«Ci vorrebbe un papa di apertura come Luciani»
Articolo del 20 febbraio 2013 di Alberto Guarnieri pubblicato su Il Messaggero
Auspica un Papa nero. Ma Giulio Giorello – filosofo, epistemologo, non credente, autore tra i tanti libri di “Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo” – non cerca la provocazione. «Anche un Papa italiano – dice – potrebbe far fronte al grave momento della Chiesa, ma mi piace l’idea che il successore di Benedetto XVI arrivi da un continente stremato come l’Africa».
Perché lei vede la Chiesa stremata, professore?
Non lo è anche la nostra società relativista, «liquida» come dice Bauman? «La liquidità non fa parte del mio modo di pensare. E credo che anche l’allora cardinale Ratzinger, quando attaccava il relativismo, pensasse più alla Chiesa che non alla società. E non devo citare una sorta di anti-Papa come Hans Kung, ma mi basta un filosofo come Jean Guitton, nominato da Paolo VI primo uditore laico al concilio, per essere certo che la Chiesa deve ancora fare i conti con la modernità del mondo».
Fa anche lei un’agenda dei nodi che il nuovo Papa deve sciogliere?
«No, quella la lascio a Massimo Cacciari. Diciamo però forte e chiaro che la vita si difende dove è a rischio, non chiudendosi a riccio sulla procreazione».
Lei ha scritto anche “Dove fede e ragione si incontrano?”, e ci ha messo un punto interrogativo. Non le sembra ora di ricalcarlo di più?
«No. E cito un Papa a mio sostegno. Papa Luciani, che sulla prima bambina nata in vitro commentò: “Accogliamo una nuova vita che ci arriva anche così”».
Vorrebbe uno come lui a nuovo pastore d’anime?
«Le persone non sono pecore. Io penso con Kant che sia meglio non avere guida. E forse l’abdicazione di Benedetto XVI ci ha detto qualcosa anche a questo proposito. Il suo è stato davvero un bel segno rosso sui problemi aperti, che noi cultori del dubbio accogliamo soddisfatti».
Torniamo al successore sul trono di Pietro.
«Auspico la scelta di un Papa capace di apertura e tolleranza, completi, questa sì, l’agenda del Concilio Vaticano II. Un Papa che capisca che il riconoscimento dei diritti è più importante della difesa del matrimonio cristiano».
Il Vaticano II e la non compiutezza dei suoi lavori è un tema ricorrente tra chi segue la Chiesa.
«Ed è giusto che sia così. Perché non è stata una sovrapposizione modernista della Chiesa a istanze del mondo, ma il tentativo di affrontare coraggiosamente una serie di problemi reali. Un tentativo che però si è perso per strada».
C’è anche chi invoca un ritorno al Vaticano primo, che sancì il dogma dell’infallibilità.
«Sarebbe come provare a risolvere i problemi dell’Italia coi metodi dei Savoia. Invece serve oggi più tolleranza. Thomas Jefferson diceva che “ogni Chiesa è una benedizione se rispetta la concorrenza”. Il relativismo non è un credo, è un fatto».
Che la Chiesa combatte.
«Trincerandosi su una interpretazione della verità che non va confusa con la Verità. Così si organizza una struttura gerarchica e autoritaria e le lotte interne vengono fuori in modo sordo. Come le ultime vicende confermano. Potrebbe parlarne a ragion veduta Benedetto XVI».