Generi felici. Una nuova generazione di adolescenti trans-gender
Articolo di Camille Gévaudan pubblicato sul sito di Libération (Francia) il 5 agosto 2015, liberamente tradotto da Rita
Ragazza-ragazzo, ragazzo-ragazza… Maëva, 17 anni, ha scelto il suo nome da quando aveva 10 anni. Fa parte di una nuova generazione di adolescenti trans-gender che affermano la loro identità da giovanissimi. Una transizione difficile ma non impossibile, facilitata dal Web, dove lo scambio di esperienze, anche tra genitori, è più facile.
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Generi felici. A parte qualche coppia della vecchia scuola che preferisce la sorpresa, all’ecografia del 2° mese, uno sguardo mirato al feto, permette di acclarare definitivamente la questione cruciale. Allora, allora? «Maschio!» I genitori beatamente sorridono, possono finalmente ordinare 45 inviti celeste, 5 rotoli di carta da parati con sopra gli astronauti e fare un grande brainstorming per mostrare coram populo,«Lucas» de «Corentin». E’, e sarà , sempre così… Fino a quando Lucas, dall’alto del suo trono, annuncerà ai suoi genitori che c’è stato un errore nell’ecografia: lui è una lei. Da sempre.
Ovviamente risulta difficile prendere seriamente una tale dichiarazione pronunciata da un bambino (soprattutto quando il mocciosetto si sente Fluffy l’unicorno, Elsa la regina del ghiaccio e Batman in un solo week-end). Ciononostante può rivelarsi estremamente dannoso non prestare attenzione alle questioni di genere per le quali, passano molti bambini mentre costruiscono la loro personalità.
Alcuni cambiano idea nel giro di una settimana, tre mesi o cinque anni. Solo alcuni. Altri mostrano «costanza, forza e persistenza» nella convinzione di non appartenere al genere loro attribuito, e questi sono i tre criteri per identificare la cosiddetta disforia di genere (disturbo dell’identità di genere (DIG) ndt). Questi bambini non devieranno mai dalla loro convinzione e, tutti gli sforzi che dei loro sgomenti genitori per rimuovere questa idea dalla loro testa, soritebbero il solo risultato di renderli infelici.
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«Simulare il pene». «Io ho detestato il mio corpo fin da piccolissima, ho detto subito ai miei che volevo cambiare il mio corpo per essere una ragazza come mia sorella», ci racconta infatti Maëva, 17 anni, che già a 10 anni aveva scelto il suo nuovo nome. Mathis,15 anni, non ha avuto bisogno di invidiare un fratello per capire che c’era un problema: «Sapevo di essere maschio e non capivo proprio perché mi considerassero una femminuccia.» Per quanto si ricorda, il suo corpo lo ha sempre infastidito. «Tutte le sere esprimevo lo stesso desiderio: “Per favore, fa’ che domani io mi svegli in un corpo di maschio”. Lo chiedevo senza sosta a mio padre visto che il cosetto non usciva.»
Arresasi all’evidenza che avrebbe dovuto riparare all’errore di madre natura da sola, Tom-Alex, si metteva di nascosto «un calzino tra le gambe pieno di fazzolettini, nel pigiama, per simulare un piccolo pene».
Dopo aver mascherato la vergogna del suo corpo per tutta l’infanzia, Mathis, si è sentito libero a 14 anni, quando ha scoperto altri adolescenti col suo stesso problema, e coi quali ne ha potuto parlare online: « Io non ero mai stato pazzo, ero stato solo me stesso!»
Lui appartiene alla prima generazione di persone in grado di sapere fin dall’adolescenza la loro identità di genere e di dichiararla subito.«Prima, la maggior parte delle persone trans aspettavano i 40 o 50 anni per fare una transizione», constata Hana, 30 anni. «Lei, all’inizio, voleva avere una vita professionale stabile, bambini da portare a spasso, seguire il normale iter di vita etero che tutti si aspettavano da lei. Io credo che sia più o meno la mia generazione che abbia smesso di aspettare. Il domani ormai è talmente incerto che ognuno si dice: “Se non vivo adesso, quando?”»
I giovani oggi googolizzano «io mi sento donna nella mia testa» oppure «come mascherare ciò che sento?», e così trovano testimonianze, consigli e informazioni. Imparano che esistono parole per definire il confuso sentire che provano. «Identità-trans», «trans-gender» (non «transessuale» termine psichiatrico per designare una malattia mentale). E che il processo tramite il quale si mette in accordo la propria vita col proprio sentire si chiama transizione. C’è la transizione legale che corrisponde al cambio di stato civile. La transizione medica per chi lo desidera (non è un desiderio di tutti), con iniezioni di ormoni ed eventuale chirurgia. E la transizione sociale che si può effettuare in giovane età con l’aiuto del proprio entourage.
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Scegliere da che parte stare. Questo inizia dalla scelta di un nuovo nome e dai pronomi appropriati (lui, lei), dai vestiti, dal taglio di capelli, dai giochi sotto l’albero di Natale, dagli sport praticati, dal look alle feste di compleanno dei compagni… Tutti elementi importanti che scandiscono la vita dei giovani.
