Giù la maschera, su la mascherina! Ferite e feritoie di un giovane gay cristiano al tempo del Covid-19
Testimonianza di Raffaele sul ritiro su “Dal buio alla luce: percorso online per giovani LGBT e la loro comunità” (30 Aprile-3 Maggio 2020)
Qualche sera fa hanno ridato in tv uno dei film cult della mia adolescenza, Sister Act. L’ho rivisto per l’ennesima volta e non con meno entusiasmo della prima! Un passaggio tratto dalla colonna sonora recita:
“Da quando ha toccato il mio cuore ho capito
che non esiste un oceano troppo profondo
o una montagna alta abbastanza
da tenermi lontano, lontano dal Suo amore”.
L’adolescenza è cronologicamente lontana e queste parole offrono nuove risonanze al mio qui ed ora. Risonanze piene, ma forse più adulte e meno disincarnate. Risuonano nelle cavità del tempo presente, urtano gli spigoli delle mie più intime verità. Lo fanno con la stessa potenza della Lettera ai Romani: “Chi ci separerà, dunque, dall’amore di Cristo?” (Rm 8, 35).
Riflesso luminoso di queste parole è una certezza duplice: quando percepisci nitidamente che Dio sta accarezzando il tuo cuore si radica in te la tua gioia e il coraggio di testimoniarla. Si, perché la gioia è davvero piena solo se condivisa… e sono qui a raccontarvi quanta luce mi abbia attraversato nei giorni del ritiro online “Dal buio alla luce” curato dal Progetto Giovani Cristiani LGBT, culminati nella serata di condivisione vissuta a due settimane dalla sua conclusione.
Nutrivo grandi attese dal ritiro. Dopo uno scambio di messaggi molto fecondo con i volontari del Comitato già pregustavo, seppur solo idealmente, la pienezza della condivisione, la speranza certa di costruire relazioni fraterne, di donarmi con grande slancio emotivo. Ho affidato alla preghiera tutte queste attese e, come spesso accade, il vento dello Spirito soffia in direzioni molto diverse da quelle che immaginiamo e desideriamo: i primi giorni del ritiro sono stati un vero e proprio disastro, almeno in apparenza.
Si è materializzata la mia paura più grande: non avendo ancora fatto coming out, temevo che all’evento partecipassero persone che conoscessi e, ovviamente, così è stato. Ricordate tutte le attese che nutrivo? Cancellate tutto e rimpiazzatele con un carico di paura mille volte più grande, ma non limitate la vostra fantasia e la vostra creatività: esagerate pure!
Io, che speravo di fare un piccolo passo in avanti, mi ritrovavo a farne mille indietro. Ne elenco due che mi hanno fatto particolarmente male. Il primo: non ho avuto il coraggio di pronunciare quell’eccomi iniziale e, al contempo, mi sono rifiutato di consegnare al futuro il ricordo dell’avvicendamento tra la voce che chiamava il mio nome e il mio silenzio.
Così, mentre si stava stringendo un’alleanza tra parola e silenzio a cui non ho voluto assistere, mi sono allontano dal computer per qualche istante. Il secondo: non ho avuto il coraggio di affrontare il confronto in piccoli gruppi. Reiteravo l’ennesima fuga, ma intanto la bellezza fioriva sotto i miei occhi. Si, perché la bellezza non ha paura. La bellezza distrae la paura.
Il giorno dopo è avvenuto il colloquio telefonico con il religioso che mi è stato affidato dal Comitato, a cui ho raccontato ogni cosa. Alla narrazione della mia (apparente) catastrofe segue la voce rassicurante del mio interlocutore: “Il tuo ritiro sta andando proprio bene!“. Potete immaginare il mio carico di stupore.
Ero pronto a rispondergli: “Padre, tutto bene?“, ma qualcosa dentro di me cominciava timidamente a convincermi che, tutto sommato, avesse ragione. Mi aspettavo di tessere fitte trame relazionali con tanti fratelli ma, forse, le stavo tessendo con me stesso. Stavo mettendo le dita nelle mie ferite, dando loro la possibilità di diventare rassicuranti feritoie.
