Ma sono venute tante mail di protesta in diocesi e in parrocchia che il cardinale alla fine ha deciso di incontrare i giovani di Ali d’Aquila.
Il veto rimane, “ma è la prima volta che abbiamo potuto raccontare le nostre vite”, dice Fabio.
Fa parte del gruppo anche Cinzia, contenta perché “finalmente ci siamo guardati negli occhi”, amareggiata “perché non si rendono conto del dolore che ci infliggono”. Cardinale e gay si rivedranno.
L’iniziativa delle veglie di preghiera è stata pungolata da un commento acidulo di Michele Serra, che si è domandato perché la comunità gay si ostini a “chiedere asilo ad una comunità (la Chiesa cattolica) che considera l’omosessualità non solo una colpa, ma una malattia”.
La risposta è semplice. Perché non si tratta di una lobby esterna che vuole forzare l’ingresso nel tempio, ma di credenti che vogliono essere riconosciuti nella loro casa di preghiera.
Perché Giulia, una lesbica di Firenze, non vuole trovarsi a una riunione parrocchiale e sentire il prete esclamare “basta con questi uomini effeminati e donne mascoline a bischero”.
Il cattolicesimo quotidiano sta cambiando. Parecchi esponenti ecclesiastici possono dire come il cardinale Martini: “Tra i miei conoscenti ci sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali.
Non mi è stato mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli”.
Nei giorni di Pasqua il giornale dei vescovi Avvenire ha dedicato il fascicolo del suo periodico “Noi Genitori” al tema dei figli omosessuali.
La linea ufficiale del magistero ratzingeriano resta, ma l’articolo portante lancia un messaggio preciso: “È importante mettersi in ascolto, capire, accogliere”.
E se i genitori disorientati vogliono rivolgersi ad uno specialista devono sapere che lo scopo deve essere uno: “Consentire al ragazzo di vivere meglio, di riacquistare la serenità.
Cosa che a volte coincide con il cambiamento e il ritorno a un orientamento eterosessuale, altre con l’accettazione della propria condizione”.
Qualche centinaio di migliaia di lettori cattolici hanno potuto leggere che “mai il ricorso allo psicologo è da intendersi come una cura, uno strumento per arrivare a un’improbabile guarigione”.
Poiché l“omosessualità non è una malattia”. Dieci anni fa un articolo del genere sarebbe stato impensabile.
Altri testi del fascicolo mettono in primo piano l’ ”amore fra uomo e donna… il matrimonio, i figli”. Ma emerge il consiglio di non demonizzare.
“Non rimproverate vostro figlio: non ha nessuna colpa o responsabilità per l’attrazione che sente”.
È una crepa nella vecchia dottrina dell’abominio sodomita.