Gesù ha patito le stesse discriminazioni di omosessuali e transessuali
Articolo di don Mauro Leonardi pubblicato sul sito huffingtonpost.it il 19 novembre 2014
Un amico omosessuale mi invita alla manifestazione Tdor (Transgender day of remembrance) che si tiene giovedì 20 novembre a Roma nella piazza davanti al Pantheon. È una fiaccolata ed inizia alle 18.30 così è tutto più suggestivo.
Io mi spavento. Da due settimane ho scritto un articolo sul passo in avanti di Nosiglia a proposito del mondo omosessuale e gli insulti sono solo cresciuti. Non c’ero abituato.
A un prete, a Roma, gli fanno posto sull’autobus. La polizia, se non l’hai combinata proprio grossa, non ti fa la multa. Il sapore della m… non è buono. L’amico aggiunge che se ci vado da prete, è il momento della celebrità: finisco su tutti i giornali. È quello che mi fa scappare definitivamente.
“Prete mediatico che vuole apparire, e che fa il cavallo di Troia” è stato l’insulto più frequente (e più carino) che mi è arrivato. Scappo ma prego. Scappo ma mi fermo. Scappo ma leggo quello che mi ha messo tra le mani l’amico: la transfobia è il peggio del peggio.
In pratica noi benpensanti condanniamo il/la transessuale a una vita di prostituzione. Un omosessuale (dicono di essere il 10% della popolazione) può scegliere di non manifestarsi come tale, di vivere come un topo nella sua fogna, e così la passa liscia. Ma un transessuale non può nascondere nulla: è quello che si vede. Un transessuale no. Anche da struccati. Anche senza quei vestiti e quelle scarpe così fuori misura. Anche senza tacchi. Lui si vede. Lei si vede.
Quante volte abbiamo pensato: che lavoro può fare uno conciato così? E magari avevamo davanti solo uno con le mani e il collo tatuato. Oppure erano i capelli rasta fino al sedere. Oppure un vistoso modo di vestire. Insomma era solo uno molto diverso da noi, da tutti, dal resto del mondo, eppure pensavamo: ma che lavoro fanno, ma come fanno? Allora il 20 novembre, giornata Tdor, apriamo gli occhi: c’è una categoria di persone, un particolare tipo di persone, che per questa domanda hanno una sola risposta. Una triste risposta prevalente. Che lavoro fa un transessuale?
Se non lavori “normale” i soldi per vivere li tiri fuori dal giro della prostituzione. La transfobia non è solo quando distrai il bambino per non farlo guardare quando sei per strada. La transfobia è che l’80,3% degli italiani ritiene che le persone transessuali siano discriminate per il lavoro o per la casa. E questa percentuale diventa 75,2% nel caso delle discriminazioni sul lavoro e il 77,6% nel caso di chi rifiuta di dare casa a un trans.
Sono dati Istat e, letti al contrario, dicono che un italiano su quattro trova giusto non dare lavoro o casa a un trans. Ovviamente, l’ipotetico datore di lavoro o locatorio all’intervista non risponde perché, se lo facesse, che percentuale avremmo? Novantanove per cento o novantotto?
Credo che dovremmo ricordarcelo quando pensiamo di fare una cosa buona e boicottiamo i prodotti di un colosso della cosmesi mondiale. È infatti accaduto che la Redken, del gruppo Oreal, abbia ingaggiato per una sua pubblicità, la bellissima modella trans Lea T, figlia del calciatore Cerezo che è stata ospite alla tv da Daria Bignardi e ha raccontato una splendida storia di dolore interiore e fisico. L’Oreal non l’ha fatto solo per pubblicità.
Ma perché ha avuto un capace manager (anzi “una” capace manager: il transessuale si declina secondo il sesso d’elezione finale) che nei quattro anni della sua presidenza, ha ottenuto che Lancôme – il marchio di lusso del gruppo L’Oréal – sia passato dal perdere quote di mercato a sfiorare i due miliardi di fatturato, con una crescita di circa il 10% all’anno, circa il doppio dei concorrenti. Questa signora, in quei quattro anni, ha senza scalpore cambiato “lentamente” il suo look e il suo corpo.
