Gay e cristiano. Una corona del rosario mi ha fatto vedere come sono
Testimonianza di Lucio del gruppo Cristiani LGBT+ della Calabria
La mia sarà una testimonianza di fede più che di accettazione di me, perché penso che la parola accettare sia sbagliata, il termine più adatto è arrivare, arrivare alla luce che ogni uomo custodisce nel proprio io più intimo.
Sin da piccolo ho avuto la sensazione di essere “diverso” dagli altri, sentivo che c’era qualcosa di me che mi rendeva particolare, che mi metteva in evidenza, che mi faceva risaltare, nonostante io facessi di tutto per rimanere nell’ombra. Sentivo, però, che questo “qualcosa” non era accolto dagli altri, ma non solo non era accolto, era respinto con veemenza, era temuto ancor peggio di una tragedia, talmente temuto che non poteva neanche essere nominato tanto che faceva spavento.
Infatti, spesso e volentieri gli altri indicavano questo “qualcosa” col gesto di toccarsi il lobo dell’orecchio sinistro con l’indice. Col crescere il “qualcosa” mutò, non solo nella parola: ricchione, ma anche nel peso, diventando un fardello ingombrante, una condanna, una scomunica che io non avevo meritato.
Era una classificazione che gli altri mi davano, di cui non capivo la motivazione, era diventata una mia grande fragilità. Poi la parola ricchione cambia di nuovo forma e nome diventando: “GAY”, associata a questo termine c’erano le famose domande: “Ma sei fidanzato? Hai una ragazza?”.
Domande che, a me, sembravano macigni, debiti da pagare prima al mio io e poi alle persone che mi volevano più bene.
Ogni volta che mi si rivolgeva domande simili mi sentivo letteralmente lapidato o meglio la mia anima si sentiva lapidata, poiché venivo giudicato e condannato, senza aver commesso alcun misfatto, in quei casi anche se le persone avevano peccato, si sentivano in diritto di scagliarmi la prima pietra.
Il mio spirito, ormai martoriato dai continui colpi che subiva, piano piano si è lasciato andare ad una lunga e progressiva agonia fin quando la luce che la rendeva splendida è diventata sempre più flebile fino a “scomparire”.
In quel momento ero un uomo senza un’anima, in corpo vivo, ma praticamente morto: il futuro era una tela nera nella quale non si riusciva a distinguere la profondità e né tanto meno la fine, un buco nero che tutto risucchiava ero completamente privo di sentimenti, abulico, apatico, indolente, il sole allietava gli altri a me no, nulla! Mi era indifferente!
La luna affascinava gli altri ma non me: era una sfera luminosa senza senso. Il tempo trascorreva inesorabile e tutto mi passava davanti, io, come l’inetto (eroe decadente), lo facevo andare, osservavo arrogantemente e colpevolmente le lancette che si spostavano, pensando: “Un altro giorno è trascorso…”.
Vivevo nel più totale immobilismo, fermo al passato, inconsapevole che esisteva un futuro per me e soprattutto dimenticandomi del presente.
Poi mi svegliai da questa anestesia, la vita mi richiamò a sé, poiché le persone a me più care continuavano a vivere e la vita porta bene e porta male, il male aveva colpito: ci furono problemi di salute pesantemente cronici, e io, per rimediare al mio “nulla fare” mi sono prodigato e pensavo: “Posso pagare il mio debito prendendomi cura di loro con tutto me stesso!“
La vita, in qualche modo, ha cominciato a muoversi anche per me, seppur in funzione dei miei parenti, fluiva sì! Ma non sentivo che fosse mia, apparteneva agli altri, mi sono crogiolato, in questo divenire ma senza luce mia, mi illuminavo grazie ai sorrisi dei miei cari che mi ringraziavano per il mio operato. Il mio agire, tuttavia non è stato vano, poiché quella luce “scomparsa” era in me e in maniera sempre più forte ha fatto sentire il suo calore, alimentata dalla stima e la fiducia che gli altri ponevano in me.
Questo è stato il passaggio fondamentale, cominciai istintivamente a pregare, seppur in maniera goffa e sconclusionata, cominciai a studiare a leggere a documentarmi, cominciai a rivolgermi al sole , ringraziandolo del suo calore, ero felice di vedere la luce misteriosa della luna, andai però, oltre gli astri e chiesi con sofferente fiducia a Dio chi fossi, quale destino c’era per me, quale via avrei dovuto seguire per essere in comunione con lui, ed inaspettatamente la risposta fu nel Santo Rosario.
Scorrere i grani , pregando e concentrando tutto me stesso nella preghiera rendendo la mia mente e il mio cuore scevri da qualsiasi pensiero o dubbi, riempiendoli con la fede e il SEMPLICE BENE verso Dio e rivolgendomi a Gesù come se fosse mio fratello e a Maria come se fosse mia madre.
Scoprì che cercare Lui attraverso gli astri non aveva senso, perché quel “qualcosa“ che mi rendeva diverso non era qualcosa ma era qualcuno e quel qualcuno ero Io, ma non l’io fragile o perso ma l’Io che mi aveva dato Dio con la sua scintilla divina. Dio, come Gesù e Maria sono dentro di me, non fuori, sono lì sempre con me, aiutano la mia mente a pensare e aiutano il mio cuore a pulsare. Improvvisamente il macigno non era più macigno ero solo Io semplicemente Io e nient’altro.
Mi qualifico per quello che sono per quello che faccio, per quello che penso e non per quelle parole.
Gesù sulla croce ha le braccia aperte non per caso, muore crocifisso non per caso, le braccia posizionate in quel modo indicano accoglienza, vogliono dire: “Venite a me! Vi accolgo per quello che siete!”.
Egli si è sacrificato perché ha accettato la sua condizione umana e divina, ci ha accettato per quello che siamo, spronandoci a migliorarci e consolandoci quando ne abbiamo bisogno.
Ecco, con queste ultime parole chiudo la mia testimonianza, è bastata una semplice corona (del rosario) in mano per farmi ritornare a me stesso e a Dio, per farmi scoprire quello che già c’era, quello che era nascosto, ma non era nascosto.