Genitori gay non temete: Edipo è morto
Articolo di Antonietta Demurtas del 3 Gennaio 2013 pubblicato su lettera43.it
Omosessuali e figli: la Chiesa dice no. I laici discutono e si dividono. Ma nuovi studi escludono problemi per i bambini. Perché alla loro formazione contribuiscono anche società e scuola.
Sacha è il primo bambino nato in Francia nel 2013, pesa poco meno di tre chili e ha due mamme, Maud e Delphine, una coppia omosessuale. Un lieto evento che mette la Francia davanti a una realtà sempre più centrale nel dibattito culturale e politico del Paese: le unioni gay. Che permetterebbero il riconoscimento della prole da parte di entrambi i genitori.
Una tematica molto sentita anche in Italia, ma a parte la novità della scritta ‘partner’ al posto di ‘padre’ sul braccialetto consegnato a chi fa visita ai propri figli al reparto di clinica ostetrica dell’ospedale di Padova, si discute ancora se per una coppia gay sia un diritto o meno avere un bambino.
È quello che si è chiesto il 30 dicembre sul Corriere della sera Ernesto Galli della Loggia. Lo storico, citando il gran rabbino di Francia Gilles Bernheim, autore del libro Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione, e molto critico sulla questione, ha dato vita a una un dibattito che ha visto esperti e genitori confrontarsi sul tema.
La psicoanalista Silvia Vegetti Finzi è partita dalla tragedia di Sofocle Edipo, definita da Freud «architrave dell’inconscio» e triangolo che connette padre, madre e figlio, per mostrare come l’identità sessuale si affermi, «non in astratto, ma attraverso una messa in situazione dei ruoli e delle funzioni». E arrivare alla conclusione che sia un diritto «crescere con una mamma e un papà».
Una interpretazione criticata non solo dai genitori omosessuali. Secondo Federico Ferrari, psicoterapeuta familiare, che da anni svolge attività di ricerca e formazione sul genere, l’identità sessuale e l’omogenitorialità, «quello che colpisce è come sia Galli della Loggia sia Vegetti Finzi non parlino mai della ricerca scientifica, ma abbiano solo due posizioni storiche», dice a Lettera43.it. «Affermazioni tipiche di una casta intellettuale che non si informa e davanti a una problematica che mette in discussione le sue premesse dice che bisognerebbe saperne di più, ma non fa nessuno sforzo per leggere gli studi scientifici che sul tema dicono molto di più»
Domanda. Parlare di Edipo, quindi, è anacronistico?
Risposta. Edipo è un assunto storicamente molto connotato ma relativo a quello che era un assetto sociale antropologico dei primi del 900. Il metodo della psicoanalisi inoltre è un metodo clinico che si basa su dei costrutti che non sono direttamente osservabili.
D. Solo teoria?
R. Pur essendo una disciplina molto importante nel contesto psicologico, che ha dato spunti fondamentali, non si basa sul metodo scientifico e tutto quello che viene proposto ha il valore di una ipotesi per quanto interessante ed efficace.
D. Che cosa bisognerebbe considerare allora?
R. Abbiamo una letteratura scientifica di oltre 40 anni, il primo studio sulla genitorialità omosessuale è del 1972, ma sono centinaia quelli fatti in questi anni. E tutti vanno nella stessa direzione.
D. Quale?
R. Si interrogano sugli sviluppi dell’identità sessuale dei bambini rispetto a identità di genere. Queste ricerche ribadiscono che i figli con uno o due genitori omosessuali, hanno la stessa identica percentuale di orientamento eterosessuale e omosessuale dei figli di coppie etero.
D. Risultato?
R. Queste ricerche ci impongono di mettere in discussione gli assunti psicoanalitici dell’Edipo.
D. Per dire che Edipo non esiste più?
R. No, ma semplicemente che è la descrizione di una particolare psicodinamica relativa alla famiglia eterosessuale. Evidentemente in quelle omosessuali ci sono dinamiche diverse che ancora non abbiamo studiato. E forse proprio la psicanalisi potrebbe farsi carico di provare a identificare queste differenze. La psicologia scientifica invece parte dai risultati.
D. E cosa mette in evidenza?
R. Il contesto sociale. Per lo sviluppo dell’identità dei bambini si dovrebbero cercare modelli e strutture di appoggio anche all’esterno dello stretto nucleo familiare, visto che i bambini crescono a contatto con stimoli sociali importanti che ripropongono la dualità dei sessi.
D. Per esempio?
R. Un aspetto fondamentale che la psicoanalisi prende poco in considerazione è il rapporto con i pari, gli altri bambini, a partire dalla classe. La scoperta di sé non avviene solo attraverso i modelli strettamente familiari. Questa sarebbe una visione riduttiva come osserviamo dai risultati delle realtà già esistenti.
