Giuseppe sposerà Roberto al conosolato dell’Ecuador
Articolo del 28 aprile 2013 di Luigi Riccio pubblicato su ilcorriere.it
Procacciatori di matrimoni facili: è il luogo comune che vorrebbe i migranti disposti a tutto pur di mettersi in regola con i documenti. Obiettivo: la cittadinanza nazionale, la residenza stabile. Ed evitare così le rogne dei rinnovi e delle fila in questura. Ma se fosse invece l’italiano (o l’italiana) quello più «interessato» tra i due? Ne sa qualcosa Giuseppe Maffia, presidente dell’Arcigay di Bari. Che, solo grazie alla cittadinanza del suo compagno, potrà pronunciare il fatidico «Sì» negli spazi di un consolato. Il suo lui, Roberto Burgos, vive in Italia da quindici anni ma è originario dell’Ecuador, Paese che dal 2009 riconosce le unioni civili tra persone dello stesso sesso – equiparate in tutto, tranne che per le adozioni, ai matrimoni eterosessuali.
Ma l’interesse qui non riguarda il permesso di soggiorno. «Per noi che progettiamo la nostra vita in questo Paese», racconta Maffia, «la nostra unione sarà meramente simbolica: non avrà alcun valore legale in Italia. Ma rimane pur sempre un’importante legittimazione, in uno spazio istituzionale, che è il modo migliore per coronare il proprio sogno d’amore».
Come lui, probabilmente, avrà pensato Anna Paola Concia del Pd che, nel 2011, si è unita civilmente con la tedesca Ricarda Trautmann, a Francoforte. Sono almeno venti, distribuiti su tutti i continenti, i Paesi che riconoscono i matrimoni o le unioni civili omosessuali. Gli ultimi, in ordine di tempo, Francia, Nuova Zelanda e Uruguay. Una vera e propria rivoluzione, che sta alimentando pure un nuovo fenomeno: il «turismo per matrimonio».
«È evidente che sempre più omosessuali progettino di sposarsi in Paesi più tolleranti», continua Maffia, «ma bisogna distinguere. È “turismo” quando due persone vanno a sposarsi in un Paese di cui non sono cittadini, e che per questo non avrebbero comunque i diritti di una vera coppia. Nel mio caso, invece, così non è: se mi trasferissi domani in Ecuador potrei, in virtù della mia unione, chiedere ad esempio di essere naturalizzato».
Due cuori, una capanna, magari dei figli: è attorno a queste idee che Giuseppe e Roberto si sono trovati. Fidanzati da un anno e mezzo, sono entrambi di religione valdese e hanno i sogni riposti nello stesso cassetto. È stato Burgos però a lanciare la proposta.
«È da quando il mio Paese di origine ha promulgato la nuova Costituzione (nella quale, appunto, vengono riconosciute le unioni tra persone dello stesso sesso, ndr) che ho cominciato ad informarmi», spiega. «Il problema, inizialmente, era capire se il rito dovesse avvenire in Ecuador, o più genericamente su suolo ecuadoriano, che comprende appunto anche i consolati e le ambasciate. Quando ne sono stato sicuro, l’ho proposto a Giuseppe, che ha ovviamente detto di Sì».
La cerimonia, prevista per il luglio 2014, sarà di quelle semplici: il giuramento in presenza del console, poi tutti in spiaggia dove un pastore – sempre simbolicamente- benedirà la loro unione.
«Siamo entrambi, in un certo qual modo, dei ragazzi tradizionali: e il nostro obiettivo rimane quello di avere un figlio, magari tramite la maternità surrogata. Ma questa è un’altra storia».
Burgos, in Italia da quando aveva cinque anni, ha frequentato qui le scuole dalle elementari a salire, ma dalla legge nostrana è considerato uno «straniero». «Attualmente, essendo studente universitario a Bari, ho un permesso di soggiorno per motivi di studio. Ho richiesto la cittadinanza, ma per dei cavilli burocratici non sono ancora riuscito ad ottenerla. La mia famiglia, i miei affetti sono però tutti qui». Compreso il suo futuro “marito”.