Gender, la fabbria del pregiudizio
Articolo di Maria Novella De Luca pubblicato su La Repubblica del 1 ottobre 2015
Le unioni civili? “Un attentato alla famiglia”, L’educazione sessuale in classe? “Fa diventare gay i bambini”. Tutte le bufale della destra ultracattolica che si oppone ai tentativi di superare il sessismo e l’omofobia.
I libri all’indice a Venezia e la campagna contro le unioni civili. Le “scuole di Dio” di Staggia Senese e i manifesti che minacciano la “compravendita dei bambini” nelle strade di Roma. La famiglia naturale contro “l’omosessualismo”, i comuni della Lega che in Lombardia si proclamano de-genderizzati e gli appelli su WhatsApp delle mamme di Brindisi per difendersi dal “genter” pronunciato con la T al posto della D…
Le delegazioni di genitori che chiedono ai dirigenti scolastici di proteggere i loro figli dalla “contaminazione” gay, i filmati dei gruppi pro-life che annunciano un’apocalisse dei costumi, l’assessore veneto alle Pari opportunità Elena Donazzan che si scaglia contro i libretti delle giustificazioni perché, ormai da anni, non c’è più la parola mamma o papà.
C’è un vento che soffia al contrario in Italia, in questo autunno, a poche settimane dall’approvazione, forse, del testo sulle unioni civili al Senato, mentre si fa sempre più urgente la legge contro l’omofobia, e nelle scuole, seppure timidamente, si inizia a parlare di parità tra i sessi e di “prevenzione della violenza di genere”. Genere appunto, e non Gender, parola, anzi bandiera, dietro alla quale in una nuova crociata, sempre più capillare e pervasiva, si affratellano ogni giorno più forti i gruppi della destra cattolica e della destra estrema. Una vera e propria “fabbrica del pregiudizio”. Nella quale si aggrega quella galassia rinvigorita dal successo del Family Day del giugno scorso, oggi decisa ad affossare ogni apertura verso le unioni omosessuali, ma anche verso quei nuovi linguaggi, suggeriti dall’Europa e dall’Oms, che dovrebbero insegnare ai bambini il rispetto tra maschi e femmine, radice della prevenzione di omofobia e femminicidi. «Ma le unioni civili andranno in aula il 15 ottobre – assicura la relatrice Monica Cirinnà – e approveremo il testo subito dopo la legge di Bilancio. La campagna anti-Gender non ci tocca ».
C’è forse una data di nascita della “fabbrica del pregiudizio”, che si può far risalire all’inizio del 2014, quando lo sparuto ma agguerritissimo gruppo cattolico Giuristi per la vita, fondato dall’avvocato Gianfranco Amato, inizia una battente campagna di boiocottaggio degli opuscoli anti-omofobia commissionati dall’Ufficio antidiscriminazioni del ministero per le Pari opportunità, all’Istituto Beck di Roma. Libretti destinati agli insegnanti, in cui per la prima volta si parla di nuove famiglie, di differenza tra genere (nascere maschi o femmine) e identità di genere (sentirsi maschi o femmine al di là della propria anatomia).
In realtà si tratta di testi accurati e scientifici, privi di ogni propaganda, ma sulla Rete inizia un vero tam-tam dove per la prima volta appare la parola Gender, attorno alla quale si coalizzano le sigle ultrà. Il messaggio è: attenti, dietro questa parola si nasconde la spinta a far diventare i vostri figli gay, cadranno le differenze tra maschi e femmine, a scuola verrà insegnata la masturbazione ai bambini.
Evidente la mistificazione, eppure la campagna appoggiata anche dal cardinal Bagnasco convince il ministro Giannini (che offre spiegazioni confuse) a ritirare i libretti. Il termine Gender inizia a circolare nel ramificato mondo dei siti pro-life: dalla Croce di Adinolfi a Tempi, dal Sussidiario a La Nuova Bussola Quotidiana, Manif pour tous, Pro-Vita. Negli stessi mesi, molte associazioni e gruppi che nelle scuole portano avanti il progetto Educare alle differenze destinato a insegnati e presidi denunciano attacchi violenti e boicottaggi. A cominciare dall’associazione Scosse, fondata da Monica Pasquino, che par- la di una vera e propria campagna diffamatoria. Il movimento anti-gender in poche settimana raccoglie più di centomila firme, e le invia al Miur chiedendo di fermare “chi insegna la teoria Gender”… Ricorda Federica M, maestra di scuola primaria della capitale: «Per mesi avevamo avuto incontri tranquilli e proficui con insegnanti e genitori, poi un pomeriggio ci siamo trovati davanti alla scuola un gruppo di pazzi che ci gridavano: “ Siete froci e abortisti, viva la famiglia naturale”. Abbiamo concluso il corso, ma con paura e disagio ».
Gender: la parola diventa popolare. Un ombrello sotto il quale si sommano le più diverse parole d’ordine, dalle campagne anti-aborto all’esaltazione della eterosessualità. Ma è contro l’approvazione alla Camera del disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia che la “fabbrica del pregiudizio” si riaggrega. Ammette con amarezza Giuseppina La Delfa, presidente delle Famiglie Arcobaleno che riunisce le famiglie omogenitoriali: «Per noi e per i nostri figli la vita è diventata difficile. Soprattutto nelle regioni del Nord. Questi gruppi fanno terrorismo psicologico, e ormai presidi e insegnanti hanno paura anche di raccontare una fiaba diversa… Il ministero dell’Istruzione deve reagire: non è giusto che i nostri bambini vengano discriminati ». Se il fenomeno all’inizio del 2015 è ancora carsico in tutta Italia, è nel marzo che la questione riesplode.
