Gay o etero? Siamo fratelli e sorelle, nati sotto lo stesso cielo
Testimonianza di Emanuele Macca
Ero bambino e già allora, come tutti i bambini, mi facevo delle domande. Mentre guardavo e ammiravo film come “Il pianeta delle scimmie” o “Marcellino pane e vino”, sentivo che dietro quella dimensione estetica, vintage e surreale, risuonava persistente il bisogno di rispondere a un perché.
Ero bambino e ho vissuto tutti i passaggi dovuti nella nostra tradizione cattolica sociale e familiare. Ma capivo che lì avevo sia delle risorse che dei recinti oltre i quali non era opportuno andare. Soffrivo quel silenzio prima imposto e che poi, per scelta forzata, mi ero autoimposto.
Ma “la mia infanzia scoppiò,/ e fu l’adolescenza/ e il muro di silenzio/ un mattino si infranse/ e fu il primo fiore/ e la prima fanciulla/ la prima graziosa/ e la prima paura/ io volavo lo giuro/ giuro che volavo / il mio cuore apriva le braccia/ non ero più selvaggio. /E la guerra arrivò/ ed eccoci qui, stasera” (Jacques Brel, “Mon enfance”). Solo che nel mio caso era un ragazzo, erano i ragazzi che avevano rotto il muro di silenzio e che avevano infiammato quella guerra rimasta per tanti anni a combattere da sola dentro di me. Era un guerra socialmente e religiosamente non lecita e io non volevo deludere nessuno; da nessuno volevo rischiare di essere allontanato.
La paura ci soffoca mentre la subiamo e ci segna quando pensiamo di averla superata, ci impedisce di trovare le energie per sperimentare la forza del perdono. Così per un po’ mi sono allontanato da quel mondo di cui temevo la reazione, da cui temevo di essere respinto. Allontanando gli altri, mi illudevo di ritrovare me stesso e invece non facevo altro che rinnegare il mio passato, vita della mia vita, memoria di una parte fondamentale della mia identità. La ricerca di senso mi faceva roteare come una pallina in un flipper, picchiavo la testa senza sosta verso qualsiasi angolo fossi trascinato da forze esterne che non volevo più controllare. Pensavo di essere alla ricerca di un baricentro, ma ero dentro un gioco che non gestivo più.
Nei momenti di stanchezza, quando per necessità fisiologiche dovevo fermarmi quella voce risuonava ancora e quando la sentivo, un po’ piangevo e un po’ mi rasserenavo. Era una certezza che tornava ed era un abbraccio di cui sentivo una fortissima nostalgia e un infinito bisogno. Quella voce mi diceva che non ero sbagliato, che c’era un rifugio vicino per riposarmi e rifocillarmi, che c’era un luogo dove potevo tornare a fare pace con me stesso, col mio passato e con le persone che avevo allontanato temporaneamente e con quelle che non avrei più potuto riabbracciare.
Ho rimesso piede in una Chiesa; ma non in un monumento (quelli li ho sempre amati e ammirati). Ho bussato ad una Ecclesia, ad una comunità che mi ha lenito le ferite senza pretendere che mi rinnegassi, senza chiedermi di fare silenzio, senza impormi il loro timore che il mio cattivo esempio potesse corrompere le loro vite.
Io non so fino a che punto ho la vera Fede, ma so che ho la vera Intuizione di qualcosa di inesorabilmente bello, sperimentato nel mio cuore; qualcosa che potrebbe travalicare il limite terreno pur trovandone traccia nel mio essere umano; qualcosa che mi ha ridato la Speranza di poter lasciare ad altri in dono le cose belle di me, chiedendo perdono per le cose meno belle che mi fanno uomo e persona a volte contraddittoria nei comportamenti.
So che con la mia vita e la mia parola posso dire a tutti che in passato “siamo stati mangiati dal freddo/ e dal senso comune. /Che due uomini possono ridere, ma non piangere insieme. (…) poi ci siamo aggrappati alla pelle, /uno all’altro in attesa che Dio; /ci portasse un consiglio per tutti. / E poi ad ognuno il suo… (…) Siamo stati perfetti, ragazzo, /disperati e con mille pensieri… / se due uomini possono arrendersi/ e sembrare due uomini veri...” (Niccolò Agliardi, “Perfetti”)
Questo messaggio, che prima avrei ritenuto scabroso, è diventato un messaggio d’amore potenzialmente senza confini. E quando l’amore ti bacia, e quando hai fede in quell’Amore da condividere con tutti, pensi che in fondo basta distogliere lo sguardo dalle proprie ferite per riabbracciare quegli uomini e quelle istituzioni che pur ti hanno lasciato una indelebile cicatrice.
Così non perderò me stesso e non rinnegherò il mio passato, ma da esso mi farò convertire e saprò dire a chi lo rappresenta “perdoniamoci per gli errori che abbiamo fatto e cambiamoci tutti i giorni l’uno accanto all’altro; restiamo fratelli e sorelle perché siamo nati sotto lo stesso cielo e a me questo basta!”