Giornata della Memoria. Ricordare, perché non avvenga mai più
Articolo di Roberto Galdi pubblicato sul giornale “Il Roma – edizione di Salerno” il 27 gennaio 2013
Il 27 gennaio del 1945 si aprivano le porte del campo di Auschwitz mostrando al mondo il Male assoluto. Una ideologia si arrogò il diritto e il potere di dover prima segregare e poi deliberatamente sterminare l’intero popolo ebraico. Circa sei milioni furono internati in campi di concentramento e poi, con perfetta organizzazione, sterminati e bruciati nei forni crematori.
Quante volte ci siamo chiesti come l’uomo, creato ad immagine di Dio che è amore, sia stato capace di tanto. Qui la mente umana si ferma dinanzi all’abisso. Ed è terribile pensare che l’uomo sia capace di tanto male. Per questo è importante farne memoria, perché mai più avvenga. E pensare che anche di fronte a tante prove e testimonianze ci sono ancora persone e gruppi che negano l’Olocausto e si rifanno a quella ideologia. Perciò è giusto e doveroso farne memoria e riflettere.
Ma, insieme ai milioni di ebrei sterminati, quanti sanno che furono internati nei campi di concentramento migliaia di zingari, testimoni di Geova, dissidenti, malati psichici, portatori di handicap e omosessuali, solo perchè alcuni avevano deciso che non fossero “normali”.
C’era nel codice penale tedesco il “Paragrafo 175”, in base al quale gli omosessuali dovevano portare un triangolo rosa al petto. Così decine di migliaia di persone vennero arrestate, internate e sterminate. Ne è stato tratto un film-documento, che riporta fatti e testimonianze terribili dei pochi sopravvissuti. “Normali” erano coloro che potevano essere utili. Un malato mentale, un portatore di handicap, uno che tornava mutilato dalla guerra, non era “utile” al processo produttivo e costava anche mantenerli. Gli omosessuali non erano “utili” perché ritenuti “sterili”, un intralcio alla crescita, nella follia del loro progetto ideologico.
Questo è accaduto nella Germania Nazista, è accaduto nei lager sovietici, in forme diverse è accaduto nei secoli. In Italia, durante il periodo fascista, Mussolini decretò le leggi razziali, e mandò al confino numerosi omosessuali. Si potrebbe obiettare che questo riguarda il passato, un passato che non può ritornare. Eppure, ancora oggi esistono leggi per cui, solo perché omosessuali si è imprigionati, condannati e, in alcune nazioni, messi a morte. Da più parti ci si chiede se oggi esiste l’omofobia, altri invocano alcune tutele, qualche legge appropriata. Io penso che per rispondere, come sempre, sia necessario attenersi ai fatti, alla cronaca. A tanti questi nomi e le loro tragedie non risultano familiari.
Pierre Seel, reduce dai campi di sterminio che inorridì quando, davanti ai suoi occhi, fu ucciso l’amico che amava.
Friedrich-Paul von Grosrheim, processato, condannato e castrato. Sopravvisse due anni al campo di concentramento.
David Kato, attivista omosessuale, ucciso a Kampala in Uganda.
Daniel Zamudio, cileno, morto dopo sei ore di tortura, solo perché omosessuale.
Bobby Griffit, che si buttò dal ponte in California, perseguitato dal suo senso di colpa. Vissuto in ambiente familiare di tradizione cristiana presbiterale in cui veniva disapprovato il suo comportamento. Sottoposto a visite psichiatriche, nella speranza di poterlo “guarire” ma che lo prostrarono. La mamma, nel suo dramma, si è sentita poi colpevole della sua morte.
Di questa tragedia ne è stato tratto un film drammatico: Preyer for Bobby.
Mattew Wayne Shepard, 22 anni, nell’ottobre 1998, fu derubato e torturato da due uomini, poi legato ad una staccionata, tutto a causa del suo orientamento omosessuale. Morì dopo 5 giorni di agonia a causa delle ferite.
Alfredo Ormanno, si diede fuoco in p.zza S. Pietro il 13 gennaio 1998. Lasciò alcuni scritti: “Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l’aria che voi respirate col mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l’omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito a diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso” “Non riuscivo più ad ingannare la mia biologica voglia di vivere, a farmi una ragione della mia emarginazione, sulla mia sconfinata solitudine”.
Antonio Galatola e Giorgio Agatino Giannone, una coppia di giovani furono uccisi nel giugno 1980, come delitto d’onore.
Matteo, sedicenne di Torino, suicida perché deriso dai compagni di scuola.
Alan Turing, matematico inglese che decifrò nella seconda guerra mondiale i codici segreti tedeschi, fu poi condannato per “indecenza” a causa della sua omosessualità, reato allora in Inghilterra. Si suicidò all’età di 41 anni. E’ stato chiesto da alcuni scienziati una riabilitazione postuma. Tutt’ora negata.
Eric James Borges, California 19 anni, suicida. “Il mio nome non era Eric, ma “Frocio”.
Alcuni ragazzi, particolarmente sensibili, raccontano il loro dramma: “Giulio ha ventidue anni: “Sono stato fidanzato con una ragazza per tre anni e ho cercato di scordarmi di essere gay ma non è servito a niente. Passo le notti a piangere pensando che per me non c’è posto nel mondo ma forse lassù si… Basta ho deciso tra un po’ sarà il mio compleanno e mi sa tanto che il giorno che ho cominciato sarà anche quello che finisco…Non vedo l’ora che venga quel momento: dicono che quello è il giorno in cui sei più felice perché sai che non ti importa più di niente”.
“Sfortunatamente nessuno lo ha saputo ascoltare” è la triste frase di circostanza che si usa quando un giovane si suicida. Sovente quelle morti rimangono nell’ombra prive di una spiegazione accettabile. Se poi è l’omosessualità che porta i giovani ad uccidersi il silenzio e l’indifferenza diventa complice e totale. Recentemente leggevo un commento al suicidio di un quindicenne a Roma, per la persecuzione di cui è stato fatto oggetto per certi suoi modi di vestire. E diceva l’articolista che nella scuola “è mancato il coraggio di prendere sul serio il suo dramma: anziché difenderlo dalla violenza l’hanno rimproverato”. Quello che manca, al di là di ogni possibile intervento legislativo, è una educazione al rispetto di chi si ritiene e si vede “diverso”. E questo è un compito essenzialmente degli adulti.
Nel giorno della memoria, in tante parti d’Italia, ci saranno veglie di preghiera per ricordare quanti, a causa di una “presunta diversità” sono stati perseguitati, uccisi, o sono morti suicida. Perché quello che è capitato, mai più avvenga.