Il caso arriva da Trieste, dove i gruppi di genitori, subito sostenuti dal “movimento” anti Gender, contestano l’arrivo nelle scuole d’infanzia di un programma sull’educazione di genere, dal titolo “Il gioco del rispetto”. Un vero e proprio kit per i più piccoli messo a punto da un gruppo di psicologi, dove si sollecitano i bambini a fare i giochi che preferiscono, senza pensare se siano da maschi o da femmina.
Il gioco prevede anche che alla fine di una corsa i bambini e le bambine mettano la mano uno sul cuoricino dell’altro e dell’altra, per sentire che nonostante si sia di sesso diverso, i cuori battono tutti allo stesso modo. L’accusa lanciata dai Pro-Life è pesantissima quanto mistificatoria: «Negli asili di Trieste si insegna ai bambini a toccarsi…».
Ma è il 20 giugno 2015 che la “fabbrica del pregiudizio” trova la sua apoteosi, con il Family Day, organizzato dal Comitato Difendiamo i nostri figli e da tutta l’ultradestra cattolica. Al grido “Il Gender sterco del demonio”, tra gli applausi dei neocatecumenali, il fantasma del Gender diventa un nemico in carne e ossa da abbattere in ogni modo, per salvare l’innocenza delle nuove generazioni.
Ormai è una valanga, spesso grottesca. A luglio l’incauto sindaco di Venezia decide di ritirare da tutte le biblioteche scolastiche i famosi libri gender, delicate storie che raccontano oltre l’omogenitorialità anche adozioni e disabilità, guadagnandosi l’ironia dei giornali di mezzo mondo.
Però non basta. Il 14 settembre a Staggia Senese e a Schio è suonata la campanella delle prime “scuole di Dio”. Ossia classi parentali, create da gruppi di genitori, ospitate nei locali delle parrocchie, per fuggire da scuole contaminate dal Gender. Come Dio comanda. Il comitato del Family Day gira l’Italia con conferenze a tappeto per raccogliere firme contro la legge sulle unioni civili. L’epicentro è tra Lombardia e Nordest: a Milano la Regione ospiterà dibattiti sulla “famiglia naturale” e sull’esaltazione dell’eterosessualità.
Dire ai piccoli che i cuori di maschi e femmine sono uguali diventa “insegnare a toccarsi” Un fenomeno carsico fino all’inizio del 2015 e poi esploso con l’ultimo Family Day.
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“Il rifiuto della diversità dietro queste mistificazioni”. Intervista allo psicanalista Pietropolli Charmet
Una mistificazione di temi e concetti, eppure la presunta teoria del Gender spaventa genitori e insegnanti. E nonostante le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Giannini, sul fatto che il “Gender a scuola non esiste”, il sospetto dilaga. «Perché colpisce tabù e paure profonde degli adulti, il cuore tradizionalista dell’Italia», spiega Gustavo Pietropolli Charmet, psicoanalista e attento osservatore dei fenomeni familiari.
Quali paure, professore ? «Prima di tutto la paura dell’omosessualità. Le cose stanno cambiando, ma per un genitore scoprire di avere un figlio o una figlia gay è ancora oggi un trauma».
E come potrebbe l’educazione al rispetto dei generi favorire l’omosessualità? «È una concezione arcaica ma presente ancora in molti adulti. Si pensa cioè che spiegare ad un giovane che può scegliere l’identità di genere che preferisce potrebbe spingerlo ad attuare quelle scelte diverse, che altrimenti sarebbero rimaste sopite».
Ed è così che accade? «Naturalmente no, un giovane che percepisce la propria omosessualità la comprende anche se nessuno gli parla del Gender. Ma queste sono le paure, anzi i tabù, dei genitori».
Quindi l’Italia è più vicina a movimenti come quelli del Family Day che alla legge sulle unioni civili? «Non credo che il movimento del Family Day possa avere un grande seguito, e so che molti in Italia condividono i percorsi delle nuove famiglie. Ma nel profondo, nella pancia profonda del Paese, la normalità vuol dire essere eterosessuali».
Quanto conta in questa disinformazione generale la mancanza dell’educazione sessuale a scuola? «Moltissimo. Ma la crociata sul Gender sta boicottando in modo grave chi da sempre tiene i corsi sulla sessualità ».
In che modo? «Posso riferire l’esperienza dei consultori in Emilia Romagna, i cui operatori sono stati oggetto di attacchi pesantissimi. Ci sono istituti che hanno dovuto interrompere i corsi, perché nel mirino di questi gruppi. Invece la scuola è il luogo migliore».
Per una giusta informazione sulla sessualità? «Sì, proprio perché maschi e femmine sono insieme, e nel dibattito devono per forza confrontarsi. Ma è sempre più difficile. Se tutto ciò viene smantellato ai ragazzi non resta che internet».
Ma lei ritiene che sottolineare la libertà della propria identità di genere possa favorire scelte sessuali che altrimenti sarebbero represse? «Come dicevo, la percezione di sé è più forte dei condizionamenti. Però favorire una cultura in cui l’omosessualità non è un tabù, favorire l’integrazione, combatte l’omofobia, può aiutare chi ha paura a rivelarsi».
Quindi l’angoscia di molti genitori è che la teoria del Gender possa corrompere i loro figli? «È la tesi dei gruppi anti-Gender. Però non dimentichiamo la famiglia tradizionale».
Cioè eterosessuale… «Sono convinto che la maggioranza degli italiani ritenga che la famiglia naturale sia quella formata da un uomo e una donna. C’è poi un’avanguardia per fortuna sempre più larga che concepisce altri tipi di unioni e nuclei familiari. Ma è ancora un’avanguardia ».