Luttii non era mai stata imbarazzata per il suo corpo, finché si è ritrovata nello spogliatoio dei maschi, prima delle lezioni di ginnastica e ha dovuto cambiarsi con loro. Di contro ha il netto e preciso ricordo di aver espresso la sua differenza fin da piccola attraverso gli «stereotipati giocattoli da “femmina”: le bambole, la cucina e tutto il resto. Idem per la pettinatura:«Volevo farmi crescere i capelli lunghi come la mia vicina di banco.»
Al contrario, David fa notare che già dalla sua infanzia, assomigliava perfettamente ad un maschio.«I miei mi hanno aiutato molto nel farmi sentire bene. Mi costruivano archi e frecce. Se desideravo delle macchinine avevo delle macchinine. Volevo tagliarmi i capelli, mi hanno lasciato tagliare i capelli.»
E’ incredibile quanti ragazzi trans-gender, lontani dal voler uscire dal quadro ragazza-ragazzo nel quale sono stati messi per nascita, per adottare un comportamento più neutro, cercano di buttarsi a capofitto negli stereotipi dell’altro genere. Le Principesse da una parte, gli Action Man dall’altra. Il rosa, il celeste. Soprattutto niente che dia adito a confusione. I bambini lo sanno bene, anche inconsciamente, che la società funziona su un modello binario. E quindi che, se vogliono essere accettati ed avere amici, devono scegliere da che parte stare.
L’ incubo per una femminista, sottolinea la blogger americana Marlo Mack, madre di una bimba trans-gender: «Come crescere una figlia forte senza invalidare il suo desiderio di conformarsi ai convenzionali segni di femminilità?» Lei che disapprova l’immagine idealizzata delle Barbie, cosa dice alla sua piccolina «che ha paura di non essere vista come una ” vera femminuccia”, quando lei vuole le Barbie e tutti i giochi di principesse che hanno le sue amiche?»
Pyrène, 19 anni, lo riconosce tranquillamente: «Non mi sono mai integrata veramente nei gruppi. Quando all’asilo una bambina ha voluto diventare mia amica, mi sono sforzata per avere le sue stesse preoccupazioni: vestiti, trucco, maternità… Lei si integrava più facilmente di me, ed io cercavo,di giocare a fare la signora, la mamma, a fare tutti i giochi da ” femminucce” ma non mi attiravano affatto.» Tempo dopo lui è «fuggito dalla femminilità» ritornando alle sue naturali inclinazioni: gareggiare nelle corse con i ragazzi, come dei veri Power Rangers. Considerata femmina alla nascita, oggi si definisce genderfluid, di genere fluido. «Né uomo né donna, a volte un po’ entrambi a volte qualcosa in più.»
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Approfondimenti. Il web americano è zeppo di blogs di genitori di gender non conforming kids, termine generico designante tutti i ragazzi che non si «conformano» al genere loro attribuito. Sul sito Raising my rainbow, c’é la storia di un «ragazzo che adora le cose femminili e vuole essere trattato come una donna». Su YouTube, l’album del piccolo Roland, nato con i cromosomi XX ma che grida: «Sono un ragazzo!» da quando ha cominciato a parlare, ha avuto 7,6 milioni di visualizzazioni.
E questa mamma blogger che ha partorito due gemelli maschi: allevati allo stesso modo, uno si è appassionato per «il pallone, i camion, i pompieri, l’altro per « braccialetti, collane e tacchi» di sua zia, prima di mostrare chiari segni di disforia di genere. I genitori raccontano di aver vissuto la transizione sociale del loro figlio come un lutto ma che, il loro spettacolare sviluppo ha trasformato questa prova in una liberazione.
E in Francia? Se si giudicasse dalle presentazioni dei media dei ragazzi trans, nessuno se ne interesserebbe. Un rapporto consegnato al Consiglio Europeo (PDF) stima che«almeno 1 ragazzo su 500 ha una identità di genere che differisce dall’assegnazione, senza contare quelli i cui comportamenti si discostano dalle norme del genere». Li abbiamo cercati in rete e nelle comunità LGBT. E’ stato un buco nell’acqua.
Qualche raro indizio si trova nei forum, come il messaggio di una madre rimasta «perplessa» quando suo figlio ha detto che« avrebbe voluto essere una donna, per il trucco, i vestiti e per il seno». Le risposte che riceve dagli internauti («forse è gay») provano quanto cammino bisogna ancora percorrere affinché non sia solo un termine nel vocabolario.
Identità di genere e orientamento sessuale sono spesso fusi e confusi, invece, sono due cose assolutamente indipendenti. La sessualità è chi si ama. Il genere è ciò che si è. Anche la figlia di Angelina Jolie lo sa, infatti si è mostrata sulla rivista People in giacca e cravatta dichiarando di voler essere chiamata John. E’ un tabù da sfatare, in Francia (e non solo lì).
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Testo originale: Les genres heureux