La sua storia mi sembra molto interessante perché è come per le storie di ciascuno quando ci trai un insegnamento. Non si tratta di entrare in lotta e di dire cosa è la verità. Dai tempi di Pilato è una domanda sbagliata: “chi” è la verità, è la domanda giusta. E attraverso questo mio tortuoso percorso interiore, fatto di voglia di esserci ma di paura di esserci, arrivo al regalo che, io prete, voglio fare a trans e omosessuali.
È qualcosa che gli esperti conoscono ma che non ce la raccontiamo: non ce la diciamo neppure tra di noi perché ci vergogniamo. Ed è che Gesù per vent’anni della sua vita è stato discriminato come omosessuale. La fonte è Joachim Gnilka, esperto mondiale indiscusso ammirato anche da Joseph Ratzinger. Nel suo libro – Gesù di Nazaret, ed. Paideia – questo signore dà ragione del perché Cristo, quando parla del suo celibato, usa non la parola che ho usato ora io o altre simili ma “eunuco”: termine dispregiativo anche allora che indicava l’impotente e il castrato.
Cristo, secondo Gnilka, starebbe usando l’arma dell’ironia rivolta verso coloro che lo chiamavano così. “Coglie nel segno l’ipotesi che qui si abbia a che fare con un attacco diretto contro Gesù. Egli fu ingiuriato come eunuco dai suoi avversari per la sua vita celibe” (p. 227). Bisogna sapere infatti che “all’interno del giudaismo la scelta di Gesù di rinunciare ad avere moglie e figli era scandalosa” (p. 227) e incomprensibile.
Nei tre anni di vita pubblica Gesù, ai più intimi, avrebbe spiegato che il suo celibato radica nel mistero stesso della Trinità, ma tutto ciò prima era impossibile. Da ciò la distanza e l’incomprensione da parte dei suoi parenti più stretti (p. 226) che lo giudicavano “fuori di senno” (Mc 3,21).
Un uomo così, con lavoro e famiglia, una persona affascinante che non si voleva sposare e che a detta di tutti non aveva rapporti con donne – Gesù nel vangelo viene insultato in molti modi ma mai viene apostrofato come impuro o donnaiolo – non poteva che essere considerato un omosessuale.
A quell’epoca i transessuali non esistevano ma il termine eunuco (castrato) rende terribilmente l’idea: e si noti che Gesù lo applica a sé proprio nel senso di chi ha compiuto quella scelta – di essere celibe, non castrato fatto che la chiesa condanna come emerge nel caso di Origene – vale a dire: così come è stato detto di me che sono un mangione e un beone (Mt 11,19 par) è stato detto anche che sono un eunuco (p. 227).
Non sto dicendo che Gesù fosse omosessuale o transessuale ma che dall’adolescenza fino alla fine della vita ha subito la medesima discriminazione degli omosessuali (e dei transessuali che a quell’epoca non esistevano e che possiamo assimilare agli “eunuchi” di allora).
Gnilka ipotizza addirittura che la famosa mancanza di abitazione da parte del figlio dell’uomo (Mt 8,20) di cui Cristo parla in prima persona (“non ho dove posare il capo”) “ha la sua causa, secondo questa sfumatura teologica, nell’ostilità e nel rifiuto degli uomini” (p. 225).
Caro amico, non ce la faccio a reggere il dito puntato contro di me per puntare un’intera categoria: non ce la faccio a fare la farfalla schiacciata viva al muro. Porto un abito e non farei un buon servizio a te, alla vostra causa, alla causa di tutti (forse un po’ anche alla mia). Però il tuo invito è stato importante. Anche per riscoprire un po’ di più Gesù. Quello di Nazareth. E ve lo dono.