All’indomani, in uno dei momenti plenari (vissuti con webcam e microfono rigorosamente spenti), mi colpiscono due potenti raggi di luce: la frase pronunciata da un giovane che condivide la sua esperienza di coming out con un’animatrice parrocchiale, frettolosamente appuntata sulla mia agenda per paura di dimenticarla (“Non temere! Non so come faremo, ma in qualche modo troveremo la tua strada nel mondo”); l’intervento della referente del piccolo gruppo a cui ero destinato, che menziona anche il mio nome tra quello dei membri del gruppo. Incredibile, il mio silenzioso passare aveva risuonato con molta più forza di quanto potessi immaginare.
A tutto questo ebbe seguito una notte molto lunga, complessa, dolorosa. Eppure, quella stessa notte distrasse davvero la paura. Fu la notte del mio effatà, dopo che il Signore mi aveva donato sorrisi che mi illuminassero, volti in cui specchiarmi, fratelli omosessuali e nella fede con cui camminare, la ricchezza di testimonianze bellissime, la pienezza della preghiera condivisa, la presenza luminosa dei genitori presenti.
La bellezza fioriva sotto i miei occhi e, stavolta, una paura ha vinto davvero: la paura di perdere tutti; la paura che il ponte che ci univa potesse sgretolarsi inesorabilmente. “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta!” (1 Sam 3, 10) e il Signore aveva parlato davvero, aveva accarezzato il mio cuore ancora una volta e, seppure con la semplicità dei mezzi di cui potessi disporre, ho affrontato le persone da cui sono scappato la prima sera del ritiro, ricevendo in cambio sostegno e tanta accoglienza.
Ho condiviso questo racconto con quanti erano presenti alla serata di condivisione vissuta a due settimane dal ritiro. Stavolta webcam e microfono erano accesi; stavolta ho permesso agli altri di specchiarsi nel mio volto, di leggere tra le pieghe della mia storia, di ascoltare dalla mia voce emozionata quanto fossi grato a Dio e a ciascuno di loro. Loro, giardino profumato dei figli della Luce, sono i fratelli con cui spero di camminare a lungo, seguendo il vento dello Spirito, che soffia sempre con grande creatività.
Il mio cammino riparte proprio da quell’eccomi che mi sono apparentemente negato all’inizio del ritiro, ma che ora offro a Dio con grande slancio. Sì, eccomi! La parola che porto nel mio zaino è proprio eccomi, chiedendo al buon Dio di additarmi strade di coraggio lungo le quali poter essere anche io un fiore profumato del Suo giardino, di spandere la Sua fragranza ovunque Egli mi conduca, di contribuire al nostro comune sogno di cristiani LGBT e che sento di consegnare alle parole di Santa Teresa di Lisieux: “Nel cuore della Chiesa, mia madre, sarò l’amore”.
Sono passate poche settimane, ma custodisco la consapevolezza di aver trovato sul mio cammino tanti compagni e tante compagne di viaggio, anche se ancora non li conosco bene e, per ora, ho interagito un po’ di più soltanto con pochi tra loro. Mi stranisce il pensiero che tutto questo sia un dono di questo tempo sospeso e che temevo trascorresse invano.
L’emergenza sanitaria non ha consentito che il ritiro si svolgesse in presenza e questo mi ha permesso di prendervi parte (pensate che avrei avuto il coraggio di presentarmi di persona?!) e di avvicinarmi ad una realtà che, ormai, abita il mio cuore. E’ buffo pensare che, in questo tempo con guanti e mascherina, certe ineludibili sovrastrutture per me stiano cedendo un po’ alla volta. Cadono le maschere… in favore delle mascherine!
Un’ultima consegna. Circa sei anni fa, di getto, rientrato a casa dopo aver assistito ad un bel concerto, scrissi un brano che custodiva una promessa. Era notte; com’era notte la sera dell’effatà che vi ho raccontato; com’è notte anche ora (sono le 3:40 in questo momento). Scrivevo queste parole:
“La nostra storia tende le sue mani
verso un orizzonte che ora ignoriamo
eppure viviamo
mentre lo aspettiamo
noi ci meritiamo un sorriso ancora
mentre i rintocchi dei secondi
fanno luce sulla vita di chi ama
e non si perde nulla del suo mondo
e, oggi, ti prometto anch’io
non me lo perderò”.
Assetato di passi, mentre il cammino si schiude dinanzi a noi come un timido bocciolo, vi tengo stretti al mio cuore.