D. Quali studi ci sono?
R. Gli studi dell’American psychological association partono da tre domande che riguardano l’identità di genere, l’orientamento sessuale e l’adattamento psicosociale dei bambini figli di genitori omosessuali. Ci sono centinaia di ricerche, alcune che hanno studiato famiglie per oltre 20 anni, altre che hanno fatto confronti tra popolazione europee e americane, e tutte sono concordi nel ribadire che non esistono segnali di rischio rispetto a questi tre elementi. Risultati di cui ha preso atto anche l’associazione di pediatria americana.
D. Alcuni citano però le ricerche fatte da Reignerus e Cameron…
R. Sì, loro volevano proporre dati allarmanti che sono stati ritenuti falsati e perciò invalidati dalle associazioni di categoria. Cameron è stato perfino espulso da tutte le associazioni di psicologia degli Stati Uniti. Insomma non sono gli attivisti gay che propongono un loro punto di vista, ma è la psicologia ufficiale che lo dice. Ma qui fatica ad arrivare.
D. Per colpa dell’influenza del Vaticano?
R. Sembra che la voce alternativa alla religione sia solo quella della psicoanalisi, ma è una disciplina che non si confronta con i risultati e parla solo di un ipotetico futuro: si chiede che cosa questi bambini saranno e faranno. E invece questi bambini ci sono già e molti hanno anche 30 anni compiuti.
D. Che cosa pensa della frase del Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim: «La dualità dei sessi appartiene alla costruzione antropologica dell’umanità»?
R. È un discorso fallace perché avere due genitori omosessuali non vuol dire mettere in discussione la dualità dei sessi. I bambini mantengono la propria identità sessuale chiara e gli stessi genitori sono in grado di comunicarla. Ma soprattutto non sono gli unici modelli.
D. Quali sono questi modelli?
R. Ci sono famiglie allargate, i compagni di scuola, i maestri e soprattutto i media, perché i bambini oggi vivono con le immagini, la televisione: la rappresentazione dei due sessi è garantita ovunque, hanno quindi una serie di stimoli sufficienti per riconoscerla. C’è inoltre da considerare il fatto che la dualità dei sessi non può diventare normativa.
D. Ci spieghi meglio.
R. Per quanto esistano due identità sessuali ben distinte, ci sono anche una serie di identità che devono essere preservate e che tra i due sessi costruiscono uno spazio di esplorazione importante come il transgenderismo e il transessualismo. E fanno parte anche loro di una antropologia umana, solo che questi discorsi ideologici, che partono dalla Genesi come quello citato da della Loggia, sembrano escludere il transgenderismo dal consorzio umano.
D. Il padre e la madre non indicano più al bambino la sua genealogia?
R. Tutti noi abbiamo una identità di genere e la costruiamo a partire da un racconto all’interno del quale ci sta anche la nostra genealogia: questo rappresenta certo la struttura basilare. Laddove c’è un mito del sangue e della famiglia in termini genetici, quelli forse diventeranno i contenuti dell’identità, ma non ci sono solo quelli.
D. Quali altri?
R. Il figlio di due genitori omosessuali ha una sua identità costruita a partire da lineamenti differenti. Sarà una genealogia non basata sul sangue, ma fatta di desiderio di filiazione. Una tematica che dobbiamo considerare perché riguarda anche i figli adottivi, tutte le realtà dove non esiste un legame di sangue con i genitori. Per questo bisogna stare attenti quando si dice che se viene a mancare la certezza del rapporto biologico viene a mancare una parte importante dell’identità dell’individuo.
D. Insomma non è solo una questione di geni.
R. La biologia certamente fa parte dell’identità dell’individuo, ma non può essere usata per prescrivere l’eterosessualità come unica forma lecita di sessualità.
D. Il rischio è di aumentate la discrimanazione?
R. Il discorso del rabbino si rifà alla tradizione ebraica dove il sangue ha una importanza che trasmette l’appartenenza a un popolo, e quella è una dimensione diversa legata a una cultura e a una religione.
D. Anche in Italia il dibattito è ancora molto orientato sul piano religioso, quanto influenza e scoraggia le coppie omosessuali che vorrebbero avere dei figli?
R. Le famiglie che conosco danno per scontato che ci sia un discorso omofobico molto respingente sul piano del cattolicesimo ufficiale delle gerarchie. Però non credo che scoraggi più di tanto.
D. Qual è il vero problema?
R. L’incertezza legislativa, che pesa di più perché c’è sempre un membro della coppia che rischia di essere estromesso e di non vedere riconosciuti i propri diritti di genitore. Ma anche il figlio che non vede rispettato il proprio diritto alla tutela del rapporto con il genitore sociale.
D. Anche in Francia però è ancora così.
R. Sì, ma c’è molta meno attenzione ai dettami della Chiesa. Si è sempre tenuto separato il discorso religioso da quello civile. La laicità è quasi una religione di Stato.