Giovani Lgbt, suicidi in crescita. Il peso insostenibile del rifiuto
Articolo di Ester di Giacomo, psichiatra Università Milano Bicocca, pubblicato su Noi famiglia & vita, supplemento di Avvenire, del 23 dicembre 2018, pp.18-19
La sessualità è un aspetto fondamentale dell’identità personale. La pubertà, fisiologica tappa che coincide con l’inizio dell’adolescenza, è caratterizzata dall’espressione dei caratteri sessuali di genere con manifestazione piena e completa raggiunta in età giovane adulta. I cambiamenti ormonali e fisici hanno, senza dubbio, importanti risvolti sulla percezione personale, ma gli aspetti emotivi e personologici risultano fondamentali e cruciali per il benessere e la piena espressione dell’individuo.
Le radici dell’identità, compresa quella di genere, affondano nell’infanzia, sia per ragioni meramente fisiche che per il differente approccio che i caregiver primari (principalmente i genitori) manifestano verso un bambino di sesso maschile o femminile.
Inoltre, la società, in generale, contribuisce ad attribuire aspettative comportamentali e di interesse declinati a seconda del sesso del bambino/a-adolescente. La difficoltà ad identificarsi nel genere assegnato, sia per interesse che per istinto, sono stati per anni oggetto di interesse medico e psichiatrico. La disforia di genere o disturbo dell’identità di genere (spesso abbreviato in Dig), inclusa nel Dsm 5, l’ultima edizione del manuale in cui vengono raggruppati e catalogati tutti i disturbi della sfera psichiatrica, è «il malessere percepito da un individuo che non si riconosce nel proprio sesso fenotipico o nel genere assegnatogli alla nascita». Presente fin da bambini, un disturbo dell’identità di genere viene definito dal fatto che il bambino/a si identifichi con il genere opposto sia con un forte desiderio di appartenenza al genere opposto rispetto a quello assegnato alla nascita e di eliminazione dei caratteri sessuali primari e secondari. Tale incongruenza tra quanto desiderato/percepito e il genere assegnato alla nascita deve avere la caratteristica di provocare marcata sofferenza psichica e compromissione della vita sociale e scolastica.
Il disturbo dell’identità di genere però è indipendente dall’orientamento sessuale e non va assolutamente confuso con esso. Una identità sessuale non eterosessuale, infatti, non è da considerare una “malattia psichiatrica“, tanto da non essere più inclusa nel manuale sopracitato (e nelle edizioni precedenti) fin dal 1973. L’Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito tale concetto fin dal 1992, dichiarando che «l’omosessualità non può considerarsi una patologia, in quanto variante del normale comportamento sessuale umano, e come tale, non è da considerarsi condizione che necessita di trattamento psichiatrico».
Indipendentemente e nonostante la declassificazione di tali aspetti dall’ambito della patologia, l’attrazione verso membri dello stesso sesso è a tutt’oggi oggetto di pregiudizio e bullismo, specialmente in età pre-adolescenziale e adolescenziale. Un recente studio, pubblicato sull’eminente rivista Jama Pediatrics da parte del nostro gruppo di ricerca (di Giacomo et al., 2018; doi: 10.1001/jamapediatrics.2018.2731) ha però messo in evidenza un aumento del rischio di tentato suicidio nei giovani appartenenti ad una minoranza sessuale (omosessuali, bisessuali e transgender). Un rischio che risulta di tre volte superiore rispetto ai coetanei eterosessuali. Addirittura di cinque volte considerando solo i transgender. E ciò indipendentemente dalla vittimizzazione ad opera di bulli o del supporto ad opera di associazioni Lgbt (lesbian, gay, bisexual and transgender).
Ravvisata questa indipendenza da fattori di rischio o protettivi, sorge spontaneo interrogarsi sui determinanti del comportamento anticonservativo in questi adolescenti. Premesso che il tentato suicidio è un avvenimento che coinvolge gli adolescenti in modo preoccupante e ubiquitario, sia come dimensione appellativa (richiesta di aiuto) che come manifestazione di disagio, gli adolescenti che si identificano in una minoranza sessuale manifestano tale comportamento in modo ancora più evidente e frequente. Una chiave di spiegazione, può quindi essere identificata nella difficoltà nell’autoaccettazione sia perché vivono una condizione differente rispetto alla maggioranza dei pari, sia per la paura di essere giudicati e/o ostracizzati sia dalla società, sia spesso dalla propria famiglia.
