Gender: per fare chiarezza bisogna informare
Riflessioni di Christian Albini pubblicate sul Blog Sperare per Tutti il 27 febbraio 2015
Questioni di genere. Sorprende che un quotidiano autorevole come Avvenire tratti questioni delicate in modo sommario. E’ il caso del recente inserto “Noi genitori & figli” in cui si sostiene di voler fare chiarezza sul tema del gender, ma lo si fa fornendo informazioni non esatte. Questo, allora, non è un contributo alla verità. Vediamo in che senso si confonde, invece di chiarire, a partire da alcune affermazioni del testo.
1) GENDER, COS’È?
Un insieme di teorie fatte proprie dall’attivismo gay e femminista radicale per cui il sesso sarebbe solo una costruzione sociale. Vivere “da maschio” o “da femmina” non corrisponderebbe più a un dato biologico ma ad usa costrizione culturale. L’identità sessuata, cioè essere uomini e donne, viene sostituita dall’identità di genere (“sentirsi” tali, a prescindere dal dato biologico). E si può variare a piacimento, anche mantenendo immutato il dato biologico.
In realtà, nel vasto campo degli “studi di genere”, solo alcune teorie arrivano a questi esiti radicali. Lo ha spiegato bene Susy Zanardo in un articolo su Aggiornamenti Sociali, rivista dei gesuiti di Milano, presentando una più corretta panoramica di questo campo di ricerche nelle scienze umane. Questo intervento riconosce come le teorie di genere aiutino a mettere in luce un rapporto di potere in due direzioni: l’oppressione degli uomini sulle donne, attraverso la gerarchizzazione delle differenze, e la creazione di frontiere rigide tra le identità di genere (con la sanzione di chi sta fuori norma).
2. COSA DICE LA SCIENZA?
La scienza ci dice che la differenza tra maschile e il femminile caratterizzano ogni singola cellula, fin dal concepimento con i cromosomi XX per le femmine e XY per i maschi. Queste differenze si esprimono in differenze peculiari fisiche, cerebrali, ormonali e relazionali prima di qualsiasi influenza sociale o ambientale. La “varietà” pretesa dalle associazioni LGBTQ non ha alcun fondamento scientifico e anzi confonde patologie (i cosiddetti stati intersessuali) con la fisiologia (normalità).
Sembra quanto meno curioso che, in questo “riassunto” del pensiero scientifico non si faccia cenno al rapporto tra natura e cultura nel determinare il vissuto umano rispetto alla sessualità e alla dimensione psicologica. Esiste tutta una riflessione sul rapporto complesso tra queste dimensioni, assunta anche dall’antropologia teologica, a cui qui non si fa cenno.
3. COS’È L’OMOFOBIA?
Un neologismo inventato dai media per definire gli atti di violenza, fisica o verbale, contro gli omosessuali – che vanno sempre e comunque condannati, come ogni altra violenza – e contro chi, come le associazioni LGBTQ, promuove la teoria del gender. Oggi l’accusa di omofobia è diventata però un vero e proprio strumento di repressione nei confronti di chi sostiene un’antropologia diversa rispetto a quella del gender.
In realtà, il concetto di omofobia non nasce dai media, ma è un termine coniato nel 1972, e ormai di uso corrente in psicologia, dallo psicologo George Weinberg, per definire l’insieme di atteggiamenti che esprimono emozioni quali ansia, paura, disgusto, disagio, rabbia, ostilità nei confronti delle persone omosessuali”.
In realtà, si può parlare in modo diverso del genere, senza “demonizzare” e semplificare questo concetto, come di un tema che interroga il pensiero cristiano per quel che riguarda il rapporto con la dimensione femminile e con la condizione omosessuale, come hanno fatto p.es la teologa Cristina Simonelli su il Regno e la traccia dei lavori per l’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la cultura del 4-7 febbraio 2015, Le culture femminili: eguaglianza e differenza.