Il movimento Lgbt ha permesso, attraverso importanti battaglie sociali, una maggiore conoscenza ed accettazione del fenomeno ed, in parte, una sua inclusione. Nonostante questo ingente sforzo, la stigmatizzazione e il rifiuto sembrano ben lungi dall’essere risolti. Tale atteggiamento nei confronti delle minoranze sessuali si ripercuote inevitabilmente su una maggiore difficoltà nell’accettare se stessi e in secondo luogo condividere la propria natura, spesso anche con le persone più intime e vicine. I casi di cronaca, purtroppo, riferiscono di episodi in cui i genitori stessi allontanano un figlio/a che manifesta apertamente l’appartenenza a minoranze sessuali. Oltre a questi casi estremi, bisogna considerare quanto di denigratorio si identifichi nell’immaginario e nel linguaggio comune. Insulti ed epiteti che fanno riferimento, anche volgarmente, a identità non eterosessuali, sono, purtroppo, ancora oggi parte dell’esprimersi popolare.
Vivere in una società in cui questo tipo di approccio alle minoranze sessuali persiste, determina sia un facile terreno per il bullismo e la discriminazione, sia la paura di poter vivere apertamente quanto percepito a livello personale.
La situazione italiana, in particolare, risente di una parte di influenza culturale/religiosa. Indicativo di ciò, ad esempio, la mancanza di studi condotti a livello di popolazione rispetto al tema succitato dei tentativi di suicidio, tanto che non è stato possibile includere dati di origine italiana nello studio che abbiamo condotto rispetto ai dati raccolti a livello mondiale fin dagli anni ’80. Questo ritardo di valutazione e accettazione delle minoranze sessuali necessita di una presa di coscienza rispetto a quanto, nel nostro Stato, permanga una diffidenza e rifiuto di questa realtà. La maggiore accettazione di quanto ormai internazionalmente e medicalmente riconosciuto come non patologico agevolerebbe una maggiore capacità di autoccettazione e, verosimilmente, salvaguarderebbe questi giovani dalla paura e dalla autostigmatizzazione, prevenendo quindi comportamenti che li pongano a rischio in termini di benessere e/o sopravvivenza.
Pur proponendoci a breve tale valutazione a livello nazionale, non possiamo esimerci dall’obiettivare una arretratezza nella gestione di tale tematica. A prescindere dalle motivazioni che hanno condotto a tale ritardo culturale, risulta innegabile la necessità di provvedere al riconoscimento e accettazione di tali minoranze, pena un detrimento per il benessere degli individui che si identificano con una identità sessuale numericamente minoritaria.
Il benessere, inteso come qualità di vita, comprende aspetti sia fisici che psichici e sociali che, attualmente, risultano compromessi in molti adolescenti che si identificano come omosessuali, bisessuali e transgender. La comprensione e accettazione di tale fenomeno dovrebbe essere quindi un obiettivo delle politiche di salute e scolastiche, in quanto una maggiore integrazione e inclusione esiterebbe nella destigmatizzazione, problematica di cui gli adolescenti e adulti Lgbt risentono in modo fin troppo gravoso.
Accettare e accogliere chi viene troppo spesso considerato “diverso” è una tematica imprescindibile in vari ambiti sociali. La possibilità di considerare chi ha opinioni, culture, gusti o preferenze, incluse quelle sessuali, differenti dai nostri o da quelli della maggioranza della popolazione dovrebbe necessariamente essere scisso da una attribuzione negativa.
In conclusione, sia da quanto è emerso dalle evidenze scientifiche, sia da quanto risulta dall’esperienza quotidiana a contatto con i giovani, non si può non ribadire che la tendenza alla comprensione ed inclusione dovrebbe coinvolgere l’intera società e a più livelli per essere in grado di produrre un effettivo mutamento di idee e percezioni.